Come presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria

Il contribuente che riceve un provvedimento impositivo da parte dell’Amministrazione finanziaria, qualora sussistano dei vizi di legittimità o di fondatezza dello stesso, ha la possibilità di impugnarlo presentando ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) territorialmente competente.

L’impugnazione dell’atto si rende necessaria solo dopo che l’interessato abbia valutato l’opportunità di definire il provvedimento impositivo attraverso le procedure alternative al contenzioso, quali l’accertamento con adesione, l’acquiescenza, l’adesione alle comunicazioni di irregolarità, la definizione agevolata delle sanzioni e l’accordo di mediazione.

Di seguito, quindi, analizziamo il rimedio del ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale), specificamente contro gli atti impositivi e le cartelle di pagamento dell’Agenzia delle Entrate.

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1. La riforma del processo tributario

Con la Legge 31 agosto 2022, n. 130, sono state introdotte le nuove disposizioni per la riforma del processo tributario, i cui effetti possono sintetizzarsi come segue.

Le Corti di Giustizia Tributaria

Viene modificata la denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali in Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado.

Il Magistrato Tributario Speciale

Si assiste all’introduzione della figura del magistrato tributario speciale, quale magistrato specializzato nella materia tributaria, reclutato attraverso una procedura concorsuale.

Il Giudice Monocratico per le controversie sotto euro 3.000

Le Corti di Giustizia Tributaria di primo grado decidono in composizione monocratica le controversie di valore fino a 3.000 euro i cui ricorsi siano stati notificati dal 1° gennaio 2023. Sono escluse le controversie di valore indeterminabile.

Udienze da remoto

Con riferimento ai ricorsi notificati dal 1° settembre 2023, il Giudici e il personale amministrativo possono operare a distanza e l’udienza viene celebrata a distanza qualora tutte le parti ne abbiano fatto richiesta, con istanza depositata entro il termine per il deposito dei documenti (20 giorni liberi prima dell’udienza di trattazione).

Le udienze pubbliche dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria in composizione monocratica e quelle di trattazione dell’istanza cautelare si svolgono da remoto, salvo che una delle parti non ne chieda la trattazione in presenza.

La nuova procedura di conciliazione

Per le controversie soggette a reclamo la Corte di Giustizia Tributaria, ove possibile, può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione.

La proposta può essere formulata in udienza o fuori udienza. Se è formulata fuori udienza, è comunicata alle parti. Se è formulata in udienza, è comunicata alle parti non comparse.

La causa può essere rinviata alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo. Ove l’accordo non si perfezioni, si procede nella stessa udienza alla trattazione della causa.

La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale, nel quale sono indicati le somme dovute nonché i termini e le modalità di pagamento. Il processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente. Il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.

Qualora una delle parti ovvero il giudice abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del giudizio maggiorate del 50%, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata.

Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione

Rigetto immotivato del reclamo e responsabilità del funzionario

Per le controversie che seguono la procedura del reclamo, in caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta, per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio.

Questa condanna può rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione.

Testimonianza scritta

Se prima della riforma vigeva la regola del divieto di testimonianza nel processo tributario, tale impedimento viene superato ammettendosi la testimonianza scritta.

Infatti, la Corte di Giustizia Tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile.

Nei casi in cui la pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale

Onere della prova dell’Amministrazione finanziaria

La nuova disciplina introduce una nuova regola dell’onere della prova nel giudizio tributario, prevedendo che l’Amministrazione finanziaria deve provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato.

Dal canto suo, il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.

Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.

Udienza di sospensione ed esclusione di garanzia

La riforma dispone che l’udienza per la sospensione dell’atto impugnato deve essere fissata entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza e comunicata 5 giorni liberi prima dell’udienza.

Altresì, in ogni caso l’udienza di trattazione della sospensiva non può coincidere con l’udienza di merito, contrariamente a quanto puntualmente accadeva nei recenti anni.

La sospensione dell’atto impugnato non può essere sottoposta ad una prestazione di  garanzia quando il ricorrente possiede il “bollino di affidabilità fiscale” – ISA (Indici sintetici di affidabilità) ai
quali sia stato attribuito un punteggio di affidabilità pari ad almeno 9 negli ultimi tre periodi d’imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso per i quali tali punteggi siano disponibili.

Ufficializzata la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione

Con la novella del processo tributario viene anche ufficializzata l’istituzione, presso la Corte di Cassazione, della sezione civile incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie in materia tributaria

Il primo presidente adotta provvedimenti organizzativi adeguati al fine di stabilizzare gli orientamenti di legittimità e di agevolare la rapida definizione dei procedimenti pendenti presso la Corte di cassazione in materia tributaria, favorendo l’acquisizione di una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati alla sezione tributaria.

2. La Corte di Giustizia Tributaria competente

Per presentare un ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) contro gli atti impositivi o di riscossione dell’Agenzia delle Entrate è, in primo luogo, necessario individuare la Commissione territorialmente competente.

A tale riguardo, la regola generale da osservare è quella per cui le Corti di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissioni Tributarie Provinciali) sono competenti per i ricorsi proposti nei confronti degli enti impositori e di riscossione che hanno sede nelle relative circoscrizioni (art. 4 del D.Lgs. n. 546/1992). Per cui, è necessario verificare dove ha sede l’Ufficio che ha emesso l’atto impositivo o di riscossione e, di conseguenza, presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale competente per la relativa circoscrizione.

Qualora il contribuente presenti il proprio ricorso davanti ad una Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) territorialmente non competente, quest’ultima può rilevare anche d’ufficio la propria incompetenza e affermare la competenza di una diversa Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria), davanti alla quale, quindi, andrà riassunto il processo (art. 5 del D.Lgs. n. 546/1992).

La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente, nei limiti di quanto richiesto dalle parti nell’ambito del processo, ha diversi poteri istruttori, consistenti nella possibilità di effettuare accessi, richiedere informazioni, dati e chiarimenti.

Prima della riforma sopra descritta, davanti alle Corti di Giustizia Tributaria (all’epoca Commissione Tributarie Provinciali) non erano ammesse le prove per giuramento e per testimonianza, pur potendosi utilizzare le dichiarazioni rese da terzi al di fuori del processo. Adesso, invece, tale limite è stato superato, ammettendosi la testimonianza scritta. Nello specifico, la Corte di Giustizia Tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Altresì, nei casi in cui la pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale.

3. La difesa nel processo tributario

Nonostante la presentazione del ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) tuteli l’interesse diretto del contribuente destinatario di un atto impositivo o di riscossione, non sempre l’interessato può difendersi da solo in giudizio.

In particolare, la legge stabilisce che per controversie di valore fino a euro 3.000 (da intendersi come importo del tributo, escluse sanzioni e interessi, salvo che non si tratti di controversia sulle sanzioni, per il cui caso si farà riferimento all’importo di queste ultime), il contribuente può difendersi in giudizio anche senza l’assistenza di un difensore abilitato.

Diversamente, quando l’importo della controversia supera il limite di euro 3.000, il contribuente è tenuto a farsi assistere da un difensore abilitato, quali ad esempio un avvocato o un dottore commercialista iscritto all’Albo, oltre a diverse altre categorie di difensori indicate dalla legge.

Qualora si rendesse necessaria la difesa tecnica nel processo tributario, la procura può essere attribuita al difensore con atto pubblico, con scrittura privata autenticata o anche in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa venga certificata (art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992).

4. Gli atti impugnabili davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale)

Concentrandoci sugli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, impugnabili sono i provvedimenti con i quali si determina una precisa pretesa tributaria a carico del contribuente, anche qualora non ne venga richiesto l’immediato pagamento.

Chiaramente per impugnare un atto il contribuente deve averne la preventiva formale notifica da parte dell’Amministrazione finanziaria. Proprio per questo, qualora un atto non sia stato notificato al contribuente questo può impugnarlo anche dopo, insieme al successivo atto correttamente notificato attraverso il quale abbia avuto conoscenza anche dell’esistenza del primo.

La legge prevede che possono essere impugnati davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) i seguenti provvedimenti (art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992):

  • l’avviso di accertamento del tributo;
  • l’avviso di liquidazione del tributo;
  • il provvedimento che irroga le sanzioni;
  • il ruolo e la cartella di pagamento;
  • l’avviso di mora;
  • l’iscrizione di ipoteca sugli immobili;
  • il fermo amministrativo;
  • gli atti relativi alle operazioni catastali;
  • il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
  • il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
  • ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.

La tematica della tipologia di atti impugnabili davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) ha formato oggetto di recente pronuncia da parte della Corte di Cassazione, che ha affermato l’impugnabilità anche di alcuni atti non ricompresi nell’elenco fornito dalla legge, come ad esempio le comunicazioni di irregolarità fiscale.

In particolare, con Ordinanza 11 febbraio 2021, n. 3466, la Suprema Corte ha osservato che, come da orientamento ormai consolidato, in tema di contenzioso tributario l’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 del 1992, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (articoli 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) sia che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448.

Da ciò deriverebbe la facoltà, e non l’obbligo, di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni, fattuali e giuridiche, che la sorreggono, porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 del 1992.

Infatti già al momento della ricezione della notizia sorgerebbe in capo al contribuente l’interesse, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e quindi ad invocare una tutela giurisdizionale che assicuri il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Cass., 8/10/2007, n. 21045, in riferimento ad un invito al pagamento della Tosap, emesso dal Comune; 25/02/2009, n. 4513 a proposito di avviso di pagamento per contributi del Consorzio di bonifica).

A tale principio si sono conformate diverse pronunce, aventi ad oggetto specifici atti, non riportati tra quelli autonomamente impugnabili previsti dalla citata norma (cfr. Cass., 11/02/2015, n. 2616; 2/11/2017, n. 26129).

Ad esempio, a proposito della comunicazione inviata a seguito di controllo automatizzato, ai sensi del  articolo 36 bis, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, la Cassazione ha affermato che, nonostante l’elencazione tassativa degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, i principi costituzionali di buon andamento della pubblica amministrazione (articolo 97 Cost.) e di tutela del contribuente (articolo 24 e 53 Cost.) impongono di riconoscere l’impugnabilità di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni che la sorreggono, senza necessità di attendere l’atto conclusivo del procedimento di accertamento.

Ne consegue che anche la predetta comunicazione di irregolarità, portando a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta, è immediatamente impugnabile innanzi al giudice tributario (Cass., 11/05/2012, n. 7344; 19/02/2016, n. 3315).

La Suprema Corte ha concluso ritenendo che, anche nel caso di una comunicazione trasmessa al contribuente per l’applicazione di una sanzione per ritardato versamento di un’imposta, peraltro in forza di una disciplina che impone l’applicazione della sanzione piena, senza previsioni agevolative, costituisce una pretesa impositiva compiuta, che pertanto legittima il contribuente destinatario alla sua impugnazione, anche prima della notifica della cartella di pagamento (atto quest’ultimo espressamente compreso tra quelli elencati nel citato art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992).

Per quanto riguarda, invece, l’estratto di ruolo, se in passato la Corte di Cassazione si era mostrata aperta alla sua impugnabilità dinanzi alla giustizia tributaria, tale possibilità è stata ampiamente limitata con l’intervento del legislatore.

In particolare, l’art. 3-bis del D.L. n. 146/2021 (convertito con modificazione dalla Legge n. 215/2021), introducendo il comma 4-bis del D.P.R. n. 602/1973, ha previsto che l’estratto di ruolo non è impugnabile.  Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio:

  • per la partecipazione a una procedura di appalto (ai sensi dell’art. 80, comma 4, del Codice dei Contratti Pubblici, di cui al D.L. n. 50/2016);
  • oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici (di cui all’art. 1, comma 1,  lett. a), del Reg. del D.M. 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui al relativo art. 48-bis)
  • o per la  perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione.

Alcuni dubbi erano sorti in merito alla applicabilità retroattiva della citata norma preclusiva, vale a dire se la regola della non impugnabilità dell’estratto di ruolo fosse applicabile anche ai processi già pendenti al momento dell’entrata in vigore della relativa legge.

Tale punto è stato chiarito dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, la quale con sentenza 6 settembre 2022, n. 26283, ha stabilito che in tema di riscossione a mezzo ruolo, l’art. 3-bis del D.L. n. 146/2021, inserito in sede di conversione dalla Legge n. 215/2021, col quale, novellando l’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata.

Al contempo la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cast., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione.

5. Il Processo Tributario Telematico (PTT)

Per l’impugnazione degli atti notificati dall’Agenzia delle Entrate a decorrere dal 1° luglio 2019 è obbligatorio ricorrere davanti alle Corti di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissioni Tributarie Provinciali) avvalendosi del Processo Tributario Telematico, attraverso il quale la notifica e il deposito degli atti processuali vengono eseguiti in maniera esclusivamente digitale (artt. 16 e 16-bis D.Lgs. n. 546/1992).

Per effettuare il deposito del ricorso e degli altri atti processuali in forma telematica bisogna registrarsi all’applicazione PTT del Sistema informativo della Giustizia Tributaria (SIGIT).

Ai fini della registrazione al PTT bisogna disporre di:

  • connessione a Internet;
  • firma digitale;
  • casella di Posta Elettronica Certificata (PEC).

Una volta effettuata la registrazione si ha la possibilità di accedere al PTT per l’invio di documenti e per accedere al fascicolo informatico riguardante il ricorso presentato, che sarà visibile anche al giudice e alla controparte erariale.

L’obbligo di avvalersi del Processo Tributario Telematico è escluso solo per i contribuenti che possono stare in giudizio senza difensore rispetto alle controversie con valore fino a euro 3.000.

6. Impugnativa con Ricorso oppure con Reclamo?

Prima di formalizzare l’impugnazione, bisogna prima stabilire se questa debba essere fatta direttamente con ricorso oppure se questo debba essere preceduto da un reclamo.

Infatti, in alcuni casi la legge prevede che il contribuente debba presentare reclamo al fine di avviare un procedimento di mediazione con il Fisco per trovare una soluzione stragiudiziale alla questione e, quindi, evitare che questa possa approdare direttamente davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) (art. 17-bis D.Lgs. n. 546/1992).

Più in particolare, il reclamo è obbligatorio quando la controversia abbia un valore non superiore ad euro 50.000.

Le controversie di valore indeterminabile non sono sottoposte all’obbligo del preventivo esperimento del reclamo, salvo che non abbiano ad oggetto operazioni catastali, per le quali l’obbligo di reclamo continua ad operare.

Il reclamo deve essere presentato, a pena di inammissibilità, entro 60 giorni (oltre la sospensione feriale dei termini) dalla notifica dell’atto che intende impugnarsi, attraverso la sua notifica all’Agenzia delle Entrate.

Dopo la presentazione del reclamo, si apre un periodo di 90 giorni (oltre la sospensione feriale dei termini) entro il quale la procedura può essere conclusa attraverso un accordo con l’Ufficio e nel cui periodo sono sospesi la riscossione e il pagamento delle somme richieste al contribuente.

L’Ufficio provvede ad esaminare il reclamo e la eventuale proposta di mediazione con apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili e, qualora non intenda accogliere il reclamo o la possibile proposta di mediazione, formula una propria proposta alla luce della eventuale incertezza delle questioni controverse e grado di sostenibilità della pretesa nonché in ragione del principio di economicità dell’azione amministrativa.

Il raggiungimento di un accordo con l’Amministrazione finanziaria garantisce all’interessato un abbattimento delle sanzioni al 35% degli importi minimi previsti dalla legge per le violazioni commesse.

Qualora non venga trovato un accordo con l’Agenzia delle Entrate entro detto termine, al reclamo vengono dati gli effetti di un ricorso, cosicché al contribuente non rimane che costituirsi in giudizio davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) affinché questa si pronunci sulla causa.

7. La presentazione del ricorso

Qualora non debba essere presentato il reclamo, il contribuente può presentare direttamente il ricorso, attraverso la sua notifica all’Agenzia delle Entrate, anche questo entro il termine di 60 giorni (oltre la sospensione feriale dei termini) dalla notifica dell’atto che si intenda impugnare (art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992).

Si sottolinea come la mancata impugnazione dell’atto entro tale termine ne comporta la definitività, cosicché lo stesso ricorso presentato davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) verrà dichiarato inammissibile.

Il ricorso deve contenere le seguenti indicazioni (art. 18 del D.Lgs. n. 546/1992):

  • la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) cui è diretto;
  • il ricorrente e il suo legale rappresentante, la relativa residenza o sede legale o domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonchè il codice fiscale e l’indirizzo di posta elettronica certificata;
  • l’Ufficio nei cui confronti il ricorso è proposto;
  • l’atto impugnato e l’oggetto della domanda;
  • i motivi.
  • la sottoscrizione del contribuente oppure la sottoscrizione del difensore con l’indicazione della sua categoria, del conferimento dell’incarico, del suo indirizzo di posta elettronica certificata.

La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) dichiara inammissibile il ricorso se mancano o sono assolutamente incerti gli elementi sopra indicati, ad eccezione dell’indicazione del codice fiscale e all’indirizzo di posta elettronica certificata.

Una volta notificato il ricorso all’Agenzia delle Entrate, entro 30 giorni il ricorrente deve costituirsi in giudizio presso la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) (art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992)

8. Il Contributo Unificato Tributario (CUT)

All’atto della costituzione in giudizio il ricorrente è tenuto anche al pagamento del c.d. Contributo Unificato Tributario, nella misura di seguito indicata:

Importo della lite                      CUT da versare

Da                                a

€ 0                       € 2.582,28         € 30,00

€ 2.582,29          € 5.000,00          € 60,00

€ 5.000,01          € 25.000,00       € 120,00

€ 25.000,01       € 75.000,00        € 250,00

€ 75.000,01       € 200.000,00     € 500,00

€ 200.000,01     in su                    € 1.500,00

9. Svolgimento del processo davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale)

Una volta che il contribuente si è costituito in giudizio, toccherà all’Agenzia delle Entrate costituirsi in giudizio nel termine di 60 giorni, a seconda dei casi, entro il giorno in cui il ricorso le è stato notificato oppure dal diniego di reclamo o entro 90 giorni dalla presentazione del reclamo (art. 23 D.Lgs. n. 546/1992).

L’integrazione dei motivi di ricorso è ammessa solo se si rende necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione e deve essere fatta entro il termine di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito.

Diversamente, se è stata già fissata l’udienza per trattare la causa, l’interessato, a pena di inammissibilità, deve dichiarare, non oltre la trattazione in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende presentare dei motivi aggiunti. In questo caso la trattazione o l’udienza deve essere rinviata ad altra data per consentire la proposizione dei motivi aggiunti (art. 24 D.Lgs. n. 546/1992).

La fissazione dell’udienza di discussione della causa viene comunicata dalla segreteria della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) alle parti costituite almeno 30 giorni prima della data stabilita (art. 31 D.Lgs. n. 546/1992).

A questo punto, sia il ricorrente sia l’Agenzia delle Entrate possono depositare documenti fino a 20 giorni liberi prima della data di trattazione della causa, mentre fino a 10 giorni liberi prima le parti possono depositare memorie illustrative con le copie per l’altra parte. Solo in caso di trattazione della controversia in camera di consiglio sono consentite delle brevi deduzioni scritte fino a 5 giorni liberi prima della data della camera di consiglio (art. 32 D.Lgs. n. 546/1992).

La causa viene trattata in camera di consiglio, salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza, con apposita istanza da depositare nella segreteria e notificare alle altre parti costituite (art. 33 D.Lgs. n. 546/1992).

Quando l’udienza è svolta pubblicamente, il giudice relatore espone al Collegio i fatti e le questioni della controversia e quindi il Presidente permette alle parti di esporre le proprie argomentazioni difensive, elementi di cui viene dato atto nel versale d’udienza dal segretario (art. 34 D.Lgs. n. 546/1992).

Particolari regole, inoltre, sono state recentemente introdotte per la gestione del contenzioso tributario in modalità compatibili con l’emergenza da Covid-19.

Dopo l’udienza la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) delibera la decisione sulla causa in segreto in camera di consiglio, con sentenza che accoglie o rigetta il ricorso del contribuente, il cui dispositivo viene comunicato a quest’ultimo (artt. 35, 36 e 37 del D.Lgs. n. 546/1992).

Con la medesima sentenza la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio nonché, all’occorrenza, anche al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata in favore della controparte. Il Collegio giudicante può compensare le spese di giudizio tra le parti solo in caso di soccombenza reciproca delle stesse oppure qualora sia motivata alla luce delle gravi ed eccezionali ragioni rilevate nel caso di specie (art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992).

Proprio in ragione di quest’ultimo rilievo, è consigliabile ricorrere dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale) solo nel caso in cui le motivazioni a favore della impugnativa siano realmente fondate.

Infatti, operando diversamente il contribuente si vedrà rigettare il ricorso, normalmente con la condanna al pagamento delle imposte e delle sanzioni di cui all’atto impugnato nonché delle spese di giustizia, perdendo nel contempo anche l’occasione per definire l’atto impugnato attraverso gli istituti deflattivi del contenzioso che, se applicati per tempo, avrebbero garantito la considerevole riduzione degli importi dovuti a titolo di imposte e sanzioni.

10. Condanna alle spese come regola del contenzioso tributario: il ricorso non si “tenta”

E’ finita l’epoca dei tentativi di ricorso davanti alle Corti di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissioni Tributarie) in assenza di valide speranze di vittoria.

Con la riforma del contenzioso tributario al rigetto del ricorso segue l’automatica condanna del contribuente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Fisco, che si aggiungono a quelle già pagate per la propria difesa.

10.1. Prima della riforma: compensazione delle spese nel contenzioso tributario

Prima della riforma del contenzioso tributario era relegata alle Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie) la scelta di condannare la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio oppure di prevedere la compensazione delle spese (“ognuno paga la sua difesa”) anche in caso di rigetto del ricorso del contribuente.

In effetti le Corti di Giustizia Tributaria (ex Commissioni Tributarie) hanno fatto ampio uso della formula “Spese compensate”, nella maggior parte dei casi senza fornire adeguata motivazione di tale scelta.

Accedeva quindi che i contribuenti impugnassero un atto impositivo anche quando ritenevano che non vi fossero molte speranze di spuntarla, confidando che in caso di rigetto del ricorso la Corte di Giustizia Tributaria (Commissione Tributaria) non li condannasse al pagamento delle spese di giudizio in favore del Fisco.

10.2. Dopo la riforma: la condanna alle spese come regola del contenzioso tributario

Con la riforma del contenzioso tributario (D.Lgs. 156/2015, in vigore dal 1° gennaio 2016) le cose cambiano.

Adesso il giudice tributario ha il dovere di condannare la parte soccombente, quindi il rigetto del ricorso del contribuente significa anche la sua condanna al pagamento delle spese sostenute dal Fisco (art. 15, comma 1, D.Lgs. 546/1992).

Solo in casi eccezionali la Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) compensa le spese, vale a dire nelle ipotesi di soccombenza reciproca delle parti oppure di sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere specificamente motivate (art. 15, comma 2, D.Lgs. 546/1992).

In pratica il contribuente che perde il giudizio si trova a sostenere sia le spese per la propria difesa sia quelle per la difesa del Fisco, oltre a dover pagare le imposte, le sanzioni e gli interessi relativi all’atto impugnato.

Le spese per il Fisco sono calcolate in base alle tariffe relative ai compensi degli avvocati, previste dal D.M. 55/2014, ridotte del 20% (art. 15, comma 2-sexies, D.Lgs. 546/1992).

Nella sostanza, per una causa del valore di euro 18.000 il contribuente può essere condannato a pagare finanche circa euro 6.000 di spese dovute al Fisco.

Inoltre, tale importo va aumentato del 50%, arrivando ad euro 9.000, trattandosi di controversia introdotta con reclamo ai sensi dell’art. 17-bis del D.Lgs. 546/1992 (art. 15, comma 2-septies, D.Lgs. 546/1992).

10.3. Ulteriore possibilità di condanna per cd. lite temeraria

Le parti possono essere condannate, oltre che al pagamento delle spese di giudizio, anche al risarcimento dei danni per la loro responsabilità aggravata derivante da cd. lite temeraria (artt. 96 c.p.c. e 15, comma 2-bis, D.Lgs. 546/1992).

Ad esempio l’Agenzia delle Entrate può chiedere al giudice di condannare il contribuente al pagamento delle spese di giudizio e del risarcimento dei danni subiti, ritenendo che egli abbia agito in giudizio con mala fede o colpa grave.

Tuttavia, il legislatore in sede di riforma ha escluso la responsabilità aggravata del Fisco e, quindi, la sua condanna al risarcimento dei danni per i casi in cui, ad esempio, sulla base di una pretesa dichiarata inesistente, questi abbia eseguito un provvedimento cautelare o iniziato o compiuto una esecuzione forzata, senza adoperare la normale prudenza.

11. Errori da evitare e l’importanza di un difensore esperto

Sempre più spesso, nella pratica professionale, si assiste al perdurare di alcune convinzioni da parte dei contribuenti che, quando infondate, possono seriamente danneggiarne gli interessi economici, in modalità dagli stessi non immaginate.

Di seguito, quindi, si forniscono alcune indicazioni al fine di permettere ai contribuenti di evitare tali errori e di meglio tutelare i propri interessi.

In particolare, con riferimento all’opportunità di presentare ricorso, davanti alla Corte di Giustizia Tributaria competente, avverso gli atti del Fisco, il contribuente, in assenza di competenze tecniche in materia, può essere portato a ritenere che:

1. una pretesa del Fisco ritenuta apparentemente “ingiusta” sia da ritenersi illegittima (ERRORE);

2. la “verità dei fatti” sia sufficiente a giustificare l’illegittimità dell’atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, a vincere il giudizio (ERRORE);

3. l’esistenza di “precedenti favorevoli”, riguardanti situazioni simili alla propria, costituisca una garanzia di buon esito del proprio contenzioso, ovvero l’esistenza di una “causa vinta” (ERRORE).

Tali convinzioni sono ERRATE e possono essere ben disattese con il RIGETTO del ricorso presentato e la CONDANNA del contribuente al pagamento delle spese processuali. In questi casi, l’ULTERIORE DANNO che subisce il contribuente è quello di perdere la possibilità di aderire agli istituti deflattivi del contenzioso (in senso lato, ad es. ravvedimento operoso, acquiescenza, accertamento con adesione, conciliazione) e, quindi, di dover pagare le sanzioni in misura piena, senza alcuna riduzione (invece, possibile incaso di mancata impugnazione dell’atto impositivo e di attivazione dei predetti istituti).

Infatti, per un CORRETTO approccio alla questione, bisogna chiarire che:

1. in una materia tecnica come quella del diritto tributario, la pretesa del Fisco può ritenersi “ingiustaSOLO sotto il profilo tecnico, vale a dire quando violi specifiche norme di diritto che spetta al giurista-difensore, e non al contribuente, individuare;

2. la “verità dei fattinon ha valore assoluto nel processo di difesa, dovendosi, piuttosto, concentrarsi sull’articolazione della difesa, data dalla dimostrazione e l’argomentazione di detti fatti, attraverso gli strumenti del processo tributario, in modo da giungere ad una “verità processuale” che consenta di vincere il giudizio;

3. l’esistenza di “precedenti favorevoli”, in primo luogo, deve essere valutata dal difensore (in quanto la comunanza delle questioni sottese non deve mai essere data per scontata) e, in secondo luogo, non esclude mai la precisa articolazione delle proprie difese attraverso un uso esperto degli strumenti processuali, tale da ottenere l’accoglimento del ricorso.

In altri e più chiari termini, non esistono “cause vinte” in partenza, ma esistono cause in cui il difensore esperto riesca a vincere:

1. individuando le specifiche norme di diritto violate e, su tali basi, articolare la difesa del contribuente nel ricorso;

2. concentrandosi sulla dimostrazione e sull’argomentazione di detti fatti giungendo, attraverso gli strumenti del processo tributario, a far emergere una “verità processuale” che giustifichi l’accoglimento del ricorso;

3. individuando solo i precisi “precedenti favorevolipertinenti alla fattispecie esaminata e, anche a prescindere dagli stessi, svolgere una puntuale articolazione delle difese del contribuente, attraverso un sapiente uso degli strumenti del processo tributario, in modo da spianare la strada all’annullamento dell’atto impugnato.

Sulla base di quanto sopra descritto, emerge con chiarezza che, in presenza di una medesima fattispecie e di uno stesso atto impositivo, la differenza tra l’accoglimento del ricorso a favore del contribuente, da un lato, oppure il rigetto del ricorso del contribuente e la sua condanna al pagamento delle spese a favore del Fisco nonché la perdita della possibilità di aderire agli istituti deflattivi del contenzioso (e, quindi, pagare le sanzioni in misura piena), è data dalla scelta del contribuente di un difensore esperto che, con la sua conoscenza della materia tributaria e degli strumenti del processo tributario, meglio riesca a far emergere l’illegittimità dell’atto impugnato.

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12. La difesa tributaria di uno Studio Legale Tributario

Alla luce del fatto che il contenzioso tributario diventa sempre più “aleatorio” e le conseguenze della soccombenza particolarmente gravose per il contribuente, bisogna rivalutare il dialogo e il confronto con il Fisco e, in primo luogo, con l’Agenzia delle Entrate.

Soprattutto nelle questioni di fiscalità internazionali, particolarmente complesse e ricche di apprezzamenti valutativi, stabilire un rapporto dialettico con l’Agenzia delle Entrate – specialmente in sede di contraddittorio preventivo rispetto all’azione di accertamento – può evitare il protrarsi delle contestazioni in sede contenziosa, dove le Corti di Giustizia Tributaria potrebbero non avere la stessa “sensibilità” di un brillante funzionario del Fisco su materie come “transfer pricing”Controlled Foreign Companies”, “stabile organizzazione  e “crediti per imposte estere”.

Ebbene, in questi casi è meglio lasciare il contenzioso tributario come “ultima spiaggia”, ammesso che ve ne siano i presuppostipena la “scure” della condanna al pagamento delle spese di giudizio.

In queste scelte costituisce un passaggio fondamentale quello di rivolgersi ad uno Studio Legale Tributario, al fine di valutare con la massima cura:

  • la strategia più adatta per difendersi dall’avviso di accertamento;
  • la presenza di vizi che possano giustificare la presentazione di un ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado;
  • le possibilità che il ricorso possa essere accolto in Corte di Giustizia Tributaria di primo grado.

Trattasi, quindi, di una valutazione estremamente tecnica e meticolosa, che non può essere svolta dallo stesso contribuente che non abbia adeguata competenza ed esperienza nel contenzioso tributario.

In assenza delle predette valutazioni, da operarsi con l’assistenza di uno Studio Legale Tributario, il contribuente potrebbe correre il concreto pericolo:

  • o di sottovalutare degli strumenti per la definizione in “transazione” dell’avviso di accertamento e di avviare un contenzioso perso in partenza che lo vedrà costretto a pagare, oltre alle imposte e alle sanzioni dovute, anche le spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate (magari anche per diversi gradi di giudizio);
  • oppure, di pagare le somme richieste con l’avviso di accertamento, nonostante questo sia affetto da un grave vizio che, se denunciato con ricorso, avrebbe indotto la Corte di Giustizia Tributaria ad annullare l’intero atto impositivo, con nessuna imposta e sanzione dovuta dal contribuente.

Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza in materia di contenzioso tributario, assistendo persone fisiche e società nelle valutazioni degli strumenti più adatti al preciso caso concreto per la migliore difesa degli interessi del contribuente, le quali vengono svolte in 3 fasi:

  • analisi preliminare circa la sussistenza di vizi dell’avviso di accertamento e dello strumento più adeguato per farli valere;
  • valutazioni circa l’opportunità di avviare un contenzioso tributario;
  • eventuale assistenza del contribuente nella presentazione del ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.