Eliminazione della doppia imposizione e credito d’imposta sui dividendi: cumulo possible

La Corte di Cassazione si è espressa sullo spinoso tema della possibilità di cumulare l’esenzione sui dividendi distribuiti da una società figlia italiana ad una società inglese, prevista dalla Direttiva UE Madre-Figlia per eliminare la doppia imposizione economica degli utili, e il credito d’imposta riconosciuto a favore della stessa società madre dalla Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Regno Unito, giungendo ad intravederne la possibilità.

1. Il credito d’imposta negato alla società madre inglese sui dividendi distribuiti dalla società figlia italiana

La questione approdata dinanzi alla Corte di Cassazione riguarda il caso di una società “madre”, residente nel Regno Unito, che si era vista rigettare, da parte dell’Agenzia delle Entrate (Centro Operativo di Pescara) la richiesta di rimborso del credito d’imposta, relativo ai dividendi percepiti (tra gli anni 2000 e 2003) da alcune società “figlie” con sede in Italia (da essa controllate), per un importo di oltre 23 milioni di euro, oltre interessi.

 La società “madre” inglese impugnava il provvedimento di diniego del rimborso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, denunciando, tra gli altri motivi, la violazione delle norme contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito e nella Direttiva UE “Madre-Figlia” (n. 435 del 1990).

Il ricorso veniva rigettato con sentenza che la società inglese provvedeva ad impugnare davanti alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo con appello che veniva, tuttavia, rigettato dal giudice di seconda istanza.

Nello specifico, la Commissione Tributaria Regionale, tra le altre argomentazioni, osservava che il credito d’imposta di cui all’art. 10, paragrafo 4, della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Regno Unito (stipulata in data 21 ottobre 1988, ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329) fosse incompatibile con esenzione da ritenuta sui dividendi di fonte italiana, fruito dalla società estera ai sensi dell’art. 27 bis del D.P.R. n. 600/1973 (in attuazione della Direttiva “Madre-Figlia”), essendo il rischio di doppia imposizione già stato perfettamente eliminato con quest’ultima misura.

La società inglese si vedeva, quindi, costretta ad agire contro la sentenza di appello, provvedendo alla sua impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione.

Tra i diversi motivi di legittimità fatti valere, la società straniera insisteva affinché la Corte di Cassazione rilevasse che, così come operato dal giudice di primo grado, anche la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, avesse fatto cattiva applicazione delle disposizioni recate dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito e dalla Direttiva UE “Madre-Figlia”.

Più in particolare, la società “madre” inglese riteneva che il suo diritto a richiedere il credito d’imposta sui dividendi di fonte italiana, previsto dall’art. 10, paragrafo 4, lett. b), della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito non fosse inficiato dal fatto che, in applicazione della Direttiva “Madre-Figlia” in Italia, gli stessi dividendi non fossero sati assoggettati a ritenuta alla fonte in quanto esentati. Infatti, il credito d’imposta sarebbe stato comunque, di per sé, funzionale ad evitare che la distribuzione dei dividendi italiani ad una società estera, scontando un trattamento sfavorevole rispetto al caso della loro distribuzione ad una società italiana, fosse penalizzata, in quanto non trattata in maniera “neutrale” richiesto dalla normativa dell’Unione europea.

2. La Corte di Cassazione: esenzione sui dividendi e credito d’imposta compatibili se mirano alla “neutralità”

La Suprema Corte, con la sentenza 31 gennaio 2020, n. 2313, si è espressa sulla predetta domanda della società “madre” inglese muovendo dall’analisi della Direttiva “Madre-Figlia” per verificarne la compatibilità con le disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Regno Unito.

In primo luogo, la Corte di legittimità ha osservato come la Direttiva “Madre-Figlia” disponga che la normativa fiscale che regola le relazioni tra le società “madri” e le società “figlie” (quindi, partecipate dalle prime) in generale sono meno favorevoli di quelle applicabili quando tali società si trovano in uno stesso Stato Membro, per cui al fine di raggiungere la formazione di un raggruppamento di società che operino in maniera “neutrale” a livello comunitario, è necessario che queste penalizzazioni delle operazioni transnazionali vengano meno.

Infatti, la Direttiva “Madre-Figlia” consente che ulteriori misure per eliminare la doppia imposizione economica sui dividendi vengano previste dalle disposizioni nazionali oppure quelle contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, come appunto quella relativa al riconoscimento di crediti d’imposta ai beneficiari effettivi dei dividendi residenti nell’altro Paese contraente.

Quest’ultimo, appunto, sarebbe il caso della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Regno Unito che, all’art. 10, paragrafo 4, lett. b), prevede il diritto della società “madre” inglese, a determinate condizione, di fruire di un credito d’imposta, di un certo ammontare, con riferimento ai dividendi di fonte italiana distribuiti dalle società “figlie”.

Più nello specifico, la Suprema Corte ha ritenuto che nel caso di specie dovesse prendersi in debita considerazione il principio della “neutralità” della tassazione nei rapporti transnazionali tra società operanti all’interno dell’Unione europea.

Da questo punto di vista,è stato rilevato come, ai sensi della recente sentenza della Corte di Giustizia UE del 19 dicembre 2019, emessa nell’ambito della causa C-389/18 (Brussels Securities), la circostanza che la distribuzione dei dividendo da parte della società figlia non sia stato assoggettata a ritenuta in Italia non elimina necessariamente il rischio di doppia imposizione economica e di violazione della neutralità fiscale, soprattutto laddove gli stessi dividendi vengano ricompresi nella base imponibile della società “madre”.

La Suprema Corte ha ricordato, infatti, che si ha doppia imposizione “economica” quando due Stati sottopongono a imposizione contribuenti diversi per lo stesso reddito (cfr. Sentenze della Corte di Cassazione, Sez. V, nn. 29635-30140-30147 del 2019), laddove la sua eliminazione della prima è obiettivo tipico dell’Unione europea.

Nel caso in esame i Giudici di legittimità hanno osservato che, così come stabilito dalla Stessa Commissione Tributaria Regionale, i dividendi in questione erano stati inclusi dalla società “Madre” nella base imponibile ai fini del rapporto con il fisco inglese, per il fatto che la società “madre”, residente nel Regno Unito, ha subito una tassazione corrispondente ad una aliquota applicata sui redditi della società comprensivi dei dividendi ricevuti dalla partecipata italiana, per quanto poi avessero usufruito di un “credito di imposta indiretto” (Underlying Tax Credit) e non avesse pagato imposte nel Regno Unito.

Al fine di verificare la “neutralità” fiscale della distribuzione dei dividendi in questione sarebbe necessario tenere in considerazione non solo la tassazione diretta di dividendi in capo alla società madre, ma anche quella indiretta, derivante dall’applicazione di meccanismi che, per quanto abbiano come effetto la esenzione o deduzione dei dividendi, potrebbero causare un trattamento della società estera peggiore di quello spettante qualora società “madre” e “figlia” fossero residenti nello stessa Stato Membro.

Non avendo la Commissione Tributaria Regionale verificato se, in assenza del riconoscimento del richiesto credito d’imposta “convenzionale”, il trattamento riservato alla società “madre” inglese sia stato non “neutrale”, ovvero peggiorativo rispetto a quello che sarebbe stato applicato nel caso in cui società “madre” e “figlia” fossero state residenti nello stesso Paese Membro, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società contribuente, dichiarato illegittima la sentenza di secondo grado e rinviando la questione al Giudice d’appello affinché decida secondo l’enunciato principio di diritto.

La sentenza in questione, al di là della circostanza della fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione europea, mantiene la sua importanza per quanto concerne i rapporti tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione europea con cui questa abbia in essere delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, al fine di comprendere quando, nonostante l’applicazione della Direttiva “Madre-Figlia”, i benefici convenzionali possano essere comunque rivendicati dalla societàmadre” in virtù dell’applicazione del “principio di neutralità” operante all’interno del Mercato Unico comunitario.   

3. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto

Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, perché all’atto pratico la normativa fiscale internazionale è costellata di eccezioni e deroghe da applicarsi a seconda dei dettagli del preciso caso concreto in esame e che, quindi, non possono essere sottovalutate.

La fiscalità internazionale è la materia dei dettagli. Spesso accade che, anche un singolo dettaglio del caso concreto, apparentemente irrilevante, richieda una soluzione della problematica completamente diversa da quella ritenuta adeguata a un primo sguardo della situazione.

Inoltre, l’approfondimento della situazione concreta spesso esclude delle irregolarità che il contribuente pensava di aver commesso e, invece, mette in luce delle problematiche che il contribuente nemmeno pensava di avere.

Questo può capitare se il contribuente esamina la propria posizione dal punto di vista di una sola norma ritenuta “a priori” applicabile, quando, invece, il caso deve essere inquadrato, attraverso la necessaria analisi condotta alla luce dell’intero ordinamento tributario, sotto il profilo di una diversa norma.

Quindi, l’analisi fiscale internazionale è necessaria per inquadrare tutti i dettagli sostanziali del caso in esame ed evitare errori di valutazione da cui possano scaturire violazioni fiscali che darebbero luogo al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, tali da erodere il reddito prodotto dal contribuente e causargli un grave danno economico.

D’altra parte, la difesa da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può mai essere efficace quanto la prevenzione delle violazioni fiscali attuata con una strategia di analisi preventiva.

Quindi la verifica da parte di un professionista specializzato in fiscalità internazionale circa le problematiche del preciso caso concreto costituisce un passaggio essenziale.

Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’analisi delle questioni di fiscalità internazionale.  

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.