Omesso versamento delle ritenute fiscali: quando è nullo l’accertamento?

Con una importante sentenza la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta per chiarire i casi in cui l’omesso versamento delle ritenute da parte del sostituto (es. datore di lavoro) non implica la solidarietà del sostituito (es. lavoratore dipendente) nel versamento delle relative imposte, determinando la nullità dell’avviso di accertamento eventualmente elevato a carico di quest’ultimo.

1. Il caso: riscossione delle imposte per omesso versamento delle ritenute

La causa giunta all’attenzione della Corte di Cassazione muove da un accertamento formale (art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973) operato dall’Agenzia delle Entrate a carico di un contribuente per il recupero delle ritenute d’imposta che erano state operate dal suo sostituto d’imposta ma che, tuttavia, quest’ultimo non aveva mai provveduto a versare al Fisco.

Il contribuente impugnava la cartella di pagamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, lamentando che, avendo già subito le ritenute da parte del sostituto d’imposta, nulla risultava più dovuto al Fisco da parte sua.

Il ricorso veniva accolto dai Giudici di primo grado con sentenza che veniva appellata dall’Agenzia delle Entrate davanti alla Commissione Tributaria Regionale che pedissequamente confermava l’esito di primo grado favorevole al contribuente.

La decisione veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate dinanzi alla Corte di Cassazione al fine di vedere accolta la propria teoria secondo cui il contribuente fosse da ritenersi solidalmente responsabile al versamento delle ritenute nonostante queste, pur essendo state già operate dal sostituto d’imposta non fossero mai state versate all’Amministrazione finanziaria.

2. La Corte di Cassazione: solidarietà esclusa in caso di ritenuta operata ma non versata

Nonostante l’Agenzia delle Entrate avesse rinunciato al giudizio dopo l’apertura della pubblica discussione e, quindi, il suo ricorso fosse da ritenersi inammissibile (per carenza d’interesse), la Corte di Cassazione ha deciso di pronunciarsi in ogni caso sulla causa, questa volta a Sezioni Unite, al fine di fissare il proprio principio di diritto su una questione sulla quale non vi era chiarezza in giurisprudenza.

Infatti, la Suprema Corte preliminarmente evidenzia come sulla questione della solidarietà tra sostituito e sostituto d’imposta per il versamento delle ritenute d’imposta sussistevano due diversi orientamenti in giurisprudenza.

Con un primo orientamento (Cass. nn. 13664 e 12991 del 1999) la Corte di Cassazione aveva escluso la solidarietà tra sostituito e sostituto in circostanze concrete come quella in cui il sostituto aveva integralmente pagato il corrispettivo senza operare le ritenute oppure il reddito percepito non era stato dichiarato in quanto corrisposto “in nero” o, ancora, nel caso in cui la solidarietà provenisse dall’accertamento dell’imposta.

Al contrario, secondo un diverso orientamento (Cass. n. 12076 del 2016, n. 9933 del 2015, n. 19580 del 2014, n. 23212 del 2013, n. 8653 del 2011 e n. 14033 del 2006) la solidarietà tra sostituito e sostituto sussisteva quando il sostituto d’imposta, pur avendo operato le ritenute nei confronti del sostituito, non abbia successivamente provveduto a versarle al Fisco. Questa solidarietà comportava che, ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. n. 602/1973, sia il sostituito sia il sostituto fossero destinatari dell’azione di riscossione dell’Amministrazione finanziaria.  Tale posizione della Suprema Corte veniva fondata sul rilievo che, atteso che l’obbligazione di versamento delle ritenute fosse unica, questa incombesse già dall’origine, ai sensi dell’art. 1294 c.c., sia sul sostituto sia sul sostituito.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, però, non ha condiviso quest’ultimo orientamento giurisprudenziale, che diversamente avrebbe trovato applicazione nel caso in esame.

Più in particolare, gli Ermellini puntualizzano come non possa farsi confusione tra gli istituti della “sostituzione” del sostituto nei riguardi del sostituito e quello della “solidarietà” nel versamento dell’imposta.

Ai sensi dell’art. 64, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, che regola l’accertamento dell’imposta in caso di sostituzione, il soggetto passivo dell’imposta è il sostituito, restando al sostituto solo la possibilità di intervenire nel processo.

Al contrario, ai sensi dell’art. 23 del D.P.R. n. 600/1973, l’obbligazione autonoma del versamento della ritenuta d’acconto grava solo sul sostituto. Ciò risulterebbe comprovato dall’art. 35 del D.P.R. 602/1973 che, in materia di riscossione, prevede la solidarietà tra sostituito e sostituto solo quando il sostituto, pur avendo operato le ritenute, non abbia successivamente provveduto al loro versamento.

Da ciò viene fatto derivare che, salvo che il sostituto non proceda ad operare le ritenute, il sostituito non è da considerarsi solidalmente responsabile per il versamento delle ritenute, la cui obbligazione grava esclusivamente sul sostituto d’imposta ai sensi dell’art. 23 del D.P.R. n. 600/1973. Detta interpretazione sarebbe coerente anche con l’art. 22 del D.P.R. n. 917/1973, ai sensi del quale il contribuente ha diritto allo scomputo delle ritenute subite una volta che esse siano state operate, non richiedendo a tal fine il successivo adempimento del loro versamento all’Erario da parte del sostituto.

Su queste basi le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 12 aprile 2019, n. 10378, ribaltando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno stabilito il principio di diritto secondo cui: “Nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’articolo 35 Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 cit. è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute”.

3. La difesa tributaria di uno Studio Legale Tributario

Nonostante la predetta vicenda abbia avuto esito favorevole per il contribuente, bisogna sempre verificare con attenzione se alla medesima conclusione è possibile giungere per ipotesi simili ma non identiche.

Alla luce del fatto che il contenzioso tributario diventa sempre più “aleatorio” e le conseguenze della soccombenza particolarmente gravose per il contribuente, bisogna rivalutare il dialogo e il confronto con il Fisco e, in primo luogo, con l’Agenzia delle Entrate.

Soprattutto nelle questioni di fiscalità internazionali, particolarmente complesse e ricche di apprezzamenti valutativi, stabilire un rapporto dialettico con l’Agenzia delle Entrate – specialmente in sede di contraddittorio preventivo rispetto all’azione di accertamento – può evitare il protrarsi delle contestazioni in sede contenziosa, dove le Commissioni Tributarie potrebbero non avere la stessa “sensibilità” di un brillante funzionario del Fisco su materie come “transfer pricing”Controlled Foreign Companies”, “stabile organizzazione  e “crediti per imposte estere”.

Ebbene, in questi casi è meglio lasciare il contenzioso tributario come “ultima spiaggia”, ammesso che ve ne siano i presuppostipena la “scure” della condanna al pagamento delle spese di giudizio.

In queste scelte costituisce un passaggio fondamentale quello di rivolgersi ad uno Studio Legale Tributario, al fine di valutare con la massima cura:

  • la strategia più adatta per difendersi dall’avviso di accertamento;
  • la presenza di vizi che possano giustificare la presentazione di un ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale;
  • le possibilità che il ricorso possa essere accolto in Commissione Tributaria Provinciale.

Trattasi, quindi, di una valutazione estremamente tecnica e meticolosa, che non può essere svolta dallo stesso contribuente che non abbia adeguata competenza ed esperienza nel contenzioso tributario.

In assenza delle predette valutazioni, da operarsi con l’assistenza di uno Studio Legale Tributario, il contribuente potrebbe correre il concreto pericolo:

  • o di sottovalutare degli strumenti per la definizione in “transazione” dell’avviso di accertamento e di avviare un contenzioso perso in partenza che lo vedrà costretto a pagare, oltre alle imposte e alle sanzioni dovute, anche le spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate (magari anche per diversi gradi di giudizio);
  • oppure, di pagare le somme richieste con l’avviso di accertamento, nonostante questo sia affetto da un grave vizio che, se denunciato con ricorso, avrebbe indotto la Commissione Tributaria Provinciale ad annullare l’intero atto impositivo, con nessuna imposta e sanzione dovuta dal contribuente.

Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza in materia di contenzioso tributario, assistendo persone fisiche e società nelle valutazioni degli strumenti più adatti al preciso caso concreto per la migliore difesa degli interessi del contribuente, le quali vengono svolte in 3 fasi:

  • analisi preliminare circa la sussistenza di vizi dell’avviso di accertamento e dello strumento più adeguato per farli valere;
  • valutazioni circa l’opportunità di avviare un contenzioso tributario;
  • eventuale assistenza del contribuente nella presentazione del ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale.

Per richiedere la difesa tributaria o una consulenza fiscale internazionale scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.