Fiscalità internazionale: quale futuro per l’Italia?

La fiscalità internazionale sta attraversando un momento di radicale cambiamento. I lavori dell’OCSE negli ultimi anni hanno garantito una costante azione della comunità internazionale per raggiungere la trasparenza fiscale internazionale, attraverso lo sviluppo degli standard globali per lo scambio automatico delle informazioni (es. Common Reporting Standard), e per la lotta ai fenomeni di evasione nonché di elusione fiscale internazionale attuati dalle multinazionali con l’erosione delle basi imponibili mediante lo spostamento dei profitti a livello internazionale (c.d. fenomeno BEPS).

1. La fiscalità internazionale prima della crisi economica.

Per quanto attualmente si discuta molto dei fenomeni di evasione e di elusione fiscale internazionale operati da parte di contribuenti facoltosi e imprese multinazionali, in realtà questi sono sempre esistiti.

Nel passato questi soggetti hanno frequentemente allocato le proprie risorse a livello internazionale in modo da ridurre il carico impositivo, con le più disparate metodologie.

Talvolta, la riduzione dell’imposizione è derivata da una vera e propria violazione delle leggi degli Stati coinvolti, venendo a configurarsi come evasione fiscale internazionale, attuata soprattutto con l’aiuto dei c.d. paradisi fiscali, spesso costituiti da piccole isole caraibiche dotate di propria giurisdizione fiscale, i quali hanno permesso a contribuenti di tutto il mondo, persone fisiche e società, di trasferire ivi le proprie ricchezze non tassate negli Stati d’origine.

Altre volte, la normativa dei Paesi coinvolti è stata semplicemente aggirata da questi soggetti, i quali hanno messo in pratica degli schemi di elusione fiscale internazionale tali da permettere il conseguimento di cospicui risparmi fiscali, pur rispettando formalmente le legislazioni fiscali nazionali di riferimento.

Infine, talvolta le imprese multinazionali hanno trovato il favore di alcuni Stati con i quali hanno stipulato degli accordi fiscali (c.d. ruling) in base ai quali questi ultimi, a fronte degli investimenti eseguiti nei relativi territori, si sono impegnati a riservare alle citate imprese un livello di tassazione esiguo rispetto a quello applicato per le altre imprese residenti.

In definitiva, per molto tempo si è assistito ad una sorta di “tolleranza” degli Stati verso i fenomeni di evasione ed elusione fiscale internazionale.

Ma perché gli Stati avrebbero dovuto tollerare i comportamenti di tali contribuenti che non facevano altro che impoverire le finanze pubbliche?

Ebbene, la risposta stava nel fatto che, qualora uno Stato avesse iniziato, di sua autonoma iniziativa, una lotta all’elusione e all’evasione fiscale internazionale dei contribuenti facoltosi e delle imprese multinazionali, non avrebbe avuto altro effetto che spingere questi soggetti ad abbandonare il proprio territorio.

La fuga dal territorio dello Stato delle grosse imprese multinazionali avrebbe determinato il collasso della ricchezza ivi prodotta, l’impoverimento della popolazione e, oltretutto, anche l’ulteriore riduzione del gettito fiscale.

Il “gioco”, quindi, per lungo tempo è stato quello per cui lo Stato ha beneficato degli investimenti delle imprese multinazionali e dei contribuenti facoltosi nel proprio territorio e, in cambio, ha “chiuso un occhio” sulle pratiche di elusione ed evasione fiscale condotte da tali soggetti a livello internazionale.

E il mancato gettito derivante da questi fenomeni di evasione e di elusione fiscale internazionale com’è stato sostituito dallo Stato? Com’è stato evitato l’aumento della tassazione in capo agli altri contribuenti residenti?

Così come in molti altri Paesi, in Italia la risposta è stata: il debito pubblico.

2. La fiscalità internazionale dopo la crisi finanziaria. La lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale.

Con la crisi finanziaria mondiale, iniziata nell’anno 2008, oltre alle difficoltà avvertite nel settore privato, anche gli Stati hanno risentito della carenza di risorse pubbliche per finanziare le proprie spese.

Inoltre, gli Stati si sono resi conto di non poter più continuare a finanziare il mancato gettito ricorrendo al debito pubblico.

Ciò è stato chiaro anche all’Italia, che nell’anno 2011 ha visto un’impennata dei tassi d’interesse sul debito, frutto delle speculazioni dei mercati, che ha messo in serio pericolo gli equilibri di finanza pubblica dello Stato.

I Paesi della comunità internazionale, prima di tutto quelli del G20, si sono resi conto che le finanze degli Stati economicamente più avanzati, nel nuovo contesto dell’economia globalizzata, sono sempre più minacciate dai c.d. paradisi fiscali, cosicché il tema della lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale si è fatto strada nelle relative discussioni intergovernative.

Se in passato gli accordi internazionali stretti tra i diversi Paesi riguardavano soprattutto l’eliminazione della “doppia imposizione fiscale” sui redditi, adesso l’obiettivo è divenuto anche quello di scongiurare il fenomeno opposto della “doppia non imposizione fiscale” prodotto dalla pianificazione fiscale aggressiva delle imprese multinazionali.

Per questo motivo, i principali Stati, riuniti nel G20, si sono impegnati a prevenire i fenomeni di evasione fiscale internazionale mediante erosione della base imponibile e spostamento dei profitti, raccomandando all’OCSE l’elaborazione di un piano di interventi idoneo a contrastare tale fenomeno.

Il 19 luglio 2013, in occasione del G20 di Mosca, l’OCSE ha presentato il rapporto Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting contenente un piano di 15 azioni tese al contrasto delle strategie di fiscalità internazionali di erosione della base imponibile attraverso la traslazione dei profitti, le quali hanno formato oggetto di successivo approfondimento da parte dell’OCSE, culminato il 5 ottobre 2015 con la pubblicazione del Rapporto Finale BEPS (OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project – 2015 Final Report).

Il pacchetto di azioni elaborato dall’OCSE contiene una serie di misure minime che gli Stati si impegnano ad adottare per il contrasto all’evasione fiscale internazionale.

L’implementazione di tali misure richiede la modificazione delle legislazioni interne dei singoli Stati, la rielaborazione del modello di Convenzione OCSE Contro le doppie imposizioni e l’introduzione di nuove linee guida in materia di transfer pricing.

3. Fiscalità internazionale: le questioni aperte per l’Italia.

La politica di lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale condotta dai Paesi sviluppati in sede OCSE è sicuramente da accogliere con favore.

Tuttavia occorre fare un passo avanti, per verificare quali effetti potranno avere tali misure nel nostro Paese.

Ebbene, le nuove misure previste dal Progetto BEPS faranno sì che le imprese multinazionali saranno sempre meno capaci di evadere le imposte in Italia.

Resta, però, da capire un aspetto importante. L’implementazione della lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale garantirà al nostro Paese un maggior gettito destinato ad arricchire le nostre finanze pubbliche?

In verità, penso che tale effetto non possa essere dato scontato.

Ed, invero, perché un’impresa multinazionale dovrebbe acconsentire ad essere tassata in misura piena in Italia se ha la possibilità di trasferire la propria attività all’estero in un Paese dove beneficia di un’imposizione agevolata?

L’impresa multinazionale, infatti, potrebbe ben produrre i propri beni e servizi all’estero, riducendo al minimo la sua presenza in Italia e, quindi, diminuendo anche l’onere fiscale assolto nel nostro Paese. E’ questa la strategia che sta dietro alla delocalizzazione all’estero di molte imprese italiane, di piccole e grandi dimensioni, a cui assistiamo sempre più frequentemente.

Si potrebbe replicare che, onde evitare che alcuni Paesi divengano solo dei bacini di consumatori (e non di imprese), il Progetto BEPS, ad esempio, nei confronti delle multinazionali digitali, ha previsto delle misure affinché, ai fini della loro tassazione in un determinato Paese, con la c.d. web tax, abbia rilevanza anche la relativa “presenza economica significativa” nel territorio di riferimento.

A tal riguardo, si può notare che, con riferimento all’Unione europea, i recenti lavori dell’ECOFIN hanno dimostrato che siamo ancora lontani da un accordo sulla tassazione dell’economia digitale, anche a causa dell’opposizione di Paesi come Malta, Lussemburgo e Irlanda. Così anche il tentativo esperito dell’Italia per l’introduzione della c.d. web tax nel nostro ordinamento, attraverso la sua previsione nella legge di Bilancio 2018, sembra che si stia rivelando un fallimento.

Il problema è che, allo stato attuale, un Paese come l’Italia non può permettersi di dichiarare lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale senza offrire alle imprese multinazionali e ai contribuenti facoltosi una certa convenienza ad investire nel proprio territorio (pur rispettando la normativa fiscale del nostro Stato) e di non trasferirsi in Paesi a fiscalità agevolata.

E allora si spiega anche perché in un gran numero di Paesi esteri la lotta all’evasione e all’elusione fiscale già si stia accompagnando ad una graduale riduzione del livello nominale di tassazione sui redditi delle società.

Si pensi, ad esempio, al Regno Unito e agli Stati Uniti, che recentemente hanno ridotto l’aliquota nominale per la tassazione delle società, rispettivamente, al 19% e al 21%. D’altra parte, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea garantirà a tale Stato la possibilità di attrarre le imprese europee che fuggono dai Paesi a tassazione ordinaria. Proprio per tale motivo, si prevede che il Regno Unito nei prossimi tempi possa ridurre ulteriormente l’aliquota fiscale per le società.

In definitiva, solo laddove i Paesi della comunità internazionale si mettessero d’accordo per equiparare il livello di tassazione sulle società, queste ultime non avrebbero più convenienza a delocalizzare le proprie attività da uno Stato all’altro. Ma tale punto d’approdo ancora non si vede all’orizzonte. Anche il progetto dell’Unione europea per un meccanismo di tassazione su base omogenea nel relativo mercato  (Common Consolidated Corporate Tax BaseCCCTB) sempre procedere a rilento.

Guardando alla realtà dei fatti, dinanzi all’Italia si pongono due alternative:

  1. non ridurre l’aliquota fiscale per la tassazione delle società e proseguire con la lotta l’evasione e all’elusione fiscale internazionale, facendo sì che le imprese fuggano dal nostro territorio, determinando un impoverimento del Paese e delle finanze statali;
  2. agevolare in maggior misura le imprese che investono in Italia, sia sotto il profilo fiscale sia in termini di riduzione della burocrazia e di maggiore certezza del diritto tributario, attraendo nuove ricchezze e permettendo la produzione di maggiori redditi da tassare, sebbene tenendo cura del fatto che, a fronte dei benefici fruiti dalle imprese, queste non pongano in essere strategie di elusione e di evasione fiscale internazionale.

In altre parole, in un contesto di economia globalizzata e di Fiscalità liquida©, l’Italia, oltre a lottare contro l’evasione fiscale internazionale per evitare che i redditi evasi nel nostro Paese vengano trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata, deve stare ancor più attenta a scongiurare la “fuga” delle attività economiche dal proprio territorio.

Il rischio è quello che il futuro  delle imprese italiane possa non avere quale protagonista l’Italia (ma, in verità, sta già accadendo), bensì altri Paesi come Regno Unito, Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Stati Uniti, Emirati Arabi, Singapore ecc.

Senza un buon tessuto imprenditoriale in Italia verrebbe meno la produzione del reddito e, quindi, la ricchezza e il gettito. Inoltre, con la riduzione del reddito prodotto in Italia, lo Stato non potrebbe avere altra scelta che aumentare la tassazione sul patrimonio.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.