La tematica dell’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni acquisisce sempre più importanza con l’intensificarsi degli scambi internazionali e la mobilità delle persone tra un Paese all’altro. Da questo punto di vista non si può fare a meno di notare che una corretta applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni non può prescindere da un’attenta interpretazione del testo che deve essere adoperato per regolare il preciso caso concreto, onde evitare di incorrere in violazioni della normativa fiscale.
Errori nell’interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni
Per comprendere l’importanza dell’interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni basta pensare che la prassi dimostra che per i “non addetti ai lavori” la prima lettura del relativo contenuto è spesso errata, per diverse ragioni, alcune delle quali sono di seguito riportate.
Uno degli errori più comuni nell’applicazione dei Trattati è quello di tralasciare l’approfondita analisi del preciso significato da attribuire ad ogni singola parola della Convenzione prima ancora di procedere a calare la relativa normativa nel caso in esame.
La via maestra per applicare in maniera errata una Convenzione contro le doppie imposizioni è quella di attribuire alle parole il significato che esse hanno nella normativa interna italiana. Nella pratica questa è la causa più frequente di cattiva interpretazione delle Convenzioni, che conduce a leggere il relativo testo in maniera completamente diversa da come dovrebbe essere inteso e applicato.
L’effetto è quello di addivenire alla doppia tassazione di un reddito che doveva essere evitata oppure all’esenzione di un reddito che andava assoggettato ad imposizione, con le dovute conseguenze in termini di accertamento delle maggiori imposte evase.
Bisogna sottolineare che le Convenzioni contro le doppie imposizioni riguardano i rapporti tra due Stati, quindi non v’è alcun motivo per ritenere che la legislazione interna del nostro Paese, salvo che sussista una precisa ragione, debba essere privilegiata rispetto a quella dell’altro Stato contraente.
Per cui le Convenzioni contro le doppie imposizioni hanno un proprio linguaggio, i cui contenuti possono dipendere dalle definizioni contenute nella stessa Convenzione, dal Modello di Convenzione che i Paesi hanno deciso di adottare, dagli altri accordi intervenuti tra le Parti, da consuetudini interpretative formatesi a livello internazionale, da regole del diritto internazionale, insieme alla normativa domestica dei Paesi coinvolti.
Non bisogna trascurare nemmeno il ruolo fondamentale che nell’interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni assume la storia dell’implementazione e dell’aggiornamento dei Modelli di Convenzione e il perché alcune disposizioni sono state preferite rispetto alle altre. Per esempio, solo uno sguardo all’evoluzione storica del Modello OCSE aiuta a comprendere perché nell’anno 2000 l’art. 14 sulle “Professioni indipendenti” sia stato eliminato oppure perché ai redditi degli “Artisti e sportivi” sia stato riservato, nell’art. 17, un trattamento differenziato rispetto a quello degli altri redditi ai quali potevano essere assimilati.
In relazione all’art. 17 del Modello di Convenzione OCSE è anche possibile dare un esempio di come il semplice approccio logico all’applicazione delle Convenzioni spesso non sia sufficiente se non si conosce la storia che si nasconde dietro molte disposizioni. Ed, infatti, non si potrebbe mai comprendere perché il Commentario all’art. 17 del Modello OCSE ne escluda l’applicazione agli ex politici che ricevono dei compensi per tenere delle conferenze all’estero, senza sapere che tale eccezione è stata inserita apposta per evitare la tassazione di uno degli ex presidenti degli Stati Uniti in relazione ad una sua conferenza all’estero.
Oppure, per quale motivo nel computo dei giorni di presenza fisica all’estero, ai fini della imposizione dei redditi di lavoro dipendente nel Paese straniero, i giorni di malattia andrebbero esclusi solo qualora il contribuente non riuscisse a lasciare il Paese ed è questa la causa per la quale non ha maturato l’esenzione dei redditi all’estero? Al di là della relativa possibile logica, anche questa eccezione ha i suoi retroscena.
Ebbene si, gli interessi personali trapelano non solo nelle leggi domestiche, ma anche nelle contrattazioni tra Stati che dovrebbero riguardare solo la generalità dei contribuenti. Tali aspetti aiutano senz’altro a scorgere il corretto modo di interpretare alcune disposizioni.
Ed, ancora, per quanto lo stesso Commentario al Modello OCSE possa apparire come un documento esplicativo affidabile, perché derivante dall’accordo dei Paesi membri OCSE, il relativo contenuto è ricco di contraddizioni (spesso i diversi redattori del commentario di articoli con implicazioni correlate non si relazionano a sufficienza sulle possibili incongruenze) ,che talvolta non si può far a meno di tenerne conto nel procedimento di interpretazione dei Trattati.
Esempi come questi se ne potrebbero fare tanti e ciò spiega come spesso la via più logica nell’interpretazione di una Convenzione può divenire anche quella più sbagliata se non si parte dalla radice storica delle singole disposizioni.
Altro comune errore nell’interpretazione e, quindi, applicazione delle Convenzioni è quello di guardare solo al suo testo in lingua italiana, quando invece nel testo straniero potrebbero esserci dei termini con significati più precisi che rendono il contenuto “tecnico” della disposizione da applicare.
Interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni
A livello internazionale esistono precise regole per interpretare i Trattati, le quali sono in primo luogo contenute nelle disposizioni della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969.
Quando bisogna interpretare le Convenzioni contro le doppie imposizioni, le regole interpretative in essa contenute devono, quindi, essere necessariamente combinate con quelle previste dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati.
A tal riguardo interessante è la posizione del Prof. John F. Avery Jones (Regno Unito), ribadita nel corso di un recente incontro, secondo il quale l’interpretazione delle parole contenute in una Convenzione contro le doppie imposizioni (OCSE) deve sempre muovere dal significato espresso dal relativo contesto, determinato dalle definizioni contenute nel medesimo trattato o dalle legislazioni domestiche dei Paesi interessati, il quale prevale sul significato espresso dalle definizioni incluse nella Convenzione e sulla legislazioni dei singoli Stati contraenti.
Qualora il descritto contesto conduca a disapplicare il significato espresso dalle definizioni convenzionali o dalle legislazioni domestiche dei singoli Paesi, allora bisogna ricorrere alle regole contenute nella Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969.
In tale procedimento particolare importanza assume anche il riferimento alla giurisprudenza straniera del Paese contraente perché, se è vero che il trattato deve essere interpretato alla stessa maniera da entrambe le parti, allora anche l’interpretazione che ne viene data dalla giurisprudenza dell’altro Stato risulta altrettanto importante (salvo “abusi protezionistici” che bisogna efficacemente individuare), soprattutto quando in Italia ancora non si è formata una giurisprudenza sul punto in questione.
Diversa questione riguarda la possibilità di applicare il Commentario OCSE nell’interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, per il qual caso bisogna prestare attenzione al fatto che le parti contraenti siano o meno membri dell’OCSE e, in ogni caso, se abbiano presentato delle “osservazioni” oppure delle “riserve”.
Inoltre, autorevole dottrina internazionale ritiene che il Commentario OCSE debba essere utilizzato con parsimonia ed avere una portata interpretativa di diversa intensità a seconda che il relativo aggiornamento fosse o meno già in vigore al momento della sottoscrizione del Trattato, fino a divenire non applicabile qualora disciplini istituti non inclusi nella singola Convenzione da applicarsi (Prof. Klaus Vogel, Germania).
Importanza per il contribuente della corretta interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni
Altro andrebbe detto in merito all’interpretazione dei Trattati, ma quanto esposto può rendere l’idea di come andrebbe articolata l’attività di interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni e delle numerose cautele che bisogna adoperare per arrivare ad applicare un Trattato nella maniera più corretta.
Troppo spesso, si ribadisce, le Convenzioni vengono lette con gli “stessi occhi” con i quali si guarda alla legislazione domestica, errore che spesso viene commesso dagli stessi giudici non solo in Italia ma anche nei Paesi stranieri. La particolare articolazione del processo di interpretazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni appare testimonianza del più volte descritto fenomeno della Fiscalità liquida©.
Dal punto di vista del contribuente si comprende bene che la corretta interpretazione e, quindi, applicazione della normativa convenzionale è fondamentale al fine di:
- conoscere il trattamento dei propri redditi a livello internazionale, per la loro ottimizzazione fiscale nonché per evitare contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria;
- difendere correttamente la propria posizione davanti all’Agenzia delle Entrate, che non sempre applica nel corretto modo le disposizioni convenzionali;
- impugnare i provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria, porgendo nel corretto modo le proprie difese davanti ai giudici della giurisdizione tributaria.
Per richiedere la difesa tributaria o una consulenza fiscale internazionale scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA