Quando si parla di fiscalità internazionale e di redditi percepiti in Stati stranieri occorre in primo luogo prendere in considerazione la normativa nazionale ed evitare il regime delle doppie imposizioni: quello del Paese di residenza dell’esercente la prestazione e quello in cui la stessa è avvenuta.
La Cassazione con Ordinanza n. 21865/18 è intervenuta sul tema della fiscalità internazionale con riguardo alle prestazioni professionali degli artisti, chiarendo aspetti senza dubbio controversi.
1. La vicenda: la tassazione di artisti stranieri per prestazioni eseguite in Italia
La pronuncia trae origine dal ricorso che l’Agenzia delle Entrate aveva presentato alla Suprema Corte al fine di ottenere la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria della Regione Lombardia con la quale erano stati annullati gli avvisi di accertamento per mancate ritenute IRPEF che la stessa Agenzia fiscale aveva inoltrato ad una società operante nel settore della moda, con riferimento ai compensi erogati ad artisti (nella specie si trattava di modelli e modelle stranieri), per l’esecuzione di video professionali girati in Italia negli anni di imposta 2000 – 2003.
La questione di diritto attiene alla natura delle prestazioni professionali dei modelli e delle modelle.
La normativa sulla fiscalità internazionale, cui è espressione la convenzione OCSE prevede, in considerazione delle particolari caratteristiche dell’attività svolta da artisti e sportivi non residenti, un’apposita disposizione normativa.
Si tratta di categorie di professionisti che molto spesso si trovano a svolgere la propria attività in territori diversi da quello di residenza, per un periodo di tempo molto limitato, quello cioè strettamente necessario allo svolgimento della prestazione programmata e senza disporre di una base fissa per la loro attività, ma ciononostante possono essere precettori di redditi molto elevati.
Questo giustifica la predisposizione di un’apposita deroga alla regola generale fissata dagli artt. 14 e 15 del Modello della Convenzione OCSE, laddove prevede che i redditi conseguiti dagli artisti siano imponibili nello Stato in cui viene svolta l’attività da cui essi traggono origine oltre che nel proprio Stato di residenza, pure in assenza di una base fissa o di un periodo minimo di permanenza in esso (art. 17 Convenzione OCSE).
La ragione è quella di evitare e prevenire il manifestarsi di condotte elusive tendenti a localizzare i redditi derivanti dall’attività artistica in Stati caratterizzati da una elevata pressione fiscale.
Da un punto di vista soggettivo, tale previsione si applica a:
- Professionisti dello spettacolo, artisti di teatro, cinema, della radio o della televisione;
- Musicisti
- Sportivi
Si tratta ad ogni modo di una elencazione non tassativa ma con sole finalità esemplificative.
2. Il quadro normativo: l’art. 3 TUIR e la Convenzione OCSE
La legittimazione impositiva è determinata preliminarmente dalla legge nazionale e, successivamente, dal dettato convenzionale (della Convenzione contro le doppie imposizioni applicabile nel caso di specie) il quale può derogare al diritto nazionale.
Per quel che concerne il diritto nazionale, il riferimento normativo è all’art. 3 del D.P.R. n. 917 del 1986 che al comma 1, dispone che tutti i soggetti residenti siano tassati in Italia per tutti i loro redditi, compresi quelli percepiti all’estero; diversamente i non residenti saranno tassati esclusivamente sui redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano.
L’elenco dei redditi che si considerano prodotti in Italia è contenuto nell’articolo 23 dello stesso decreto e vi ricomprendono:
- I redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato (articolo 23, comma 1, lettera d) del DPR n. 917/86);
- I redditi di collaborazione coordinata e continuativa corrisposti da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti (articolo 23, comma 2, lettera b) del DPR n. 917/86).
Anche il dettato convenzionale dispone che in materia di lavoro indipendente, l’esercente la professione autonoma sia soggetto a tassazione soltanto nel proprio stato di residenza anche se le prestazioni siano state eseguite in altro un altro Paese contraente, a meno che quest’ultimo non disponga in esso di una “base fissa” per la propria attività. In tal caso la potestà impositiva apparterrà allo Stato ove le prestazioni sono avvenute.
Rientrano nell’elenco delle libere professioni soggette al dettato convenzionale citato, le attività scientifiche, letterarie, artistiche, con finalità educative pedagogiche, nonché l’attività di medico, avvocato, ingegnere, architetto, dentista e contabile.
Senonché, come anticipato, tale disposizione generale è derogata dall’art. 17 del Modello OCSE di Convenzione, il quale precisa che per le prestazioni professionali eseguite da un artista di teatro, del cinema, della radio, della televisione o da un musicista (nonché da uno sportivo) i redditi percepiti possono essere tassati nello stato in cui tale prestazione è avvenuta senza che sia necessario ricorrere al criterio della “base fissa” dell’attività.
La ratio risiede nella necessità di sottoporre a tassazione immediata nello Stato in cui esse si manifestano tutte quelle prestazioni che per loro stessa natura sono suscettibili di assicurare redditi considerevoli in un arco temporale limitato, ed evitare così le condotte elusive sopra menzionate.
Peraltro, molto spesso il reddito derivante dal lavoro svolto dall’artista è imputato ad agenzie o società (le cd star company); ebbene, anche in questo caso, l’imposizione fiscale potrà avvenire secondo la normativa dello Stato ove la prestazione è stata eseguita (paragrafo 2, art. 17 OCSE).
3. “La stabile organizzazione” è criterio di riferimento per la tassazione delle persone giuridiche
Se per la tassazione delle persone fisiche, si ricorre al criterio della residenza fiscale nel territorio dello Stato, per le persone giuridiche si fa riferimento a due diversi parametri. È necessario che la società in questione abbia alternativamente: la residenza fiscale o una stabile organizzazione nel territorio dello Stato interessato.
A livello di legislazione interna, il concetto è definito dall’art. 162 TUIR che ricalca sostanzialmente la nozione dettata dalla Convenzione OCSE.
La stabile organizzazione coincide con l’esistenza di una sede fissa di affari che consente all’impresa non residente di svolgere in tutto o in parte la propria attività professionale sul territorio di quello Stato. Essa coincide con l’esistenza di una sede di direzione, di una succursale, di un ufficio, o di una officina,di un laboratorio o simili.
Peraltro, di recente, la nuova legge di bilancio 2018 ne ha ampliato la nozione introducendo il nuovo comma f bis. Ad oggi si intendono ricomprese tutte quelle attività che presentano nel territorio italiano una sede di affari e che abbiano i criteri della disponibilità, della stabilità, come intesa dalla Convenzione sulla base di un ampio margine temporale, anche non continuativo, ed infine della strumentalità rispetto all’attività svolta dalla società.
4. La decisione della Corte di Cassazione
Il quadro normativo appena delineato deve fare i conti con la fattispecie presa in esame nell’ordinanza in commento.
L’attività oggetto di imposizione concerneva la realizzazione di video pubblicitari.
Si tratta, a parere della Suprema Corte, a ben vedere, di una attività non rientrante nell’alveo delle categorie propriamente dette artistiche, trattandosi piuttosto di prestazioni di carattere personale, tipiche dei prestatori di lavoro autonomo o d’impresa.
Peraltro, il vero centro della questione – a giudizio della Suprema Corte – deve rinvenirsi non tanto nell’indagine sulla natura della prestazione lavorativa dei modelli, quanto piuttosto nella “struttura” della società intermediaria, che nel caso di specie si identificava con un’impresa di origine elvetica senza “stabile organizzazione” in Italia.
Il rilievo non è a caso, ma trova riscontro nella Legge 948 del 1978 di applicazione della Convenzione tra Italia e Svizzera, operativa nella fattispecie, secondo cui i redditi di un’impresa sono imponibili soltanto nello Stato di residenza indipendentemente dal luogo di esecuzione delle prestazioni professionali; a meno che la stessa società non svolga nell’altro Stato contraente la propria attività per mezzo di una “stabile organizzazione”; e con riferimento ai redditi percepiti da un soggetto residente in uno Stato contraente diverso da quello in cui ha avuto luogo la propria prestazione, anch’essa sarà tassabile solo nel proprio Stato di residenza a meno che non disponga nel territorio straniero di una “base fissa” per lo svolgimento della propria attività.
Pertanto, alla luce delle argomentazioni sopra esposte, non avendo le attività in questione costituito una stabile organizzazione in Italia, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso dell’Agenzia tributaria, condannandola altresì al pagamento di tutte le spese di giudizio.
5. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto
Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, perché all’atto pratico la normativa fiscale internazionale è costellata di eccezioni e deroghe da applicarsi a seconda dei dettagli del preciso caso concreto in esame e che, quindi, non possono essere sottovalutate.
La fiscalità internazionale è la materia dei dettagli. Spesso accade che, anche un singolo dettaglio del caso concreto, apparentemente irrilevante, richieda una soluzione della problematica completamente diversa da quella ritenuta adeguata a un primo sguardo della situazione.
Inoltre, l’approfondimento della situazione concreta spesso esclude delle irregolarità che il contribuente pensava di aver commesso e, invece, mette in luce delle problematiche che il contribuente nemmeno pensava di avere.
Questo può capitare se il contribuente esamina la propria posizione dal punto di vista di una sola norma ritenuta “a priori” applicabile, quando, invece, il caso deve essere inquadrato, attraverso la necessaria analisi condotta alla luce dell’intero ordinamento tributario, sotto il profilo di una diversa norma.
Quindi, l’analisi fiscale internazionale è necessaria per inquadrare tutti i dettagli sostanziali del caso in esame ed evitare errori di valutazione da cui possano scaturire violazioni fiscali che darebbero luogo al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, tali da erodere il reddito prodotto dal contribuente e causargli un grave danno economico.
D’altra parte, la difesa da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può mai essere efficace quanto la prevenzione delle violazioni fiscali attuata con una strategia di analisi preventiva.
Quindi la verifica da parte di un professionista specializzato in fiscalità internazionale circa le problematiche del preciso caso concreto costituisce un passaggio essenziale.
Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’analisi delle questioni di fiscalità internazionale.
Se desideri richiedere una consulenza fiscale internazionale allo Studio ITAXA per il tuo preciso caso concreto, scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.
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