Venuti alla luce i “ Panama Papers ” ci si interroga sulle sorti degli italiani che in tali documenti compaiono come clienti della società di consulenza panamense Mossack Fonseca la quale si sarebbe occupata sin dal 1977 della creazione di società offshore finalizzate al riciclaggio di denaro e a consentire manovre di evasione fiscale internazionale.
Lo scambio di informazioni e l’inchiesta giornalistica sui ” Panama Papers “
Già da diversi anni gli occhi della comunità internazionale sono puntati su Panama, noto paradiso fiscale, per giungere allo scambio internazionale delle informazioni relative ai soggetti che ivi detengono interessi economici pur non essendo residenti.
Questo obiettivo sembra avvicinarsi in considerazione dell’impegno assunto da Panama a sottoscrivere l’accordo multilaterale per lo scambio automatico di informazioni (Multilateral Competent Authority Agreement – MCAA) tra gli Stati, elaborato dall’OCSE attraverso il documento Common Reporting Standard come misura per combattere l’evasione fiscale internazionale, ma non si esclude che Panama possa temporeggiare la sua adesione definitiva all’accordo.
Prima ancora che attraverso la cooperazione tra gli Stati, la diffusione dei dati sui soggetti che hanno occultato le proprie ricchezze attraverso Panama è avvenuta con le denunce giornalistiche dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), le quali hanno fatto emergere, con i ” Panama Papers “, informazioni su una serie di clienti che si sarebbero rivolti allo studio Mossack Fonseca per nascondere il proprio denaro, molto probabilmente frutto di riciclaggio o di evasione fiscale, tra i quali compare anche una lista di soggetti italiani.
L’utilizzo dei “ Panama Papers ” nei confronti degli italiani da parte dell’Agenzia delle Entrate
Tralasciando le questioni relative alla eventuale punibilità dei clienti italiani della società Mossack Fonseca per riciclaggio di denaro e per reati tributari, sotto il profilo strettamente fiscale si pone la questione di stabilire se l’Agenzia delle Entrate è autorizzata ad utilizzare nei loro confronti i dati contenuti nei “ Panama Papers ”, diffusi attraverso l’inchiesta giornalistica della ICIJ, per recuperare le imposte evase in Italia.
Tale problematica non è nuova, essendosi già presentato un caso simile rispetto all’utilizzo delle cd. Lista Falciani e cd. Lista Vaduz, derivanti dall’illecita divulgazione dei dati bancari da parte di impiegati infedeli, adoperate dall’Agenzia delle Entrate per formalizzare gli accertamenti fiscali a carico di contribuenti italiani che avevano sottratto le proprie ricchezze al Fisco italiano.
Ebbene su tali questioni si è già espressa la Corte di Cassazione, rispettivamente, con le due ordinanze nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015 e con sentenza n. 16950 del 19 agosto 2015 con le quali ha stabilito che in ambito tributario la prova dell’evasione fiscale può essere fornita sulla base di presunzioni e, quindi, anche in ragione di dati e notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell’Agenzia delle Entrate.
Nei suddetti casi l’utilizzabilità dei dati di fonte estera è stata giustificata dalla Corte di Cassazione sulla base della direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte.
La Suprema Corte, in particolare, ritiene che la circostanza che talune informazioni non siano utilizzabili all’interno del processo penale, per le modalità illegittime adoperate per la loro acquisizione, non esclude che queste possano essere validamente poste a base di un atto di accertamento delle imposte evase, attesa l’autonomia dell’ambito penale rispetto a quello tributario e considerato che nella materia fiscale la irritualità dell’acquisizione dei documenti, in assenza di specifica previsione, non ne comporta la inutilizzabilità.
L’utilizzabilità dei documenti nella materia tributaria trova come unico limite la tutela dei diritti fondamentali di natura costituzionale come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio, tuttavia tali valori non vengono in discussione quando si ha riguardo ai rapporti tra istituti finanziari e i propri clienti, trattandosi di relazioni che coinvolgono valori di ordine economico-patrimoniale.
In definitiva, intanto i dati acquisiti possono essere utilizzati dal Fisco in quanto siano idonei a fondare una o più presunzioni gravi, precise e concordanti circa l’evasione fiscale perpetrata dal contribuente, anche alla luce delle difese svolte da quest’ultimo nel contraddittorio preventivo con l’Agenzia delle Entrate.
Stando alla posizione assunta dalla Corte di Cassazione rispetto ai richiamati precedenti è possibile supporre che i dati estratti dai “ Panama Papers ” riguardanti i contribuenti italiani possano essere utilizzati dall’Agenzia delle Entrate nella misura in cui, di per sé o insieme ad altri indizi, integrino presunzioni gravi, precise e concordanti circa l’evasione fiscale contestata, anche in considerazione delle prove che il contribuente esibirà in suo favore in sede di contraddittorio preventivo con l’Ufficio.
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