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Recentemente l’Agenzia delle Entrate ha avviato un’azione di controllo a tappeto nei confronti dei dipendenti delle ambasciate e dei consolati degli Stati esteri presenti in Italia, al fine di verificare la corretta applicazione del regime di esenzione fiscale accordato dalla normativa internazionale ai dipendenti di ambasciate e consolati nonché, in caso di violazione di dette disposizioni, di procedere al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni e degli interessi consequenziali.
La normativa fiscale italiana prevede il principio generale, di cui agli artt. 2 e 3 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), per cui sono imponibili in Italia i redditi ovunque prodotti da parte dei soggetti ivi fiscalmente residenti.
Inoltre la normativa domestica dispone che sono imponibili in Italia anche taluni redditi percepiti dai soggetti non residenti, se prodotti in Italia, tra i quali l’art. 23 del TUIR annovera i redditi di lavoro dipendente prestato in Italia.
Tale disciplina, tuttavia, subisce delle deroghe sia da parte della normativa internazionale sia da parte di quella domestica, quando i redditi di lavoro dipendente sono prodotti in Italia da parte dei dipendenti di rappresentanze diplomatiche, quali ad es. ambasciate e consolati.
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1. L’esenzione fiscale dei dipendenti di ambasciate e consolati secondo la normativa internazionale
1.1. La Convenzione di Vienna
Tra le disposizioni che fanno eccezione al principio generale di imposizione dei redditi prodotti in Italia troviamo l’art. 49 della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1963, rubricato “Esenzione fiscale”, il quale prevede che i funzionari consolari, gli impiegati consolari e i membri delle rispettive famiglie sono esenti da ogni imposta e tassa e, quindi, anche dalle imposte sui redditi percepiti per l’attività consolare svolta. Detta esenzione, d’altra parte, non opera per i soggetti che abbiano acquisito la cittadinanza italiana.
Ancora, l’esenzione non vale relativamente ai redditi privati, ivi compresi i redditi di capitale che abbiano fonte in Italia oppure derivanti da imprese commerciali o finanziarie situate nel nostro Paese.
1.2. Il Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni
Qualora lo Stato a cui appartiene la rappresentanza diplomatica abbia sottoscritto con l’Italia una Convenzione contro le doppie imposizioni, il trattamento dei redditi percepiti dai dipendenti di ambasciate e consolati deve tener conto anche delle relative disposizioni.
Più precisamente, il Modello OCSE di Convenzione, a cui tendenzialmente si ispirano gli Stati per la stipulare dei Trattati contro le doppie imposizioni, all’art. 19, rubricato “Funzioni pubbliche”, prevede che le remunerazioni pagate da uno Stato ad una persona fisica come corrispettivo per le attività rese nei suoi riguardi, possono essere tassate solo in tale Stato.
Al contrario, dette remunerazioni pagate da uno Stato possono essere tassate nell’altro Paese in cui vengono effettivamente eseguite le attività, a condizione che la persona fisica sia residente in quest’ultimo Paese ed, ancora, che ne abbia la nazionalità oppure che ne abbia acquisito la residenza fiscale anche per scopi differenti rispetto a quello di prestare la propria attività in favore dell’altro Stato.
Per cui, in quest’ultimo caso, i dipendenti di ambasciate e consolati non potrebbero che ritenersi assoggettati al potere impositivo dell’Italia anche con riferimento ai redditi derivanti dalla relativa attività lavorativa prestata al servizio delle rappresentanze consolari.
2. L’esenzione fiscale dei dipendenti di ambasciate e consolati secondo la normativa italiana
Le disposizioni in materia di esenzione dei dipendenti di ambasciate e consolati sono previste anche dalla normativa interna italiana.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del D.P.R. n. 601/1973, i redditi che gli ambasciatori e gli agenti diplomatici degli Stati esteri accreditati in Italia ritraggono dall’esercizio delle proprie funzioni sono esenti dalle imposte sui redditi.
Altresì, l’art. 4, comma 2, del D.P.R. n. 601/1973 estende la predetta esenzione, a condizioni di reciprocità con l’altro Stato, anche agli agenti consolari e agli impiegati delle rappresentanze diplomatiche e consolari dei Paesi esteri. Tuttavia questa esenzione è condizionata al fatto che tali soggetti non siano cittadini italiani e che non appartengano alla Repubblica italiana.
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3. Dipendenti di ambasciate e consolati: i controlli dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate ha avviato dei controlli nei riguardi dei dipendenti di ambasciate e consolati, per verificare se coloro che si sono avvalsi della esenzione fiscale relativamente all’imposizione diretta ne hanno tutti i requisiti previsti dalla normativa internazionale e dalla normativa domestica italiana.
In pratica, l’Amministrazione finanziaria non incontra grandi difficoltà a reperire i dati dei dipendenti di ambasciate e consolati in Italia, perché anche quando questi non presentano una dichiarazione dei redditi in Italia, le relative informazioni possono, ad esempio, essere ricevute dall’INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale).
Infatti, dal momento che gli obblighi di natura previdenziale relativi ai dipendenti di ambasciate e consolati in Italia vengono assolti nei riguardi dell’INPS, quest’ultimo dispone delle informazioni riguardante le remunerazioni percepite da questi soggetti, le quali sono a disposizione dell’Agenzia delle Entrate.
Ebbene sulla base di queste ultime informazioni, l’Agenzia delle Entrate sta verificando se i contribuenti rispettano i requisiti per beneficiare dell’esenzione dei relativi redditi, richiedendo specifici chiarimenti in merito e procedendo al recupero delle imposte evase quando ritiene che non sussistano i presupposti per il predetto beneficio fiscale.
In caso di contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria è necessario procedere, in primo luogo, alla verifica delle precise funzioni svolte dai dipendenti di ambasciate e consolati nonché degli ulteriori dettagli del caso, al fine di inquadrarne correttamente la fattispecie concreta. Quindi si può passare ad applicare le norme che più correttamente disciplinano l’ipotesi in esame.
Bisogna, altresì, anche tener conto, oltre che delle norme codificate, anche dei rapporti diplomatici sussistenti tra l’Italia e i singoli Stati considerati nonché del fatto che la disciplina internazionale non ha solo come fonte i trattati ma anche le consuetudini formatesi nei rapporti tra gli Stati.
All’esito di tale processo è possibile verificare se i redditi percepiti da tali soggetti siano o meno imponibili in Italia e, quindi, stabilire se conviene regolarizzare la posizione fiscale oppure opporsi all’azione di accertamento dell’Agenzia delle Entrate impugnando i relativi atti impositivi.
In quest’ultimo caso, bisognerà impugnare l’avviso di accertamento davanti alla Commissione Tributaria Provinciale territorialmente competente per ottenerne l’annullamento, tenendo conto dei motivi che possono essere proposti e le probabilità che possano essere accolti dal Collegio giudicante.
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