Esterovestizione societaria: accertamento valido con sede effettiva in Italia

La tematica della esterovestizione societaria torna sempre più frequentemente ad interessare la Corte di Cassazione, che con diverse ultime pronunce ha avuto l’occasione di precisare le condizioni affinché una società estera possa ritenersi “esterovestita”, tale da giustificare l’attività di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

Con la sentenza in commento, in particolare, gli Ermellini si sono pronunciati in merito alla esterovestizione di alcune società formalmente residenti in Olanda, destinatarie di alcuni avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate per il recupero delle imposte dirette e IVA ritenute evase in Italia.

1. Il caso: le società olandesi esterovestite

Il caso di cui parliamo trae origine da alcuni avvisi di accertamento elevati dall’Agenzia delle Entrate – per omessa presentazione della dichiarazione in Italia ai fini delle imposte dirette e IVA – a carico di alcune società di diritto olandese, formalmente residenti in Olanda, le quali venivano ritenute, in realtà, fiscalmente residenti in Italia.

Nello specifico, a seguito di alcune indagini condotte a carico delle dette società olandesi, l’Agenzia delle Entrate giungeva alla conclusione che, sebbene sulla “carta” le decisioni strategiche delle stesse venissero adottare in Olanda, nei fatti gli impulsi volitivi partivano sempre dall’Italia. In altre parole, le società olandesi venivano ritenute “eterodirette” dall’Italia, dove venivano prese la maggior parte delle decisioni, dalle più importanti a quelle ordinarie, residuando alle società estere la loro mera esecuzione.

Gli avvisi di accertamento venivano impugnati dalle società davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, la quale ne rigettava i ricorsi con sentenza che veniva impugnata dalle stesse contribuenti davanti alla Commissione Tributaria Regionale per ottenerne la riforma.

La Commissione Tributaria Regionale, pronunciandosi sul merito della contestata esterovestizione delle società olandesi, rilevava come la sede amministrativa ed effettiva di queste ultime non potesse identificarsi in Olanda, bensì in Italia, così come sostenuto e provato dall’Agenzia delle Entrate.

I giudici di appello giungevano a tale conclusione sulla base dei seguenti elementi:

  • la direzione, le decisioni, le strategie e le autorizzazioni di investimento e di spese (dalle più importanti, in materia statutaria e contabile, alle più modeste, come quelle riguardanti la partecipazione a corsi di inglese, pagamento di spese mediche o di cancelleria minuta) relative alle società olandesi venivano adottate in Italia dai vertici di una società italiana, residenti in Italia, identificati come i responsabili delle stesse;
  • nessuna prova veniva prodotta dalle società agli atti del giudizio che autorizzasse a ritenere che le decisioni, le deliberazioni e le direttive delle società avessero la loro origine in Olanda;
  • la maggior parte della corrispondenza, pur avendo l’intestazione delle società olandesi, era di fatto sottoscritta in Italia, circostanza desunta dall’esame delle lettere di trasmissione spedite dall’Italia in Olanda;
  • gli amministratori italiani delle società non erano presenti di persona alle riunioni che si tenevano in Olanda, bensì erano sostituiti per delega, e le decisioni che venivano inserite nei verbali di assemblea dall’unico amministratore olandese venivano già precedentemente adottate in Italia; in altri termini, alle riunioni tenutesi in Olanda nulla veniva discusso, essendo le decisioni già “preconfezionate” in Italia;
  • la sede di Amsterdam delle società olandesi, di limitate dimensioni e con soli 2 dipendenti, non era altro che un luogo dove venivano posti in esecuzione gli ordini provenienti dall’Italia.

Su queste basi la CTR concludeva che le società olandesi fossero da ritenersi fiscalmente residenti in Italia, ritenendo legittimi gli addebiti contenuti negli impugnati avvisi di accertamento e confermando la decisione di primo grado.

Non contente del risultato ottenuto, le società contribuenti (ad eccetto di una che optava per la definizione agevolata della lite ai sensi del D.L. n. 148/2017) impugnavano la decisione davanti alla Corte di Cassazione, per vederne accertata la illegittimità.

2. La Cassazione: in assenza di prova contraria l’esterovestizione societaria è confermata

Rigettate diverse questioni preliminari sollevate dalle ricorrenti, la Suprema Corte ha concentrato la propria attenzione sul motivo di ricorso relativo alla illegittimità della sentenza di secondo grado per violazione, tra le altre norme, dell’art. 73, comma 3, del TUIR (il quale prevede che, ai fini delle imposte dirette, sono da considerarsi residenti in Italia le società che nel relativo territorio hanno, per la maggior parte del periodo d’imposta, la sede legale, la sede amministrativa e l’oggetto principale), e dell’art. 4 della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Olanda (che individua la “direzione” effettiva come criterio per risolvere i “conflitti di residenza”), relativi alla residenza fiscale delle società nonché dell’art. 49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in  merito alla libertà di stabilimento delle società nel territorio dell’Unione europea.

Per prima cosa gli Ermellini ricordano che per “esterovestizione” si intende il fenomeno del trasferimento “fittizio” della residenza fiscale all’estero, in Paesi a fiscalità privilegiata, con l’intento di ottenere un indebito vantaggio fiscale rispetto a quello previsto dall’’ordinamento fiscale italiano.

Il Collegio prende atto dei limiti che incontra la contestazione di esterovestizione qualora le società operino all’estero nell’esercizio della propria libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 49 del TFUE.

D’altra parte, però, non si fa a meno di notare che, come chiarito a più riprese dalla Corte di Giustizia UE (nelle sentenze Cadbury Schweppes e Planzer Luxemburg Sarl), il principio della libertà di stabilimento garantisce le società che operano all’estero, al fine di fruire di un migliore trattamento fiscale, a meno che ciò non costituisca un abuso del diritto ovvero qualora l’insediamento estero costituisca una costruzione di “puro artificio” privo di alcuna sostanza economica.

Infatti, la libertà di stabilimento, intesa in maniera genuina, implica l’esercizio dell’attività in un diverso Paese dell’Unione europea, al fine di trarne un vantaggio fiscale, a condizione che ciò di realizzi in costanza di un’attività economica di tempo indeterminato, con strutture adeguate a giustificare l’operatività della società.

Per cui la libertà di stabilimento non viene riconosciuta a quelle società che, sulla base di un insieme di elementi oggettivi, abbiano come unico scopo quello di fruire di un vantaggio fiscale all’estero senza che a ciò si accompagni il perseguimento di altri scopi di natura imprenditoriale.

In secondo luogo, nonostante le società ricorrenti lamentassero che la CTR avesse illegittimamente identificato, sotto il profilo definitorio, la “sede amministrativa” della società con la sede di “direzione effettiva” (per ricondurre la loro residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 73, comma 3, del TUIR), il Supremo Collegio ha affermato che tale corrispondenza fosse da ritenersi corretta.

La Suprema Corte ha precisato che la nozione di “sede amministrativa” a cui fanno riferimento sia l’art. 73, comma 3, del TUIR sia lo stesso art. 4 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e l’Olanda, debba interpretarsi come la sede effettiva, vale a dire il luogo dove:

  • hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente;
  • vengono convocate e svolte le assemblee;
  • si estrinsecano i rapporti tra gli organi interni o tra questi e i terzi in vista del compimento degli affari e dell’impulso delle attività del soggetto.

Calando dette considerazioni nel caso in esame, gli Ermellini hanno rilevato come il Giudice di secondo grado, alla luce di tutta la documentazione prodotta in giudizio dalle parti, avesse ragionevolmente ritenuto che la sede di direzione effettiva/amministrativa non si trovasse in Olanda, bensì in Italia, perché da quest’ultimo Paese partivano tutti gli impulsi volitivi delle società estere.

Sono state, ancora, disattese le eccezioni delle società ricorrenti, secondo cui il la CTR non avesse considerato la documentazione da loro prodotta, in quanto, ha notato la Suprema Corte, dette supposte evidenze probatorie, oltre a non essere specificamente individuate nel giudizio di legittimità, appaiono essere state prese in considerazione a detta del Collegio d’appello. Tanto è bastato alla Corte di Cassazione per liquidare l’eccezione, atteso che nel giudizio di cassazione non è ammessa la rivalutazione dell’accertamento in punto di fatto compiuto nel giudizio di merito.

Su queste basi, la Corte di Cassazione con sentenza 21 giugno 2019, n. 16697, ha rigettato il motivo di ricorso relativo all’esterovestizione societaria, confermando, sotto questo profilo, gli accertamenti fiscali dell’Agenzia delle Entrate.

Nonostante il giudizio di legittimità sopra commentato abbia condotto alla sconfitta delle società contribuenti, una morale può trarsi.

In particolare, in presenza di accertamenti fiscali per esterovestizione societaria la strategia processuale non può più fondarsi sulle mere eccezioni formali, dovendosi la difesa concentrare sugli elementi sostanziali che avvalorano la posizione delle società contribuenti.

In assenza di prove concrete a favore delle società contribuenti, correttamente identificate e contestualizzate nell’ambito degli atti di difesa, idonee a dimostrare che queste non costituiscano costruzioni di puro artificio, bensì svolgano attività effettive non tese al solo ottenimento del solo vantaggio fiscale, la via del contenzioso tributario è sicuramente in salita, con l’ulteriore pericolo della condanna al pagamento delle spese del giudizio.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.