Fiscalità internazionale: cos’è e importanza

La fiscalità internazionale assume un ruolo sempre più importante nell’attuale contesto di globalizzazione dei mercati, perché fornisce gli strumenti necessari per coordinare il potere impositivo che gli Stati esercitano sulle imprese internazionali operanti nei rispettivi territori.

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1. La fiscalità internazionale e il concorso degli Stati nella tassazione delle imprese internazionali

In particolare se, da un lato, gli Stati continuano ad esercitare il proprio potere sovrano all’interno del relativi territori, dall’altro lato le imprese tendono ad espandersi oltre i confini territoriali dei rispettivi Stati.

Ogni Stato ha il potere di definire le regole impositive valide all’interno del proprio territorio, tuttavia vi sono dei criteri riconosciuti a livello internazionale secondo cui tale potere può essere esercitato anche oltre i confini territoriali, sempre che sussista un collegamento tra lo Stato e l’elemento da tassare.

Nell’ambito della fiscalità internazionale, infatti, la tassazione dei redditi segue criteri di collegamento di natura sia personale (es. residenza, domicilio, dimora, sede legale, sede amministrativa e luogo dell’oggetto sociale) sia reale (es. fonte del reddito) i quali creano i presupposti per una sovrapposizione del potere impositivo dei diversi Stati rispetto al medesimo reddito prodotto dalle imprese internazionali.

I diversi Stati con i quali le imprese internazionali si trovano a dover interagire talvolta sono interessati a tassarne i profitti per finanziare la propria economia pubblica e altre volte, invece, sono più propensi a concedere trattamenti fiscali di favore per attirare gli investimenti privati nel proprio territorio.

In questa situazione la fiscalità internazionale si occupa di evitare che i redditi prodotti dalle imprese possano essere tassati più volte ad opera dei diversi Stati coinvolti oppure, al contrario, che non vengano tassati in nessuno Stato.

L’obiettivo di fondo della fiscalità internazionale è quindi quello di garantire lo sviluppo di un mercato globale neutrale, libero e non fondato su una concorrenza fiscale nociva, che possa favorire il benessere dei popoli a livello internazionale, valori fatti propri dall’OCSE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

2. Principio della tassazione nello Stato della residenza

Partendo dai criteri di collegamenti di fiscalità internazionale di natura personale, la potestà impositiva degli Stati è in primo luogo regolata dal principio della residenza.

In base a tale principio ogni Stato ha il potere di tassare tutti i redditi, ovunque prodotti, delle persone fisiche o le società che hanno la residenza fiscale nel proprio territorio (cd. tassazione dei redditi su base mondiale).

Considerato che il concetto di residenza fiscale viene definito dagli ordinamenti interni dei singoli Stati, può accadere che esso abbia portata diversa nei diversi Stati in cui un soggetto si trova ad operare.

Questo disallineamento degli ordinamenti nel definire il concetto di residenza fiscale può portare, talvolta, ad attribuire ad un medesimo soggetto, persona fisica o società, la residenza fiscale di due Stati oppure anche di nessuno degli Stati coinvolti.

La doppia residenza fiscale o l’assenza di residenza fiscale vengono anche utilizzate dalle imprese che operano a livello internazionale come strumento di elusione fiscale.

Tali incertezze sulla localizzazione della residenza fiscale nella maggior parte dei casi vengono risolte attraverso l’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra gli Stati coinvolti.

3. Principio della tassazione nello Stato della fonte

In base al principio della tassazione alla fonte lo Stato ha il diritto di tassare i redditi che provengono dal proprio territorio, a prescindere dal fatto che questi siano stati percepiti da soggetti ivi residenti o meno.

Attraverso la propria normativa interna, infatti, gli Stati prevedono i presupposti in base ai quali vengono tassati redditi prodotti nel proprio territorio da parte di soggetti non residenti.

La tassazione secondo il principio della fonte può assumere sia caratteri assoluti, nel senso che il reddito venga integramente tassato nello Stato della fonte, sia carattere limitato, in tal caso lo Stato della fonte applica una ritenuta alla fonte, per la maggior parte dei casi a titolo di imposta.

Le differenti legislazioni interne in materia di fiscalità internazionale, così come abbiamo visto a proposito della definizione di residenza fiscale, possono attribuire diversa qualifica alle stesse componenti di reddito, cosicché può accadere che Stato della fonte e Stato della residenza tassino una stessa impresa senza considerare il carico impositivo già assolto nell’altro Stato, determinando la doppia imposizione fiscale sul medesimo reddito.

Ma si verifica anche il contrario, ovvero che tale discordanze tra le normative interne dei diversi Paesi spingano alcune imprese internazionali ad approntare pianificazioni aggressive di fiscalità internazionale che, facendo leva sull’assenza di norme impositive del rispettivo reddito sia nello Stato della fonte che in quello della residenza, mirino alla detassazione totale dei propri redditi.

4. Il problema della doppia imposizione e della doppia non imposizione fiscale

Il concorso dei due principi, della residenza e della fonte, rispetto alla tassazione dei redditi delle imprese internazionali determina il rischio della doppia imposizione dei medesimi redditi, una prima volta per la regola della tassazione su base mondiale dei soggetti residenti, applicata dallo Stato della residenza, e una seconda volta per la regola della tassazione alla fonte dei soggetti non residenti, applicata dallo Stato della fonte.

In via generale accade che i due Stati, quello della residenza e quello della fonte, affermino il diritto di tassare il medesimo reddito, ma non è da escludere il verificarsi di casi in cui i due Stati rivendichino la residenza fiscale di una medesima impresa internazionale oppure che entrambi si identifichino come Stati della fonte avendo l’impresa la propria residenza fiscale in un terzo Stato.

Nella maggior parte dei casi il problema della doppia imposizione fiscale degli stessi redditi viene risolto attraverso l’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, stipulate dagli Stati sulla base del Modello OCSE, e della legislazione interna dei singoli Stati.

Tali Convenzioni hanno il compito di ripartire il potere impositivo degli Stati nell’ambito della fiscalità internazionale e, quindi, di eliminare la doppia imposizione dei redditi.

Le Convenzioni stipulate sul Modello OCSE prevedono due metodi per eliminare la doppia imposizione:

  • metodo della esenzione: lo Stato della residenza riconosce l’esenzione sui redditi esteri che quindi vengono tassati solo dallo Stato della fonte;
  • metodo del credito: lo Stato della residenza tassa integralmente il reddito del soggetto residente, riconcedendo un credito per le imposte pagate nello Stato della fonte.

Il metodo della esenzione avvantaggia soprattutto le imprese internazionali residenti in Paesi a fiscalità ordinaria che ricevono redditi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata, poiché i redditi esteri, esentati nel Paese di residenza, non subiscono una rilevante tassazione nello Stato della fonte.

Oltre ai fenomeni di doppia imposizione nel contesto della fiscalità internazionale si è assistito a pianificazioni di imprese internazionali tese alla doppia non imposizione, vale a dire volte alla completa sottrazione dei redditi prodotti al potere impositivo sia dello Stato della residenza che di quello della fonte attraverso l’uso “abusivo” delle Convenzioni contro le doppie imposizioni (“treaty shopping”) e lo sfruttamento delle incongruenze delle legislazioni fiscali interne dei Paesi di volta in volta coinvolti.

Negli ultimi anni, tuttavia, la Comunità internazionale, soprattutto attraverso il lavoro dell’OCSE, ha dato un forte impulso alla lotta all’evasione fiscale internazionale adottando misure di contrasto all’utilizzo di strumenti di fiscalità internazionale privi di ragioni economiche sostanziali che abbiano come unico scopo il conseguimento di un indebito risparmio d’imposta.

5. Fiscalità internazionale: come funziona in pratica

La fiscalità internazionale è una materia in divenire e spesso priva di veri e propri punti fermi, laddove l’unica certezza è quella di poter dubitare dell’attendibilità di coloro che professano di poter fornire risposte certe in merito.

Per cui, se sotto il profilo astratto la fiscalità internazionale ha dei propri istituiti abbastanza chiari e intelligibili, le cose vengono a cambiare nella pratica, quando bisogna risolvere le problematiche concrete.

Infatti, quando le regole previste sia dalla normativa domestica sia da quella convenzionale o sovranazionale richiedono di essere applicate ad un caso concreto di fiscalità internazionale di particolare complessità, frequentemente non esiste una soluzione inconfutabile alle problematiche che insorgono, ma solo delle soluzioni più ragionevoli rispetto ad altre.

Invero, tale situazione non riguarda solo i contribuenti, in quanto la storia conosce diversi casi in cui gli stessi Stati hanno commesso errori in ambito fiscale internazionale, ad esempio, nella stipula delle rispettive Convenzioni contro le doppie imposizioni, le cui disposizioni si sono rilevate prive di senso e, quindi, non applicabili in concreto, oppure effetto di errori di valutazione di Tax Policy. Sebbene non riguardi direttamente l’Italia, si prendano ad esempio i casi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni tra Stati Uniti e Francia oppure tra Stati Uniti e Cina, i cui errori sono stati argomento di un recente incontro accademico con Jacques Sasseville (Head of Tax Treaty Unit, Centre for Tax Policy and Administration, OECD).

In queste ipotesi il problema spesso è costituito dal fatto che, quando gli Stati non si attengono al Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni fornito dall’OCSE/ONU, rischiano di stipulare delle previsioni con effetti pratici indesiderati.

A ciò si aggiunge che alcune volte gli Stati (purtroppo, spesso quelli in via di sviluppo), non arrivano alla stipula delle Convenzioni internazionali con una buona consapevolezza dei propri obiettivi, perché semplicemente guidati dalla volontà di emulare gli altri Stati, oppure, al contrario, vi sono stati casi in cui gli Stati che stipulassero dei Trattati, per poi cercare di eludere i propri obblighi convenzionali attraverso la modificazione della propria legislazione interna o, ancora, Paesi che hanno forzato la mano sull’applicazione unilaterale della potestà impositiva di alcune categorie di redditi (in questo caso, si ritiene opportuno non menzionare tali Stati).

D’altra parte bisogna notare che lo stesso Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, che appare essere lo standard per eccellenza per la risoluzione delle problematiche internazionali tra i Paesi, dimostra di avere i suoi limiti, essendo spesso l’OCSE chiamata a fare delle scelte che, sebbene non siano del tutto ragionevoli sul piano astratto, si rivelano le più efficienti per il loro funzionamento pratico, in termini di migliore risoluzione delle problematiche concrete. Sono queste, ad esempio, le ragioni che si celano dietro norme come l’art. 10, par. 5, e l’art. 21, par. 2, dell’attuale Modello OCSE di Convenzioni contro le doppie imposizioni. Nuove sfide, altresì, ancora si nascondono dietro la tematica dei prezzi di trasferimento (c.d. transfer pricing) e, ancor più recentemente, della tassazione dell’economia digitale.

Ebbene se questa è la situazione che vivono gli Stati della comunità internazionale e l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), può ben immaginarsi quale sfida devono affrontare nella pratica i professionisti della fiscalità internazionale nella risoluzione dei casi sottoposti dai contribuenti, soprattutto quando le operazioni sotto osservazione involgono numerosi Stati.

Come già in precedenza anticipato (vedi “Convenzioni contro le doppie imposizioni: interpretazione”), una delle attività più impegnative nella risoluzione dei casi di fiscalità internazionale, è costituita dall’individuazione delle disposizioni applicabili e dalla loro interpretazione.

E’ questo il motivo per cui, ad esempio, il medesimo termine, definito all’interno di Trattato internazionale, possa venir  interpretato in differenti modi dalla giurisprudenza di diversi Paesi, con l’effetto della disomogenea applicazione della relativa disposizione sul piano concreto nei diversi Stati, anche laddove ci si aspetterebbe una certa coerenza. Se a ciò si aggiunge che nell’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni spesso viene richiesto di attribuire ad un termine il significato che esso ha secondo la legislazione del Paese straniero, le cose si complicano ulteriormente.

Quanto detto conduce al convincimento che laddove si affrontino questioni pratiche di fiscalità internazionale il primo passo da compiere è quello della preliminare corretta interpretazione dei fatti. Accade spesso, infatti, che i principali errori di analisi vengano commessi nell’acquisizione dei particolari della fattispecie da analizzare, a cui consegue necessariamente l’applicazione di una norma non destinata a disciplinare il caso in esame. Solo un’attenta analisi dei dettagli dell’ipotesi concreta e l’approfondita comprensione dei relativi aspetti giuridici e materiali consente di individuare la norma idonea a regolarne i profili fiscali.

In altri termini, la fiscalità internazionale, intesa in senso lato, consistendo in un sistema di disposizioni particolarmente frammentario e derivante da una stratificazione gerarchica di norme, nella pratica necessita di un’attività di applicazione pratica che valorizzi i dettagli del caso concreto, poiché il variare anche di pochi particolari della fattispecie può innescare l’applicazione di una norma completamente diversa da quella ritenuta operativa ad un primo sguardo.

Altro aspetto altrettanto pratico della fiscalità internazionale è costituito dal suo carattere di Fiscalità liquida© ovvero dal fatto che la continua evoluzione della normativa di riferimento fa sì che la corretta soluzione di un caso concreto per il presente, in termini sia di giusta qualificazione fiscale sia di ottimizzazione fiscale di un’operazione, non lo rimanga a lungo.

Si pensi, ad esempio, alle novità introdotte a seguito dell’approvazione, nell’anno 2015, del Progetto BEPS da parte dell’OCSE, che ha condotto allo stravolgimento del Modello OCSE e del relativo Commentario nell’anno 2017, all’introduzione di un Modello di Convenzione Multilaterale nonché all’implementazione delle relative misure nella normativa domestica dei Paesi aderenti.

A distanza anche solo di un anno la normativa e la stessa situazione di fatto possono cambiare profondamente, per cui assume fondamentale importanza l’attività di costante monitoraggio della situazione in analisi nel corso del tempo, per correggere il tiro in considerazione degli elementi di fatto o di diritto che nel frattempo risultassero modificati.

Dal punto di vista del contribuente si comprende bene che la fiscalità internazionale nella pratica non possa essere assimilata alla fiscalità domestica, involgendo delle problematiche a sè specifiche le quali vanno affrontate con la giusta adeguatezza al fine di:

  • conoscere il trattamento dei propri redditi a livello internazionale, per la loro ottimizzazione fiscale nonché per evitare contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria;
  • difendere correttamente la propria posizione davanti all’Agenzia delle Entrate, che non sempre applica nel corretto modo le disposizioni convenzionali;
  • impugnare i provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria, porgendo nel corretto modo le proprie difese davanti ai giudici della giurisdizione tributaria.

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6. Fiscalità internazionale e le sfide della globalizzazione

6.1. Fiscalità internazionale e imprese multinazionali: il contesto socio-economico

Nell’attuale sistema economico globale si assiste ad una crescente contrapposizione tra i numerosi Stati, che esercitano il proprio potere sovrano all’interno dei rispettivi territori, e le imprese multinazionali che, operando attraverso le diverse giurisdizioni, hanno la possibilità di sfuggire al potere coercitivo dei singoli Paesi e, quindi, sotto il profilo della fiscalità internazionale, di adoperare le strategie di pianificazione tributaria più idonee ad abbattere il carico impositivo complessivo gravante sulle attività condotte a livello globale.

In questo contesto, la stessa indipendenza degli Stati è minacciata dai poteri economici che si affermano a livello globale, i quali, grazie alla loro extraterritorialità, alla velocità di movimento dei relativi capitali e alla capacità di rifuggire dall’applicazione delle leggi dei singoli Paesi, hanno la possibilità di sottrarsi al dominio di questi ultimi, creando proprie regole economiche di natura globale, le quali finiscono per influenzare gli stessi Stati, che spesso ne diventano finanche i destinatari.

Si verifica, quindi, che le esigenze dettate dai mercati finanziari e le istanze delle imprese multinazionali per l’implementazione della libertà di commercio internazionale, si impongono come pretese ai singoli Stati, i quali sono spesso chiamati a finanziare con la propria spesa pubblica il raggiungimento degli obiettivi dettati dai poteri globali.

I Paesi che non si adeguano a tali regole dettate dagli attori dell’economia globale vengono prontamente penalizzati da questi ultimi, attraverso la negazione dei prestiti o della riduzione del debito da parte del settore privato, la emarginazione dai programmi di investimento predisposti a livello globale e il disinvestimento delle risorse precedentemente allocate nei relativi territori, fino ad essere anche minacciati dalle Nazioni più potenti in ragione della mancata cooperazione rispetto alla realizzazione dello scopo ultimo dello sviluppo dell’economia mondiale.

In questo contesto le imprese multinazionali costituiscono i soggetti che beneficiano dei maggiori vantaggi economici, creando legami sempre più labili con i territori dei singoli Stati, adoperando i propri capitali in maniera sempre più veloce, con l’obiettivo, da un lato, di sfuggire al controllo delle singole giurisdizioni Statati in cui operano e, dall’altro, per essere sempre pronte a sfruttare le opportunità di investimento ovunque si presentino sul piano globale.

L’attaccamento di tali imprese al territorio dei Paesi è adesso considerato come un elemento di debolezza, piuttosto che, come avveniva nel secolo scorso, un punto di forza, perché comporta costi di amministrazione da sostenere e rischi di cui bisogna tenere conto.

Le imprese multinazionali preferiscono “alleggerire” e “ridimensionare” la propria struttura e, tendenzialmente, ripugnano ogni strategia di attaccamento ad un determinato luogo.

Anche il lavoro, inteso come capitale umano, ha perso la sua importanza.

In particolare, se precedentemente il lavoro costituiva un fattore fondamentale per il capitale tanto quanto il capitale necessitava del lavoro per la produzione del valore, nell’attuale epoca della globalizzazione, il capitale si è reso autonomo dal lavoro, velocizzando ancora di più i propri spostamenti a livello globale e lasciando l’incombenza della risoluzione delle problematiche sociali dei lavoratori ai governi locali, i quali si dimostrano sempre più inadeguati a gestirle, proprio perché, nel frattempo, devono sottostare alle regole dettate dai poteri economici globali.

Ebbene, oltre ad assumere un rilievo secondario, il lavoro diventa sempre più flessibile ed ai lavoratori, a causa dell’implementazione dei meccanismi di automazione materiali e digitali, viene richiesto di compiere attività sempre meno qualificanti, cosicché anche il relativo coinvolgimento emotivo diventa precario.

La massima espressione di tale procedimento di evoluzione socio-economico della economia globalizzata è possibile rinvenirlo nella creazione degli intangibles, come ad es. software, marchi, brevetti e altre proprietà intellettuali, i quali permettono al capitale, “slegatosi” dal fattore lavoro nonché dalle altre componenti materiali che lo “appesantiscono” e lo riconducono ad un determinato territorio, di spaziare a livello internazionale, senza alcun vincolo che non sia costituito dalla ricerca della sua migliore allocazione sul piano globale.

Le principali fonti di profitto, quindi, non sono più i beni materiali, ma le idee, le quali non dipendono dai lavoratori incaricati di replicarle – che assumono una posizione meramente secondaria -, si propagano velocemente a livello internazionale e riescono a sedurre un quantitativo esponenziale di consumatori.

Assumendo i consumatori un ruolo fondamentale per il conseguimento dei profitti, la competizione tra gli attori economici globali non si realizza più tra i produttorima proprio rispetto ai clienti, i quali costituiscono l’unico vero fattore da cui dipende il buon andamento dell’impresa multinazionale, la quale a tal fine raccoglie le informazioni sulle abitudini di consumo delle popolazioni, per intercettare bacini di clienti sempre più ampi e aumentare esponenzialmente le proprie vendite.

In definitiva, su questi presupposti, attualmente il capitale viaggia “leggero”, “snello”, “velocemente”, quasi annullando la dimensione dello “spazio”, rispettando le sole regole dettate dagli attori economici della scena internazionale e, in primo luogo, dalle multinazionali, con il solo scopo della realizzazione del massimo profitto, creando un clima di incertezza sociale tra i cittadini dei singoli Stati, i quali possono solo essere delle pedine in questo labirinto economico globale di cui non possono governare i meccanismi.

Sono, quindi, le stesse popolazioni, in ultima analisi, a subire il peso dei costi di cui il capitale si è liberato per addossarli alle Amministrazioni locali dei singoli Stati.

6.2. Fiscalità internazionale: l’importanza delle informazioni

In tali circostanze, solo i poteri forti e le multinazionali conoscono le leggi che reggono l’attuale economia e hanno la disponibilità delle informazioni utili a sfruttare a proprio vantaggio le condizioni dell’attuale economia globale.

Ne consegue che l’accesso alle informazioni delle multinazionali diventa un bene prezioso per gli Stati, al fine di studiarne le dinamiche di funzionamento interno e i meccanismi di “creazione” del valore.

L’imputazione dei profitti delle multinazionali alle singole giurisdizioni in cui essi vengono effettivamente prodotti, costituisce il presupposto imprescindibile per chiamare tali soggetti a contribuire alle finanze pubbliche degli Stati in cui viene “creato” il valore, attraverso il pagamento delle imposte, come contraltare ai servizi da questi ultimi erogati e ai costi economici e sociali sostenuti.

Per tale motivo, nell’ambito della fiscalità internazionale l’OCSE già da tempo ha avviato un’azione di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale internazionale, da ultimo con l’adozione del Rapporto BEPS, contente misure di trasparenza fiscale, come gli obblighi di Country-by-Country Reporting, nonché di contrasto dei fenomeni di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili con riferimento alle imprese multinazionali, la quale è destinata a incidere in maniera decisiva sul predetto tessuto socio-economico.

6.3. La teoria della Fiscalità liquida©

Nel descritto sistema economico globale si assiste ad una crescente contrapposizione tra i numerosi Stati, che esercitano il proprio potere sovrano all’interno dei rispettivi territori, e le imprese multinazionali che, operando attraverso le diverse giurisdizioni, hanno la possibilità di sottrarsi al potere coercitivo dei singoli Paesi.

In questo contesto i singoli Stati non sono più capaci di disciplinare la fiscalità dei fenomeni economici globali che travalicano i propri confini.

Infatti, in alcuni casi gli Stati compiono scelte di Fiscalità internazionale per tassare i redditi transnazionali di imprese multinazionali e persone fisiche secondo regole non omogenee rispetto a quelle adottate dagli altri Stati, cosicché i medesimi redditi rischiano di essere tassati più volte.

Altre volte, al contrario, gli Stati adottano politiche di Fiscalità internazionale per attrarre nuovi capitali esteri di imprese e persone fisiche nei rispettivi territori, garantendo una minore tassazione rispetto agli altri Paesi. Per quanto riguarda l’Italia, si pensi ad esempio alle misure a favore delle imprese che investono in Italia, contenute nel c.d. Decreto internazionalizzazione (D.Lgs. n. 147/2015), oppure al regime fiscale previlegiato previsto per i soggetti “facoltosi” che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia (art. 24 bis del D.P.R. n. 917/1986).

Da qui è possibile teorizzare lo sviluppo di una Fiscalità internazionale che, mutando sia nello spazio sia nel tempo, si rivela una vera e propria Fiscalità liquida©.

La Fiscalità internazionale è una Fiscalità liquida© per il fatto che le relative regole cambiano a seconda del sistema fiscale interno del Paese di riferimento.

Ancora, queste regole interne ai singoli Stati spesso entrano in contrasto con quelle previste dalla normativa sovranazionale (es. Unione europea) oppure internazionale, cosicché si assiste a continui cambiamenti delle legislazioni interne che cercano di adeguarsi ai sistemi gerarchicamente superiori.

In tale processo la Fiscalità internazionale si conferma Fiscalità liquida© anche per il continuo mutare della normativa degli Stati nel corso del tempo, così come testimoniato, negli ultimi anni, anche in Italia dalla veloce proliferazione di novità e modifiche della normativa fiscale interna.

A ciò bisogna aggiungere che, con riferimento all’Italia, la Fiscalità liquida© si manifesta anche nella mutevolezza degli orientamenti della giurisprudenza.

Infatti, nella giurisprudenza tributaria di merito, è possibile verificare che le medesime questioni vengono quotidianamente risolte nelle maniere più differenti possibili, spesso senza alcun riferimento alla normativa oppure alla giurisprudenza di legittimità, ma solo sulla base delle regole del “comune sentire”.

Anche la giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione non è immune da tale critica, potendosi assistere a frequenti mutamenti dei relativi orientamenti (spesso veri e propri esercizi di “creazione” del diritto), che spesso non si arrestano nemmeno di fronte alle pronunce delle Sezioni Unite.

A “liquefare” ancor di più la materia della Fiscalità internazionale si aggiunge la prassi dell’Agenzia delle Entrate (es. circolari, risoluzioni ecc.) che spesso si allontana dalla lettera della legge, per dar vita ad interpretazione della normativa fiscale internazionale a solo beneficio del Fisco, anche quando lo scopo della norma da applicarsi è quello di agevolare il contribuente.

La Fiscalità liquida© è quindi l’effetto del descritto quadro che contraddistingue attualmente la Fiscalità internazionale.

Un segnale positivo verso la creazione di una Fiscalità globale proviene dall’azione intrapresa dalla comunità internazionale attraverso l’OCSE, finalizzata ad una regolamentazione della Fiscalità internazionale a livello globale. Da ultimo, infatti, si è assistito all’adozione del Rapporto BEPS, contenente misure di trasparenza fiscale e di contrasto dei fenomeni di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili con riferimento alle imprese multinazionali, le quali sono destinate a incidere in maniera decisiva sul descritto tessuto socio-economico.

In definitiva si ritiene che per ristabilire chiarezza ed equità nell’attuale contesto della Fiscalità internazionale sia necessario prendere consapevolezza del fatto che gli Stati non possono pretendere singolarmente di dare risposta a problematiche fiscali di portata globale, perché la risoluzione di tali questioni necessita di una risposta altrettanto globale.

Nell’ambito della regolamentazione della Fiscalità internazionale a livello globale un ruolo fondamentale è giocato dalla determinazione di regole fiscali certe, perché solo dalla certezza del diritto possono derivare sia l’equità dei sistemi fiscali sia la garanzia per i diritti dei contribuenti. Infatti, solo partendo da regole certe è possibile difendere la posizione dei contribuenti contro ingiuste pretese del Fisco oppure tassare presupposti impositivi attualmente non disciplinati.

Una disciplina della Fiscalità internazionale che non muova da un approccio giuridico e, quindi, dalla certezza del diritto, al contrario, è destinato solo ad alimentare il fenomeno della Tassazione liquida©.

La stessa analisi delle problematiche di Fiscalità internazionale o la difesa nell’ambito del processo tributario a favore di società e persone fisiche non può che essere condotta partendo dalla precisa base giuridica di riferimento in cui si inquadrano le fattispecie, perché operando diversamente i diritti dei contribuenti non possono trovare nessuna tutela nell’attuale contesto della Fiscalità liquida©.

7. Fiscalità internazionale: questioni aperte

La tematica della fiscalità internazionale attira sempre più attenzione nell’attuale economia globalizzata.

Le politiche dei Paesi in merito alla tassazione delle imprese multinazionali producono effetti sempre più determinanti nelle scelte di queste ultime. Tali influenze sono destinate a creare delle distorsioni nelle scelte delle imprese, con risvolti sia negativi sia positivi nell’ambito dell’ottimizzazione dei risultati economici aziendali.

Il problema di fondo in realtà è costituito dal fatto che i sistemi fiscali degli Stati sono troppo obsoleti per poter cogliere nella corretta misura i fenomeni che caratterizzano l’economia moderna.

L’approccio alla fiscalità internazionale che caratterizza gli ordinamenti tributari nazionali, infatti, trova sostanzialmente origine negli anni ’20, quando il commercio internazionale era costituito per la maggior parte da trasporto di merce da un Paese all’altro e, pertanto, l’operatività delle aziende all’estero necessitava della loro presenza fisica o legale nel territorio straniero.

A quel tempo, quindi, l’assenza della globalizzazione dei mercati, della digitalizzazione dell’economia e della valorizzazione dei beni materiali non creava i presupposti affinché le Nazioni si interrogassero sulle relative problematiche nel predisporre i rispettivi sistemi fiscali.

Ne deriva che attualmente, invece, quei vecchi sistemi fiscali non risultano più adeguati ad un’economia in cui i profitti non sono più allocati dov’è localizzata la sostanza economica dell’attività d’impresa, cosicché gli ordinamenti tributari fungono addirittura da strumenti a favore delle imprese multinazionali per decidere dove localizzare i propri investimenti a livello internazionale in modo da ottenere i migliori benefici fiscali.

La messa in atto di tali strategie fiscali comporta chiari effetti negativi sull’economia mondiale, sotto diversi profili.

Le misure fiscali messe in atto dai Paesi nei relativi ordinamenti tributari possono costituire “ostacoli alla concorrenza”, in quanto possono comportare distorsioni nei mercati internazionali, quando esse prevedono diversi trattamenti fiscali tra le imprese straniere e quelle domestiche.

Dette scelte possono produrre l’effetto di discriminare o limitare il commercio estero rispetto a quello interno o viceversa, creando i presupposti per distorsioni e restrizioni nel mercato.

Altresì, le scelte fiscali possono creare dei “disallineamenti” quando i sistemi tributari domestici hanno approcci differenti rispetto ai soggetti da tassare e ai presupposti impositivi, cosicché da sovrapporsi nella loro tassazione, dando luogo a fenomeni di “doppia imposizione”, oppure in modo da non tassarli, creano i presupposti per la loro “doppia non imposizione”.

Contro dette disparità di trattamento diverse misure sono state adottare dall’Unione europea, nell’ambito del relativo mercato unico, e più recentemente anche dall’OCSE nell’ambito del Rapporto BEPS, in un contesto globale.

Come predetto, alcune volte le misure poste in essere dagli Stati possono risultare inadeguate quando gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria non sono idonei ad intercettare la realtà economica delle imprese assoggettate a imposizione e, quindi, non sono capaci di tassare il “valore” laddove questo viene realmente creato.

In tale contesto, l’approccio alla tassazione dei soggetti economici come “entità separate” procura delle distorsioni derivanti dalla scelta delle imprese circa la forma giuridica attraverso la quale svolgere l’attività.

D’altra parte, anche l’approccio della tassazione dei profitti in base alla loro collocazione nella “catena del valore” delle aziende (“transfer pricing”), distorce anch’esso le decisioni in relazione al luogo in cui più conviene concentrare gli investimenti.

Per risolvere le distorsioni economiche che possono derivare dalle scelte fiscali dei Paesi le imprese dovrebbero essere assoggettate a trattamenti tributari neutrali, fermo restando il fatto che i soggetti economici che abbiano legami con un Paese devono essere chiamati a contribuire al relativo benessere collettivo.

In particolare, in un mercato globalizzato gli utili non dovrebbero essere tassati in diverso modo a seconda di dove l’azienda sia residente (o solo dove l’attività venga svolta), se nel mercato domestico oppure internazionale.

Probabilmente un sistema adatto ad una tassazione globale potrebbe essere quello che tenga in considerazione i flussi di cassa e che applichi l’imposta sugli utili una volta sola nel Paese più vicino alla fonte del reddito.

Una tale soluzione implicherebbe che i Paesi cedano parte della propria sovranità per dar luogo ad un sistema di tassazione unico, sull’esempio del meccanismo escogitato dalla Commissione UE per una “base imponibile consolidata” (CCCTB) nel mercato unico europeo, attraverso la suddivisione della tassazione sulle società tra i Paesi che hanno contribuito a produrlo, secondo una particolare formula di ripartizione.

Anche l’OCSE si è mossa verso una soluzione armonizzata al problema, attraverso l’adozione delle misure contenute nel Rapporto BEPS. Tuttavia la riuscita di questo processo di cambiamento dipenderà, da un lato, dalla effettiva volontà politica degli Stati di cambiare le cose e, dall’altro, dalla possibilità di risolvere il problema dell’individuazione dei corretti criteri per allocare il “valore” laddove viene effettivamente prodotto. Da quest’ultimo punto, infatti, il Rapporto BEPS non è ancora riuscito a fornire risposte definitive; basti pensare al fatto che ancora oggi le misure per la tassazione dell’economia digitale sono ancora oggetto di discussione.

Resta l’auspicio che una risposta venga presto data a questi interrogativi, affinché le imprese possano operare in un mercato libero da distorsioni e i contribuenti possano fruire dei servizi alimentati dalla tassazione del valore correttamente imputabile al relativo Paese,  con l’effetto di limitare il fenomeno della Fiscalità liquida©.

Qualora la soluzione non dovesse essere trovata, la prospettiva sarebbe quella di una prosecuzione della “concorrenza” fiscale tra i Paesi, attraverso la riduzione delle aliquote fiscali ai fini della tassazione delle imprese multinazionali, compensata da un incremento della tassazione sul “lavoro dipendente” e sui “consumi”.

8. Fiscalità internazionale: quale futuro per l’Italia?

La fiscalità internazionale sta attraversando un momento di radicale cambiamento. I lavori dell’OCSE negli ultimi anni hanno garantito una costante azione della comunità internazionale per raggiungere la trasparenza fiscale internazionale, attraverso lo sviluppo degli standard globali per lo scambio automatico delle informazioni (es. Common Reporting Standard), e per la lotta ai fenomeni di evasione nonché di elusione fiscale internazionale attuati dalle multinazionali con l’erosione delle basi imponibili mediante lo spostamento dei profitti a livello internazionale (c.d. fenomeno BEPS).

8.1. La fiscalità internazionale prima della crisi economica.

Per quanto attualmente si discuta molto dei fenomeni di evasione e di elusione fiscale internazionale operati da parte di contribuenti facoltosi e imprese multinazionali, in realtà questi sono sempre esistiti.

Nel passato questi soggetti hanno frequentemente allocato le proprie risorse a livello internazionale in modo da ridurre il carico impositivo, con le più disparate metodologie.

Talvolta, la riduzione dell’imposizione è derivata da una vera e propria violazione delle leggi degli Stati coinvolti, venendo a configurarsi come evasione fiscale internazionale, attuata soprattutto con l’aiuto dei c.d. paradisi fiscali, spesso costituiti da piccole isole caraibiche dotate di propria giurisdizione fiscale, i quali hanno permesso a contribuenti di tutto il mondo, persone fisiche e società, di trasferire ivi le proprie ricchezze non tassate negli Stati d’origine.

Altre volte, la normativa dei Paesi coinvolti è stata semplicemente aggirata da questi soggetti, i quali hanno messo in pratica degli schemi di elusione fiscale internazionale tali da permettere il conseguimento di cospicui risparmi fiscali, pur rispettando formalmente le legislazioni fiscali nazionali di riferimento.

Infine, talvolta le imprese multinazionali hanno trovato il favore di alcuni Stati con i quali hanno stipulato degli accordi fiscali (c.d. ruling) in base ai quali questi ultimi, a fronte degli investimenti eseguiti nei relativi territori, si sono impegnati a riservare alle citate imprese un livello di tassazione esiguo rispetto a quello applicato per le altre imprese residenti.

In definitiva, per molto tempo si è assistito ad una sorta di “tolleranza” degli Stati verso i fenomeni di evasione ed elusione fiscale internazionale.

Ma perché gli Stati avrebbero dovuto tollerare i comportamenti di tali contribuenti che non facevano altro che impoverire le finanze pubbliche?

Ebbene, la risposta stava nel fatto che, qualora uno Stato avesse iniziato, di sua autonoma iniziativa, una lotta all’elusione e all’evasione fiscale internazionale dei contribuenti facoltosi e delle imprese multinazionali, non avrebbe avuto altro effetto che spingere questi soggetti ad abbandonare il proprio territorio.

La fuga dal territorio dello Stato delle grosse imprese multinazionali avrebbe determinato il collasso della ricchezza ivi prodotta, l’impoverimento della popolazione e, oltretutto, anche l’ulteriore riduzione del gettito fiscale.

Il “gioco”, quindi, per lungo tempo è stato quello per cui lo Stato ha beneficato degli investimenti delle imprese multinazionali e dei contribuenti facoltosi nel proprio territorio e, in cambio, ha “chiuso un occhio” sulle pratiche di elusione ed evasione fiscale condotte da tali soggetti a livello internazionale.

E il mancato gettito derivante da questi fenomeni di evasione e di elusione fiscale internazionale com’è stato sostituito dallo Stato? Com’è stato evitato l’aumento della tassazione in capo agli altri contribuenti residenti?

Così come in molti altri Paesi, in Italia la risposta è stata: il debito pubblico.

8.2. La fiscalità internazionale dopo la crisi finanziaria. La lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale.

Con la crisi finanziaria mondiale, iniziata nell’anno 2008, oltre alle difficoltà avvertite nel settore privato, anche gli Stati hanno risentito della carenza di risorse pubbliche per finanziare le proprie spese.

Inoltre, gli Stati si sono resi conto di non poter più continuare a finanziare il mancato gettito ricorrendo al debito pubblico.

Ciò è stato chiaro anche all’Italia, che nell’anno 2011 ha visto un’impennata dei tassi d’interesse sul debito, frutto delle speculazioni dei mercati, che ha messo in serio pericolo gli equilibri di finanza pubblica dello Stato.

I Paesi della comunità internazionale, prima di tutto quelli del G20, si sono resi conto che le finanze degli Stati economicamente più avanzati, nel nuovo contesto dell’economia globalizzata, sono sempre più minacciate dai c.d. paradisi fiscali, cosicché il tema della lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale si è fatto strada nelle relative discussioni intergovernative.

Se in passato gli accordi internazionali stretti tra i diversi Paesi riguardavano soprattutto l’eliminazione della “doppia imposizione fiscale” sui redditi, adesso l’obiettivo è divenuto anche quello di scongiurare il fenomeno opposto della “doppia non imposizione fiscale” prodotto dalla pianificazione fiscale aggressiva delle imprese multinazionali.

Per questo motivo, i principali Stati, riuniti nel G20, si sono impegnati a prevenire i fenomeni di evasione fiscale internazionale mediante erosione della base imponibile e spostamento dei profitti, raccomandando all’OCSE l’elaborazione di un piano di interventi idoneo a contrastare tale fenomeno.

Il 19 luglio 2013, in occasione del G20 di Mosca, l’OCSE ha presentato il rapporto Action Plan on Base Erosion and Profit Shifting contenente un piano di 15 azioni tese al contrasto delle strategie di fiscalità internazionali di erosione della base imponibile attraverso la traslazione dei profitti, le quali hanno formato oggetto di successivo approfondimento da parte dell’OCSE, culminato il 5 ottobre 2015 con la pubblicazione del Rapporto Finale BEPS (OECD/G20 Base Erosion and Profit Shifting Project – 2015 Final Report).

Il pacchetto di azioni elaborato dall’OCSE contiene una serie di misure minime che gli Stati si impegnano ad adottare per il contrasto all’evasione fiscale internazionale.

L’implementazione di tali misure richiede la modificazione delle legislazioni interne dei singoli Stati, la rielaborazione del modello di Convenzione OCSE Contro le doppie imposizioni e l’introduzione di nuove linee guida in materia di transfer pricing.

8.3. Fiscalità internazionale: le questioni aperte per l’Italia.

La politica di lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale condotta dai Paesi sviluppati in sede OCSE è sicuramente da accogliere con favore.

Tuttavia occorre fare un passo avanti, per verificare quali effetti potranno avere tali misure nel nostro Paese.

Ebbene, le nuove misure previste dal Progetto BEPS faranno sì che le imprese multinazionali saranno sempre meno capaci di evadere le imposte in Italia.

Resta, però, da capire un aspetto importante. L’implementazione della lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale garantirà al nostro Paese un maggior gettito destinato ad arricchire le nostre finanze pubbliche?

In verità, penso che tale effetto non possa essere dato scontato.

Ed, invero, perché un’impresa multinazionale dovrebbe acconsentire ad essere tassata in misura piena in Italia se ha la possibilità di trasferire la propria attività all’estero in un Paese dove beneficia di un’imposizione agevolata?

L’impresa multinazionale, infatti, potrebbe ben produrre i propri beni e servizi all’estero, riducendo al minimo la sua presenza in Italia e, quindi, diminuendo anche l’onere fiscale assolto nel nostro Paese. E’ questa la strategia che sta dietro alla delocalizzazione all’estero di molte imprese italiane, di piccole e grandi dimensioni, a cui assistiamo sempre più frequentemente.

Si potrebbe replicare che, onde evitare che alcuni Paesi divengano solo dei bacini di consumatori (e non di imprese), il Progetto BEPS, ad esempio, nei confronti delle multinazionali digitali, ha previsto delle misure affinché, ai fini della loro tassazione in un determinato Paese, con la c.d. web tax, abbia rilevanza anche la relativa “presenza economica significativa” nel territorio di riferimento.

A tal riguardo, si può notare che, con riferimento all’Unione europea, i recenti lavori dell’ECOFIN hanno dimostrato che siamo ancora lontani da un accordo sulla tassazione dell’economia digitale, anche a causa dell’opposizione di Paesi come Malta, Lussemburgo e Irlanda. Così anche il tentativo esperito dell’Italia per l’introduzione della c.d. web tax nel nostro ordinamento, attraverso la sua previsione nella legge di Bilancio 2018, sembra che si stia rivelando un fallimento.

Il problema è che, allo stato attuale, un Paese come l’Italia non può permettersi di dichiarare lotta all’evasione e all’elusione fiscale internazionale senza offrire alle imprese multinazionali e ai contribuenti facoltosi una certa convenienza ad investire nel proprio territorio (pur rispettando la normativa fiscale del nostro Stato) e di non trasferirsi in Paesi a fiscalità agevolata.

E allora si spiega anche perché in un gran numero di Paesi esteri la lotta all’evasione e all’elusione fiscale già si stia accompagnando ad una graduale riduzione del livello nominale di tassazione sui redditi delle società.

Si pensi, ad esempio, al Regno Unito e agli Stati Uniti, che recentemente hanno ridotto l’aliquota nominale per la tassazione delle società, rispettivamente, al 19% e al 21%. D’altra parte, l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea garantirà a tale Stato la possibilità di attrarre le imprese europee che fuggono dai Paesi a tassazione ordinaria. Proprio per tale motivo, si prevede che il Regno Unito nei prossimi tempi possa ridurre ulteriormente l’aliquota fiscale per le società.

In definitiva, solo laddove i Paesi della comunità internazionale si mettessero d’accordo per equiparare il livello di tassazione sulle società, queste ultime non avrebbero più convenienza a delocalizzare le proprie attività da uno Stato all’altro. Ma tale punto d’approdo ancora non si vede all’orizzonte. Anche il progetto dell’Unione europea per un meccanismo di tassazione su base omogenea nel relativo mercato  (Common Consolidated Corporate Tax Base – CCCTB) sempre procedere a rilento.

Guardando alla realtà dei fatti, dinanzi all’Italia si pongono due alternative:

  1. non ridurre l’aliquota fiscale per la tassazione delle società e proseguire con la lotta l’evasione e all’elusione fiscale internazionale, facendo sì che le imprese fuggano dal nostro territorio, determinando un impoverimento del Paese e delle finanze statali;
  2. agevolare in maggior misura le imprese che investono in Italia, sia sotto il profilo fiscale sia in termini di riduzione della burocrazia e di maggiore certezza del diritto tributario, attraendo nuove ricchezze e permettendo la produzione di maggiori redditi da tassare, sebbene tenendo cura del fatto che, a fronte dei benefici fruiti dalle imprese, queste non pongano in essere strategie di elusione e di evasione fiscale internazionale.

In altre parole, in un contesto di economia globalizzata e di Fiscalità liquida©, l’Italia, oltre a lottare contro l’evasione fiscale internazionale per evitare che i redditi evasi nel nostro Paese vengano trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata, deve stare ancor più attenta a scongiurare la “fuga” delle attività economiche dal proprio territorio.

Il rischio è quello che il futuro  delle imprese italiane possa non avere quale protagonista l’Italia (ma, in verità, sta già accadendo), bensì altri Paesi come Regno Unito, Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Stati Uniti, Emirati Arabi, Singapore ecc.

Senza un buon tessuto imprenditoriale in Italia verrebbe meno la produzione del reddito e, quindi, la ricchezza e il gettito. Inoltre, con la riduzione del reddito prodotto in Italia, lo Stato non potrebbe avere altra scelta che aumentare la tassazione sul patrimonio.

9. L’importanza dell’analisi fiscale internazionale delle scelte e delle operazioni con rilevanza internazionale

La globalizzazione dell’economia, che si manifesta attraverso l’intensificarsi dei traffici internazionali di merci e di servizi e la crescita degli investimenti diretti all’estero, dei trasferimenti di capitali a livello transnazionale, della mobilità dei lavoratori tra i diversi Paesi, ha indotto i singoli Stati della comunità internazionale a collaborare sempre più attivamente per coordinare i rispettivi poteri impositivi e tutelare il proprio gettito dalle pratiche di evasione fiscale internazionale.

In questo nuovo scenario i contribuenti, imprese e persone fisiche, sono chiamati a valutare attentamente le proprie posizioni fiscali con diversi obiettivi:

  • ottimizzare il carico fiscale, adottando le precise misure che garantiscono un legittimo risparmio d’imposta;
  • eliminare i fenomeni di doppie imposizione dei redditi a livello internazionale (evitando la loro duplice tassazione in misura piena sia nello Stato della fonte dei redditi sia nello Stato della residenza del contribuente);
  • ridurre al minimo il rischio di contestazioni per violazioni sia fiscali sia penali, da parte degli Stati in cui si trovano ad operare, derivanti da pratiche di evasione o elusione fiscale internazionale.

La realizzazione di questi obiettivi forma oggetto dell’analisi fiscale internazionale della posizione concreta del contribuente che si inserisce nel più ampio procedimento di pianifcazione fiscale internazionale.

Leggi ancheFiscalità internazionale: errori da evitare per tutelarsi.

9.1. L’importanza dei dettagli del caso concreto

I predetti obiettivi possono essere realizzati, attraverso l’analisi fiscale internazionale, solo partendo dalla precisa considerazione di tutti i dettagli del caso concreto oggetto di esame. 

Infatti, considerata la cavillosità e la frammentarietà della normativa fiscale internazionale, nonché le necessità di coordinare il sistema normativo di ordine nazionale, sovranazionale e internazionale, ogni tipo di generalizzazione, di valutazione meramente astratta oppure l’omessa considerazione anche di un solo particolare dell’ipotesi concreta, può determinare la completa inattendibilità dell’analisi fiscale internazionale svolta.

Da ciò discende anche che, per quanto alcune fattispecie possono apparire, a prima vista, simili, nella maggior parte dei casi la differenza anche di un solo dettaglio può comportare esiti completamente diversi dell’analisi fiscale internazionale.

Ogni errore commesso nell’esame dei dettagli del caso, d’altra parte, oltre a condurre a soluzioni errate, può comportare gravi danni per il contribuente, in termini o di mancato legittimo risparmio d’imposta oppure, ancor peggio, di contestazioni fiscali da parte dell’Amministrazione finanziaria.

9.2. L’analisi giuridica della fattispecie concreta

Per quanto l’analisi fiscale internazionale possa apparire, a prima vista, un’attività di carattere economico-contabile, ciò è vero solo in pochi casi.

In via generale, le valutazioni da compiersi nell’ analisi fiscale internazionale, prendendo in considerazione presupposti impositivi che vengono disciplinati da diversi ordinamenti giuridici (nella maggior parte dei casi, quello dello Stato di residenza del contribuente e quello dello Stato della fonte dei redditi) implicano, come passaggio imprescindibile, uno studio di tipo giuridico che, sulla base delle norme di fonte nazionale, sovranazionale e internazionale, individui le precise norme che regolano il caso concreto.

Infatti, l’analisi fiscale internazionale ha come obiettivo principale quello di accertare come interagiscono gli ordinamenti giuridici di diversi Paesi rispetto ad una medesima componente reddituale, per cui le valutazioni che ne conseguono non possono che essere, prima di tutto, di tipo giuridico.

Per l’analisi fiscale internazionale, pertanto, non è sufficiente la conoscenza del diritto tributario domestico, ma è necessario maturare una precisa specializzazione nel diritto tributario internazionale.

L’importanza dello studio giuridico della fattispecie è data proprio dal fatto che, se non vengono, preliminarmente, individuate le norme che disciplinano il caso, risulta impossibile comprendere la qualificazione fiscale dello stesso e, quindi, le disposizioni ad esso applicabili.

Diversamente, infatti, si finirebbe per applicare delle norme giuridiche che, magari, nulla hanno a che fare con il caso in esame.

Proprio la citata frammentarietà della normativa fiscale internazionale fa si che spesso per un caso concreto possano apparire applicabili diverse disposizioni, tra le quali, tuttavia, bisogna applicarne solo una.

Questo diventa tanto più vero quando, ad esempio, un determinato reddito venga qualificato in diversi modi dallo Stato della residenza del contribuente e dallo Stato della fonte del reddito, laddove le valutazioni giuridiche assumono un’importanza cruciale.

Come può immaginarsi, quindi, la maggior parte delle volte, solo una volta chiariti, in via preliminare, gli aspetti giuridici del caso, è possibile procedere ad occuparsi degli aspetti economico-contabili, come appunto, a titolo esemplificativo, quelli relativi alla valutazione oppure al calcolo delle componenti positive o negative di base imponibile oppure delle imposte.

D’altra parte, bisogna escludere che le questioni fiscali internazionali, che involgono la potestà impositiva dello Stato italiano (ad es. su un reddito estero), possano essere risolte esclusivamente da consulenti fiscali stranieri (appartenenti ad es. allo Stato della fonte), atteso che spesso queste devono essere risolte in base a regole fiscali italiane sconosciute agli ordinamenti tributari dei Paesi esteri.

Si noti, altresì, che da un lato, la normativa tributaria muta continuamente, dall’altro, le fattispecie concrete possono cambiare con il tempo, quindi un’analisi fiscale internazionale resta valida solo a patto che detti elementi non mutino nel corso del tempo.

9.3. Le fonti dell’analisi fiscale internazionale

Chiarito che, nell’ambito del procedimento di pianificazione fiscale internazionale, il primo passaggio per una corretta analisi fiscale internazionale è costituito dallo studio delle disposizioni normative applicabili, si sottolinea come detta valutazione non può limitarsi a prendere in considerazione le norme nazionali, sovranazionali e internazionali.

Spesso la soluzione del caso può non risultare chiara sulla base dell’applicazione delle sole norme, dovendosi fare riferimento alle fonti giurisprudenziali nazionali, sovranazionali e straniere.

Il riferimento a dette fonti diventa imprescindibile per avere un quadro chiaro della situazione.

A ciò bisogna aggiungere anche il riferimento alla prassi dell’Agenzia delle Entrate (es. Circolari e Risoluzioni) la quale, tuttavia, non ha valore vincolante, essendo semplicemente riproduttiva della “opinione” del Fisco.

9.4. L’importanza dei profili processuali tributari

In alcuni casi, inoltre, l’analisi fiscale internazionale, oltre a riguardare l’esame dei preliminari aspetti giuridici del caso, deve occuparsi anche di prospettare al contribuente i possibili effetti del proprio operato in termini di:

  • possibilità per l’Amministrazione finanziaria di sanzionare il comportamento dell’interessato;
  • impugnazione davanti alla Commissione Tributaria degli atti impositivi eventualmente già notificati dal Fisco.

Rispetto a quest’ultimo punto, si noti come la valutazione sulla convenienza o meno di impugnare un atto impositivo del Fisco non discende solo dallo studio della normativa di riferimento o della giurisprudenza formatasi in materia.

In particolare, assume importanza fondamentale al fine di stabilire se nel caso di specie il contribuente abbia o meno fondate ragioni, prefigurare la strategia processuale che possa essere messa in campo nel caso concreto.

Tale strategia processuale, tuttavia, non può essere desunta semplicemente dalle norme giuridiche di diritto sostanziale, quanto, invece, molto dipende anche dall’approfondita conoscenza del processo tributario e dei relativi strumenti attraverso i quali il contribuente può far valere le proprie ragioni, la quale deriva dall’esperienza maturata nel contenzioso tributario.

Ancora, un’analisi fiscale internazionale che si occupi anche dei profili processuali tributari non può tralasciare un dato fondamentale costituito dal fatto che il ricorso che viene proposto, in primo grado di giudizio, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, deve tener conto dell’inter che potrebbe subire il processo anche nei futuri gradi di giudizio.

Ciò significa che l’impugnazione in primo grado deve essere concepita già alla luce della possibilità che la questione possa eventualmente approdare davanti alla Corte di Cassazione.

Questo perché, una volta individuati i motivi d’impugnazione in primo grado, a questi non ne possono essere aggiunti altri nei successivi gradi di giudizio, cosicché le eccezioni dedotte in primo grado devono essere già concepite per l’eventualità che le questioni possano arrivare in Cassazione. Assume importanza fondamentale, quindi, la dimestichezza nella stesura degli atti difensivi nei giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione.

9.5. L’analisi dei profili penali

Elemento spesso trascurato nell’analisi fiscale internazionale ma che, invece, assume un’importanza cruciale, è quello riguardante i profili di rilevanza penale della condotta del contribuente.

L’importanza dello studio dei profili penali del caso concreto è, appunto, legato al fatto che talvolta le azioni del contribuente, oltre a rilevare sotto il profilo prettamente fiscale, configurano dei veri e propri reati tributari, previsti e puniti dal D.Lgs. n. 74/2000, i quali possono essere puniti finanche con la pena della reclusione.

Per cui, solo con l’ulteriore analisi dei profili penali del caso, il contribuente può avere la chiarezza della totalità dei rischi fiscali associati alla sua condotta.

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10. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto

Alla luce di quanto esposto, appare evidente che l’analisi fiscale internazionale deve, in primo luogo, partire da uno studio giuridico del caso concreto, il quale deve essere necessariamente svolto sulla base della normativa interna, internazionale e sovranazionale, alla luce della giurisprudenza in materia, nonché tenendo in considerazione gli eventuali profili processuali e penali della fattispecie.

Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, perché all’atto pratico la normativa fiscale internazionale è costellata di eccezioni e deroghe da applicarsi a seconda dei dettagli del preciso caso concreto in esame e che, quindi, non possono essere sottovalutate.

La fiscalità internazionale è la materia dei dettagli. Spesso accade che, anche un singolo dettaglio del caso concreto, apparentemente irrilevante, richieda una soluzione della problematica completamente diversa da quella ritenuta adeguata a un primo sguardo della situazione.

Inoltre, l’approfondimento della situazione concreta spesso esclude delle irregolarità che il contribuente pensava di aver commesso e, invece, mette in luce delle problematiche che il contribuente nemmeno pensava di avere.

Questo può capitare se il contribuente esamina la propria posizione dal punto di vista di una sola norma ritenuta “a priori” applicabile, quando, invece, il caso deve essere inquadrato, attraverso la necessaria analisi condotta alla luce dell’intero ordinamento tributario, sotto il profilo di una diversa norma.

Quindi, l’analisi fiscale internazionale è necessaria per inquadrare tutti i dettagli sostanziali del caso in esame ed evitare errori di valutazione da cui possano scaturire violazioni fiscali che darebbero luogo al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, tali da erodere il reddito prodotto dal contribuente e causargli un grave danno economico.

D’altra parte, la difesa da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può mai essere efficace quanto la prevenzione delle violazioni fiscali attuata con una strategia di analisi preventiva.

Quindi la verifica da parte di un professionista specializzato in fiscalità internazionale circa le problematiche del preciso caso concreto costituisce un passaggio essenziale.

Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’analisi delle questioni di fiscalità internazionale.

Se desideri richiedere una consulenza fiscale internazionale allo Studio ITAXA per il tuo preciso caso concreto, scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.