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L’interpello è un istituto previsto e disciplinato dall’art. 11 della Legge n. 212/2000, anche conosciuto come “Statuto dei diritti del contribuente”. Formalmente si tratta di un’istanza che il contribuente volge all’amministrazione finanziaria al fine di ottenere un parere circa la corretta interpretazione e, successiva, applicazione di norme tributarie poco chiare rispetto al caso concreto.
Tra i diritti del contribuente, trova collocazione l’istituto dell’interpello, disciplinato nelle sue diverse articolazioni (ordinario, probatorio, anti-abuso e disapplicativo) all’interno dell’art. 11 dello “Statuto dei diritti del contribuente”.
Tale strumento, espressione di principi costituzionali (art. 1 Legge n. 212/2000) involge l’Amministrazione finanziaria cui spetta un più ampio potere di consulenza.
L’intero procedimento che va dalla proposizione dell’istanza fino alla comunicazione del parere da parte dell’amministrazione deve uniformarsi a regole di garanzia e di efficienza.
La disciplina dell’istituto ha subìto delle modifiche nel tempo. Ci si riferisce, in particolar modo, al D.Lgs. n. 156/2015, che ha dato attuazione alla c.d. “Riforma Fiscale” contenuta nella Legge n. 23/2014.
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1. Tipi di interpello
1.1. Interpello ordinario
L’attuale ordinamento riconosce quattro diverse tipologie di interpello, tutte rientranti nella più ampia categoria di interpello classico, disciplinato dall’art. 11 già citato.
Il primo comma dell’art. 11, lett. a) autorizza il soggetto passivo dell’imposizione tributaria, a rivolgere all’amministrazione finanziaria un’apposita istanza di chiarimento (che per l’appunto prende il nome di interpello), concernente l’applicazione delle disposizioni tributarie al caso concreto.
La richiesta può riguardare l’interpretazione di qualsiasi norma tributaria, nessuna esclusione in tal senso è prevista dal legislatore, eccezion fatta per gli atti a contenuto non normativo.
Questa forma di dialogo presuppone l’esistenza di una oggettiva condizione di incertezza interpretativa della fattispecie legale. Incertezza che non risiede tanto nella norma tributaria in quanto tale, nella sua formulazione giuridico- formale, ma riguarda piuttosto la sua qualificazione sul piano fattuale, ossia la sua applicabilità al caso concreto.
Inoltre, l’incertezza deve pur sempre essere “oggettiva”, cioè avulsa da qualsiasi condizione psicologica o soggettiva in cui versa il contribuente.
L’istanza deve essere circostanziata e specifica, deve cioè riguardare fattispecie concrete e personali. Questo criterio, in verità, è comune requisito di tutte le tipologie di interpello, ivi disciplinate.
Se ne deduce che l’interpello ordinario, se per un verso, serve ai contribuenti quale strumento chiarificatore per l’adempimento dei propri doveri impositivi; dall’altra parte, obbliga l’amministrazione finanziaria ad assumere prese di posizione chiare dirette Ai contribuenti, sulle quali, conformare i propri comportamenti futuri, ed evitare di incorrere nella commissione di illeciti tributari.
1.2. Interpello probatorio
Il primo comma dell’art. 11, lett. b) introduce la seconda categoria di interpello: c.d. interpello probatorio.
L’istanza di interpello, in questo caso, è rivolta dal contribuente all’Amministrazione finanziaria al fine di ottenere un parere circa l’esistenza delle condizioni, e/o la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali.
La norma sebbene formulata in senso restrittivo, è suscettibile di interpretazione estensiva. L’istanza rivolta all’Amministrazione può essere finalizzata non solo a verificare le condizioni per l’accesso a specifici regimi fiscali, ma può estendersi anche alle ipotesi di non operatività di talune limitazioni, o anche di effettiva applicabilità di regole speciali in luogo di quelle ordinarie.
Un limite espresso che il legislatore ha assegnato a questa particolare forma di interpello è la tassatività. La richiesta può essere inoltrata soltanto nei “casi espressamente previsti dalla legge”.
Ha chiarito l’Agenzia delle Entrate, che trattasi nello specifico:
- delle istanze di interpello cosiddetta CFC (Controlled Foreign Companies) ai sensi dell’articolo 167 del TUIR, attraverso le quali il soggetto residente dimostra, fornendo le informazioni necessarie e allegando idonea documentazione, la sussistenza dei presupposti per ottenere la disapplicazione della normativa sulle imprese estere partecipate, relativamente a ciascuna controllata estera. La presentazione di questo tipo di istanza, per le partecipazioni in Paesi a fiscalità privilegiata, è prevista anche in materia di: utili da partecipazione (articolo 47, comma 4, del TUIR); plusvalenze da partecipazioni (articolo 68, comma 4, del TUIR); “partecipation exemption” (articolo 87 del TUIR): dividendi (articolo 89 del TUIR);
- delle istanze per le partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari di cui all’articolo 113 del TUIR (gli enti creditizi possono scegliere di non applicare il regime proprio delle partecipazioni di cui all’articolo 87 TUIR a quelle acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria);
- delle istanze di interpello per la continuazione del consolidato, ai sensi dell’articolo 124 del TUIR, presentate in occasione della effettuazione di operazioni di riorganizzazione generalmente interruttive del medesimo, tese a verificare che, anche dopo l’effettuazione di tali operazioni, permangono tutti i requisiti previsti dalle disposizioni di cui agli articoli 117 e seguenti ai fini dell’accesso al regime;
- delle istanze di interpello per l’accesso al consolidato mondiale di cui all’articolo 132 del TUIR;
- delle istanze presentate dalle società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative” ai sensi e per gli effetti della disciplina prevista dall’articolo 30 della legge 30 dicembre 1994, n. 724;
- delle istanze previste ai fini del riconoscimento del beneficio ACE di cui all’articolo 1 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214, in presenza di operazioni potenzialmente suscettibili di comportare indebite duplicazioni di benefici, ai sensi dell’articolo 10 del decreto ministeriale 14 marzo 2012.
1.3. Interpello anti-abuso
L’interpello anti-abuso, già noto prima della riforma fiscale come “interpello antielusivo”, costituisce il nuovo strumento di dialogo tra contribuente e amministrazione, disciplinato dalla lett. c) dell’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, con finalità antielusiva.
La norma, trova fondamento nella disciplina dell’abuso del diritto. “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di determinati vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici” (Cass. 11 maggio 2012, n. 7393).
Attraverso siffatto strumento il contribuente ha la possibilità di chiedere all’amministrazione se le operazioni che intende realizzare, costituiscano in concreto, una ipotesi di abuso del diritto.
Il quesito, a differenza del passato, può estendersi a tutto il settore impositivo e non limitarsi alla sola materia della imposta sui redditi.
La domanda dovrà essere, comunque, circostanziata, perché oltre a descrivere la fattispecie concreta in relazione alla quale il parere è richiesto, dovrà contenere, altresì, l’esatta indicazione del settore o dei settori impositivi cui essa si riferisce, pena l’inammissibilità della medesima.
1.4. Interpello disapplicativo
Il secondo comma dell’art. 11 della Legge n. 212/2000, disciplina un apposito tipo di interpello, anche detto interpello disapplicativo, perché volto alla “disapplicazione” delle disposizioni normative di natura antielusiva.
Esso, si traduce nel potere della Agenzia delle Entrate di disapplicare disposizioni di carattere normativo che, a scopo antielusivo, hanno l’effetto di limitare deduzioni, detrazioni e crediti di imposta o, in via residuale, altre posizioni soggettive, altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario. Tale potere presuppone una valutazione ex ante da parte della Amministrazione finanziaria, del carattere non elusivo della fattispecie concreta prospettata dall’istante, alla luce degli elementi probatori da questi stesso, allegati. L’onere della prova è infatti in capo all’istante, che dovrà fornire la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi e, pertanto la limitazione della sua sfera giuridica soggettiva non troverebbe alcun fondamento.
Come è agevole notare, a questa fattispecie, già prevista dal D.P.R. n. 600/1973 recante “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”, il legislatore riconosce un intero comma.
Invero, la sua autonoma collocazione all’interno dell’art. 11, è espressione della sua peculiarità. Trattasi, infatti, dell’unica categoria di “interpello obbligatorio” attualmente esistente nel sistema. Tale obbligatorietà – chiarisce l’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n.9/E “Commento alle novità del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 recante revisione della disciplina degli interpelli” – risiede nella imprescindibilità della segnalazione: il contribuente “interpella” la pubblica amministrazione, rappresentando di trovarsi in una delle situazioni prescritte dalla legge, che ne legittima la disapplicazione.
L’ottica è sempre la finalità antielusiva, comune anche alla fattispecie dell’interpello anti-abuso.
2. Interpello: legittimazione degli istanti
Giova precisare, sin da subito, quali sono i soggetti legittimati a proporre istanza di interpello. Sul punto ci viene in soccorso l’art. 2 del D.lgs. n. 156/2015 recante “Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23“.
Si tratta dei contribuenti, anche non residenti, e di tutti quei soggetti che pur non essendo “personalmente” parte di un rapporto tributario, sono tenuti insieme ai primi o per loro conto, o in loro vece ad adempiere agli obblighi fiscali. Si tratta cioè di coloro che rivestono il ruolo di sostituti o responsabili di imposta.
3. Termini per la presentazione dell’istanza di interpello
L’istanza deve essere presentata entro e non oltre (prima del) la scadenza del termine previsto dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento degli altri obblighi tributari, comunque connessi alla fattispecie cui l’istanza si riferisce.
Invero, il principio della preventività è destinato a soccombere nell’ipotesi in cui le istanze di interpello si riferiscano a questioni che interessano più periodi di imposta. In tal caso, quand’anche l’istanza sia inoltrata oltre il termine di presentazione di una delle dichiarazioni interessate dal quesito, si dovrà comunque apprezzare l’interesse del contribuente a conoscere il parere della amministrazione, cui adeguare il proprio comportamento in relazione alle successive dichiarazioni. A precisarlo è la Circolare n.9/E “Commento alle novità del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 recante revisione della disciplina degli interpelli” dell’Agenzia delle Entrate che lo ha affermato nell’ottica di un generale favor nei confronti dell’istituto stesso.
4. Istanza di Interpello: Uffici competenti
Quanto agli uffici competenti a ricevere la domanda, si rinvia al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, pubblicato il 4 gennaio 2016, recante le nuove disposizioni procedurali concernenti, appunto, le istanze di interpello.
La competenza è ripartita in ragione della diversa tipologia di tributo. In particolar modo, le istanze di interpello riguardanti i tributi erariali devono essere presentate alla Direzione Regionale competente in relazione al domicilio fiscale del soggetto istante; le istanze concernenti l’imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali nonché le istanze di cui all’art. 11, comma 1, lettera a) della Legge 27 luglio 2000, n. 212 aventi ad oggetto disposizioni o fattispecie di natura catastale devono essere a loro volta, presentate alla Direzione Regionale nel cui ambito opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello.
Nessun problema in caso di errore nell’invio della domanda: qualora questa sia presentata ad un ufficio diverso da quello competente ovvero ad un indirizzo di posta elettronica certificata o ordinaria diverso da quello corrispondente all’ufficio competente, essa sarà tempestivamente trasmessa all’ufficio o all’indirizzo di posta elettronica corretto. In questo caso, il termine per la risposta inizierà a decorrere dalla data di ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente o dalla consegna dell’istanza all’indirizzo di posta elettronica correttamente individuato. Della data di ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio tributario è data notizia al contribuente.
5. Aspetti formali dell’istanza di interpello
Quanto alla forma, v’è da precisare che l’istanza deve essere redatta in carta libera, esente da bollo e una volta, sottoscritta, deve essere inoltrata all’ufficio predetto. Invero, il Provvedimento lascia libero il contribuente di scegliere fra tutte le forme di presentazione consentite, quella che preferisce. Vi rientra, in altre parole, la consegna a mani, la spedizione a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento; nonché l’invio telematico attraverso il servizio di PEC.
6. La procedura di regolarizzazione dell’istanza di interpello
L’art. 11 delle L. 212/2000 pone quale requisito imprescindibile per tutte le istanze di interpello, la specificità.
Specificità della istanza implica che essa deve contenere:
- i dati identificativi dell’istante ed eventualmente del suo legale rappresentante, compreso il codice fiscale;
- l’indicazione del tipo di istanza fra quelle disciplinate dall’art. 11;
- la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie;
- e specifiche disposizioni di cui si richiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione;
- l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, della soluzione proposta;
- l’indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell’istante o dell’eventuale domiciliatario ove deve essere comunicata la risposta;
- la sottoscrizione dell’istante o del suo legale rappresentante ovvero del suo procuratore.
L’assenza di uno di questi requisiti, può dare avvio alla procedura di regolarizzazione; sarà, infatti, l’amministrazione ad invitare il contribuente a regolarizzare la propria domanda nel termine di 30 giorni, così salvaguardando la finalità dell’istituto.
Questa è una delle novità introdotte dal decreto, che come anticipato, vuole realizzare una concreta possibilità di dialogo tra la amministrazione tributaria e il contribuente. Di qui anche la possibilità di regolarizzare una domanda insufficiente nei requisiti presupposti dalla legge.
La procedura di regolarizzazione, in ogni caso, interrompe i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere; questi torneranno a decorrere nuovamente dalla data della consegna o della ricezione della istanza così regolarizzata.
Giova precisare, che la procedura di regolarizzazione non deve essere richiesta sempre e comunque. Ad esempio, essa non sarà necessaria tutte le volte in cui l’Agenzia registri a monte, l’inammissibilità della istanza medesima; in tal caso la regolarizzazione a nulla servirebbe, posto il vizio invalidante.
7. L’inammissibilità dell’istanza di interpello
I casi di inammissibilità delle istanze di interpello sono tassativamente tipizzate dal legislatore e contenute nell’art. 5 del D.lgs. n. 156/2015.
L’istanza di interpello è inammissibile quando:
- essa è totalmente priva dei dati identificativi del richiedente, nonché della specificità della fattispecie; non è rispettato il criterio della preventività;
- reitera le medesime questioni sulle quali il contribuente ha già ottenuto un parere (salvo che vengano indicati elementi di fatto o di diritto nuovi) oppure non ricorrano obiettive condizioni di incertezza;
- l’istanza verte su materie oggetto delle speciali procedure di accordo preventivo ai sensi dell’articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e l’interpello sui nuovi investimenti;
- o, ancora verte su questioni per le quali siano state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell’interpello e di cui il contribuente sia formalmente a conoscenza;
- o si tratti di istanze non regolarizzate nel termine di legge di 30 giorni.
Quando la dichiarazione di inammissibilità deriva dalla mancanza delle condizioni di obiettiva incertezza della fattispecie legale, o dal fatto che l’amministrazione tributaria abbia già fornito la soluzione ad un caso simile a quello dell’oggetto della nuova istanza, sarà onere della amministrazione stessa fornire al contribuente l’indicazione esatta ove trovare risposta alla propria domanda e, semmai, integrarla per la parte che ne residua.
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8. La domanda integrativa relativa all’interpello presentato
Diversa dalla regolarizzazione è, invece, l’integrazione disciplinata dall’art. 4 dello stesso D.Lgs. n. 156/2015.
Quando l’amministrazione non è in grado di fornire adeguata risposta alla domanda di interpello, sulla base della documentazione in atti, potrà chiedere al contribuente di allegare ulteriore documentazione a supporto. Tale previsione è valida per tutte le tipologie di interpello disciplinate dall’art. 11 dello Statuto dei Contribuenti.
L’omessa allegazione integrativa equivale a rinuncia del proponente; fatta salva possibilità di presentare un’ulteriore istanza, qualora ne ricorrano i presupposti di legge.
9. Il parere della Amministrazione finanziaria e l’autotutela
Terminata l’istruttoria, il contribuente può attendere la risposta dell’Ufficio competente.
I termini per la conclusione dei lavori e la comunicazione del parere finale sono per legge fissati a 90 giorni (dalla ricezione dell’istanza di interpello ordinario); 120 giorni per le restanti tipologie. (comma 3 art. 11).
Occorre precisare che nel caso in cui nella stessa istanza di interpello il contribuente abbia introdotto due o più quesiti tra loro connessi e/o consequenziali, la risposta della amministrazione sarà sempre unica, ma potrà essere resa nel più ampio periodo di 120 giorni in luogo di quello ordinario di 90 giorni.
La risposta deve essere resa in forma scritta e motivata; e, vincola ogni organo della Amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente.
Qualora invece, la risposta al quesito non giunga entro il termine di legge, il silenzio equivale ad accettazione della soluzione prospettata dal contribuente (silenzio-assenso).
Gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli.
La legge precisa, inoltre, che l’efficacia del parere dell’Agenzia fiscale, si estende ai comportamenti successivi del contribuente, riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione. Il parere reso al contribuente dall’Amministrazione finanziaria è un atto amministrativo e come tale, su di esso l’amministrazione conserva il potere di autotutela, ossia la possibilità di pronunciarsi nuovamente sulla questione, modificando e annullando il proprio precedente orientamento.
Il problema, in verità, si pone per lo più sotto il profilo degli effetti giuridici. Che fine fanno gli effetti già prodotti in ragione del precedente parere della amministrazione? Ebbene, l’art. 11 dello Statuto del Contribuente chiarisce che la rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione ha valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante; restano cioè salvi quelli già prodotti.
10. Istanza di interpello sulla residenza fiscale: possibile?
Sempre più frequentemente i contribuenti propongono istanza di interpello davanti all’Agenzia delle Entrate al fine di chiarire questioni legate alla localizzazione della propria residenza fiscale per determinati anni d’imposta.
Di seguito vedremo come questa sia una pratica errata, così come evidenziato dalla stessa Amministrazione finanziaria in alcune sue risposte ad interpelli proprio relativi alla qualificazione della residenza fiscale dell’istante.
10.1. Le istanze di interpello per la determinazione del Paese della residenza fiscale
Con diverse risposte ad istanze di interpello l’Agenzia delle Entrate ha rigettato la richiesta di determinazione del Paese della residenza fiscale del contribuente, ritenendo di poter procedere a tal verifica solo in sede di esercizio dei propri poteri di accertamento.
In particolare, troviamo il caso di un contribuente che dichiarava all’Agenzia delle Entrate di lavorare per una società con sede in Svizzera 3 giorni a settimana (dal mercoledì al venerdì) e di trascorrere, invece, in Italia altri 4 giorni della settimana (dal sabato al martedì) in una casa vacanze insieme alla sua famiglia pur, tuttavia, evitando di trascorrere in Italia più di 183 in un anno. Il contribuente sosteneva che in tale situazione egli fosse da ritenersi fiscalmente residente in Svizzera, non trascorrendo in Italia più di 183 giorni all’anno.
Al di là della discutibile soluzione prospettata dal contribuente, in questa sede rileva come l’Agenzia delle Entrate, ancor prima di rispondere alla richiesta dell’istante, con Risposta n. 294 del 2019, ha chiarito che: “In via preliminare, si evidenzia come l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale costituisca una questione di fatto che non può formare oggetto di istanza di interpello, ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 212/2000”.
A simile conclusione il Fisco è giunto in relazione ad un’istanza di interpello presentata da un contribuente, avente cittadinanza italiana e britannica, il quale chiedeva conferma circa la sua residenza fiscale nel Regno Unito, sul rilievo che per l’anno in questione avesse lavorato per la maggior parte del periodo d’imposta nel Paese straniero e avesse presentato al consolato richiesta di iscrizione all’AIRE il 19 gennaio, nonostante l’iscrizione non si fosse perfezionata entro la prima metà dell’anno. Anche in questo caso il contribuente prospettava la soluzione secondo cui, in virtù dei fatti esposti, per l’anno in oggetto dovesse essere considerato fiscalmente residente nel Regno Unito, quindi non in Italia.
Anche in relazione a tale istanza di interpello, l’Amministrazione finanziaria, con Risposta n. 270 del 2019, ha sottolineato che: “In via preliminare, si evidenzia come l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale costituisca una questione di fatto che non può formare oggetto di istanza di interpello, ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 212/2000”.
Non potendo fornire puntuale risposta ad entrambe le istanze di interpello, l’Agenzia delle Entrate si è limitata a prospettare ai contribuenti le norme generali che disciplinano la residenza fiscale, senza assumere alcun vincolo valutativo rispetto.
10.2. Incompatibilità tra interpello e accertamento della residenza fiscale
L’impossibilità di proporre istanza di interpello per la verifica del Paese in cui collocare la residenza fiscale del contribuente, oltre ad essere evidenziata dall’Agenzia delle Entrate con le risposte sopra indicate, è stata ancor prima chiarita con la Circolare n. 9/E del 1° aprile 2016.
Con questa Circolare sono state fornite alcune delucidazioni in merito al D.Lgs. n. 156/2015 comprendente, tra le altre misure, la revisione della disciplina degli interpelli.
In particolare, nella Circolare si legge che: “l’interpello qualificatorio, al pari dell’interpello ordinario, non può comunque avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico. Non potrà, quindi, correttamente qualificarsi istanza di interpello quella tesa ad ottenere accertamenti di fatto” ovvero quelle fattispecie “in cui, più che rilevare l’aspetto qualificatorio, rilava il mero appuramento del fatto (c.d. accertamento di fatto)”.
In definitiva, atteso che le questioni relative all’accertamento della residenza fiscale dei contribuenti, ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. n. 917/1986, attengono a valutazioni di fatto, queste non possono essere risolte dall’Agenzia delle Entrate in risposta alle istanze di interpello.
Nel predetto contesto, le considerazioni in merito alla residenza fiscale sono rimesse ai contribuenti, i quali si ritrovano a dover valutare attentamente tutti gli elementi necessari ad allocare la propria residenza all’estero piuttosto che in Italia.
Dette analisi hanno un particolare peso, oltre che al fine di valutare l’obbligo di dichiarare anche in Italia i redditi prodotti all’estero, anche per definire l’applicabilità o meno dei benefici fiscali per il c.d. rientro dei cervelli, di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015.
In quest’ultimo caso, infatti, un’errata valutazione del requisito della residenza fiscale estera, potrebbe addirittura comportate il disconoscimento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’applicazione del regime fiscale di favore, con il recupero, attraverso avviso di accertamento, delle imposte ritenute evase per tutti gli anni di fruizione dell’agevolazione fiscale.
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11. Inammissibilità dell’istanza di interpello
Ciò che spesso non viene preso in considerazione dal contribuente in sede di presentazione dell’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate è il fatto che quest’ultima non deve essere intesa come una consulenza professionale richiesta all’Amministrazione finanziaria. Un’istanza presentata con questa logica è gran parte delle volte giudicata inammissibile dell’Agenzia delle Entrate. Ciò significa che in questi casi l’Amministrazione finanziaria non si pronuncia sul merito della questione sollevata dal contribuente, con l’effetto che la procedura attivata diventa inutile per il contribuente.
Quindi, prima di procedere alla presentazione della istanza di interpello, è necessario verificare le condizioni di ammissibilità della stessa, per poi esaminare nella sostanza l’opportunità dei motivi che la giustificano, onde evitare di incorrere nella declaratoria di inammissibilità della richiesta da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Un’istanza di interpello non correttamente formulata è destinata ad essere dichiarata inammissibile da parte dell’Agenzia delle Entrate, con la conseguente perdita di energie e di tempo da parte del contribuente, proprio per questo è preferibile rivolgersi ad un professionista esperto in questa tipologia di procedura, per trarne il massimo dei vantaggi ed evitarne i potenziali effetti negativi.
Per richiedere assistenza nella presentazione dell’interpello all’Agenzia delle Entrate oppure per la difesa tributaria o per una consulenza fiscale internazionale scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.
12. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto
Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, perché all’atto pratico la normativa fiscale internazionale è costellata di eccezioni e deroghe da applicarsi a seconda dei dettagli del preciso caso concreto in esame e che, quindi, non possono essere sottovalutate.
La fiscalità internazionale è la materia dei dettagli. Spesso accade che, anche un singolo dettaglio del caso concreto, apparentemente irrilevante, richieda una soluzione della problematica completamente diversa da quella ritenuta adeguata a un primo sguardo della situazione.
Inoltre, l’approfondimento della situazione concreta spesso esclude delle irregolarità che il contribuente pensava di aver commesso e, invece, mette in luce delle problematiche che il contribuente nemmeno pensava di avere.
Questo può capitare se il contribuente esamina la propria posizione dal punto di vista di una sola norma ritenuta “a priori” applicabile, quando, invece, il caso deve essere inquadrato, attraverso la necessaria analisi condotta alla luce dell’intero ordinamento tributario, sotto il profilo di una diversa norma.
Quindi, l’analisi fiscale internazionale è necessaria per inquadrare tutti i dettagli sostanziali del caso in esame ed evitare errori di valutazione da cui possano scaturire violazioni fiscali che darebbero luogo al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, tali da erodere il reddito prodotto dal contribuente e causargli un grave danno economico.
D’altra parte, la difesa da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può mai essere efficace quanto la prevenzione delle violazioni fiscali attuata con una strategia di analisi preventiva.
Quindi la verifica da parte di un professionista specializzato in fiscalità internazionale circa le problematiche del preciso caso concreto costituisce un passaggio essenziale.
Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’analisi delle questioni di fiscalità internazionale.
Se desideri richiedere una consulenza fiscale internazionale allo Studio ITAXA per il tuo preciso caso concreto, scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.
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