Ravvedimento operoso per capitali e redditi esteri: come funziona?

I contribuenti italiani che detengono capitali all’estero o hanno prodotto redditi all’estero nei precedenti anni d’imposta e che non li abbiano dichiarati nelle rispettive scadenze di legge hanno la possibilità di sanare la propria posizione fiscale attraverso il c.d. ravvedimento operoso.

Il ravvedimento operoso, infatti, garantisce al contribuente numerosi vantaggi, sia in termini di abbattimento delle sanzioni tributarie previste per le irregolarità fiscali commesse sia in termini di riduzione delle pene previste per i reati fiscali collegati alle ipotesi di evasione fiscale che ne derivano.

Il contribuente che si trova a sanare i capitali e i redditi esteri deve, tuttavia, compiere le opportune valutazioni affinché, attraverso il ravvedimento operoso, riesca ad ottenere il migliore risultato in termini di abbattimento delle sanzioni fiscali e la tutela sotto il profilo penale-tributario.

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1. Lettera dell’Agenzia delle Entrate come effetto dello scambio di informazioni a livello internazionale

Con Provvedimento n. 40601 del 2022 l’Agenzia delle Entrate ha stabilito di continuare l’invio di comunicazioni per la promozione dell’adempimento spontaneo nei riguardi di contribuenti che non hanno dichiarato (in tutto o in parte) le attività finanziaria (es. conto corrente) detenute all’estero, così come richiesto dalla normativa sul monitoraggio fiscale (Quadro RW), e gli eventuali redditi derivanti da dette attività estere.

Le comunicazioni vengono inviate ai contribuenti che riscontrano delle “anomalie” fiscali più evidenti, ovvero selezionati in base a criteri che permettano di identificare solo i soggetti ad alto rischio di evasione fiscale, con l’esclusione di coloro che, invece, non tenuti ai predetti adempimenti fiscali o per i quali le irregolarità sussistano sul piano prettamente formale.

Queste comunicazioni contengono le seguenti informazioni:

a) codice fiscale, cognome e nome del contribuente;

b) numero identificativo della comunicazione e anno d’imposta;

c) codice atto;

d) descrizione della tipologia di anomalia riscontrata, che può riguardare gli obblighi di monitoraggio fiscale e/o l’indicazione degli imponibili relativi ai redditi di fonte estera;

e) possibilità per il destinatario di verificare i dati di fonte estera che lo riguardano, accedendo alla sezione “l’Agenzia scrive” del proprio Cassetto fiscale;

f) istruzioni (contenute in un apposito allegato) circa gli adempimenti necessari per regolarizzare la propria posizione, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso;

g) invito a fornire chiarimenti e idonea documentazione, anche tramite il canale di assistenza CIVIS, nel caso in cui il contribuente ravvisi inesattezze nelle informazioni pervenute dalle Amministrazioni estere o che abbia già assolto gli obblighi dichiarativi per il tramite di un intermediario residente;

h) modalità per richiedere ulteriori informazioni, contattando la Direzione Provinciale competente, prioritariamente mediante PEC, e-mail o telefono, e, per tutta la durata dell’emergenza Coronavirus, recandosi in ufficio solo nei casi assolutamente indispensabili e dopo averne verificato, previo
contatto telefonico, l’effettiva esigenza, come da indicazioni presenti sul sito internet dell’Agenzia delle entrate.

Inoltre, con Provvedimento n. 439255 del 2022, l’Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni anche relativamente alle Lettere di compliance per la promozione dell’adempimento spontaneo nei confronti dei contribuenti che risultano fiscalmente residenti in Italia e che non hanno dichiarato, in tutto o in parte, redditi di lavoro dipendente e/o pensione di fonte estera ed eventuali redditi di lavoro dipendente e/o pensione corrisposti da sostituti d’imposta italiani.

Quindi, per stimolare il corretto assolvimento degli obblighi tributari nonché di favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili, l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei contribuenti che risultano fiscalmente residenti in Italia i dati dei redditi percepiti di lavoro dipendente e/o pensione di fonte estera, trasmessi dalle Amministrazioni fiscali estere nell’ambito dello scambio automatico di informazioni (Direttiva 2011/16/UE), nonché i dati relativi ad eventuali altri redditi di lavoro dipendente e/o pensione corrisposti da sostituti d’imposta di cui all’articolo 23 del D.P.R. n. 600/1973.

Al contribuente sono rese disponibili le informazioni opportune per permettergli una valutazione in ordine alla correttezza dei dati in possesso dell’Agenzia delle Entrate. Per cui egli ha la possibilità di fornire elementi, fatti e circostanze dalla stessa non conosciuti in grado di giustificare le possibili anomalie.

Nella comunicazione vengono indicate le seguenti informazioni:

a) codice fiscale, cognome e nome del contribuente;

b) numero identificativo della comunicazione e anno d’imposta;

c) codice atto;

d) descrizione della tipologia di anomalia riscontrata;

e) indicazioni circa la possibilità per il destinatario di verificare i dati che lo riguardano, accedendo alla sezione “l’Agenzia scrive” del proprio Cassetto fiscale;

f) istruzioni circa gli adempimenti necessari per regolarizzare la propria

posizione, avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso;

g) invito a fornire chiarimenti e idonea documentazione tramite il canale di assistenza CIVIS, nel caso in cui il contribuente ravvisi inesattezze nei dati in possesso dell’Agenzia delle entrate;

h) modalità per richiedere ulteriori informazioni, contattando la Direzione

Provinciale competente, mediante PEC o e-mail.

L’Agenzia delle Entrate trasmette una comunicazione, contenente le Predette informazioni agli indirizzi di Posta Elettronica Certificata ovvero per posta ordinaria, nei casi di indirizzo PEC non attivo o non registrato nel pubblico elenco denominato Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI PEC), istituito presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

Infine, i dati sopra indicati vengono trasmessi anche alla Guardia di Finanza mediante condivisione tra le due unità organizzative del partner tecnologico Sogei Spa di supporto all’Agenzia delle entrate e alla Guardia di Finanza, previa autorizzazione da parte delle strutture titolari dei dati dell’Agenzia delle Entrate.

I dati di fonte estera includono:

  • la tipologia di reddito percepito;
  • la denominazione del soggetto estero che ha corrisposto gli emolumenti;
  • l’ammontare dei redditi esteri percepiti;
  • lo Stato estero che ha trasmesso l’informazione.

Qualora il contribuente, ricevuta la comunicazione, si rendesse conto di non poter adeguatamente giustificare o difendere le anomalie riscontrate a proprio carico, ha la possibilità di regolarizzare la propria posizione fiscale presentando una dichiarazione integrativa, di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, versando le imposte dovute e le sanzioni ridotte (oltre interessi).

Di seguito, invece, approfondiamo:

  • poteri di informativi dell’Agenzia delle Entrate sulle attività detenute all’estero dai contribuenti fiscalmente residenti in Italia;
  • l’attività di accertamento fiscale dell’Amministrazione finanziaria conseguente al riscontro di anomalie fiscali a carico dei contribuenti.

2. La problematica dei capitali e dei redditi esteri non dichiarati in Italia e lo scambio di informazioni fiscali a livello internazionale

La tematica dei capitali detenuti all’estero e dei redditi esteri prodotti da contribuenti fiscalmente residenti in Italia sta assumendo sempre più importanza negli ultimi anni.

Ed, infatti, se in passato, in ragione della mancanza di trasparenza fiscale tra gli Stati della comunità internazionale, era difficile per l’Agenzia delle Entrate italiana individuare quale fosse la situazione patrimoniale e reddituale estera del contribuente, adesso tale situazione è cambiata drasticamente.

In particolare, con lo sviluppo degli strumenti di cooperazione fiscale internazionale, ora l’Agenzia delle Entrate italiana, attraverso lo scambio delle informazioni di rilevanza fiscale con gli altri Paesi, ha la possibilità di individuare elementi come, ad esempio, i redditi esteri prodotti dal contribuente nei precedenti anni d’imposta e le somme da questi detenute sui conti correnti esteri che non siano già stati dichiarati al Fisco italiano.

Quindi, gli accordi per lo scambio di informazioni su cui l’Agenzia delle Entrate può contare, sia a livello internazionale sia nel più limitato ambito dell’Unione europea, quali:

  • l’Accordo tra Italia e Stati Uniti d’America (FATCA), siglato il 10 gennaio 2014, e gli accordi stipulati con altri Stati (es. Singapore);
  • la direttiva 2014/107/UE del Consiglio, del 9 dicembre 2014, che ha modificato la direttiva 2011/16/UE concernente lo scambio automatico obbligatorio di informazioni fiscali nell’ambito dell’Unione europea, recepita nell’ordinamento interno con l’art. 31-bis del D.P.R. n. 600/1973, il quale stabilisce che l’Amministrazione finanziaria provvede allo scambio, con le altre autorità competenti degli Stati membri dell’Unione europea, delle informazioni necessarie per assicurare il corretto accertamento delle imposte;
  • la Convenzione multilaterale tra l’OCSE e il Consiglio d’Europa, sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale, firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1988, e modificata con il Protocollo del 27 maggio 2010, a cui ha aderito il nostro Paese;
  • l’Accordo multilaterale tra i Paesi membri dell’OCSE in materia di scambio automatico di informazioni sui conti finanziari, finalizzato ad implementare il nuovo standard unico globale per lo scambio automatico di informazioni (Common Reporting Standard), sottoscritto a Berlino il 29 ottobre 2014.

A livello pratico, i dati che il Fisco italiano può acquisire dagli Stati esteri, relativamente ai capitali detenuti e ai redditi prodotti da contribuenti fiscalmente residenti in Italia, sono:

  • redditi di lavoro dipendente;
  • redditi di lavoro autonomo;
  • altre tipologie di redditi;
  • disponibilità sui conti correnti accesi all’estero;
  • strumenti finanziari detenuti all’estero;
  • proprietà di immobili situati all’estero.

Il fatto che l’Agenzia delle Entrate abbia accesso ai dati sui capitali e redditi esteri comporta, come immediata conseguenza, che dette informazioni possono essere poste a fondamento degli avvisi di accertamento e degli atti di irrogazione delle sanzioni da emettere nei riguardi dei contribuenti italiani che hanno commesso le violazioni fiscali relative alla mancata dichiarazione in Italia dei capitali e dei redditi esteri.

3. Le violazioni fiscali collegate alla mancata dichiarazione dei capitali e dei redditi esteri

Come abbiamo visto, l’Agenzia delle Entrate, attraverso lo scambio internazionale delle informazioni di rilevanza fiscale, ha il potere di accedere alle informazioni estere dei contribuenti italiani, al fine di verificare se questi abbiano commesso delle violazioni fiscali.

Qualora l’Amministrazione finanziaria italiana rilevi che il contribuente italiano non abbia dichiarato in Italia i redditi esteri oppure non abbia indicato nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi italiana i capitali detenuti all’estero (ovvero gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia), procede all’emissione dell’avviso di accertamento nei suoi confronti, recuperando le imposte ritenute evase nonché applicando le sanzioni conseguenziali e gli interessi.

In questi casi le sanzioni possono raggiungere degli importi molto elevati, fino a superare di molto la cifra delle imposte evase, come ad esempio:

  • nel caso di omessa presentazione della dichiarazione in Italia, dove le sanzioni vanno dal 120% al 240% dell’imposta evasa, ulteriormente raddoppiate se si tratta di somme detenute in paradisi fiscali (diventando dal 240% al 480%);
  • le sanzioni dal 3% al 15% del valore degli investimenti detenuti all’estero non indicati nel Quadro RW, anche in questo caso raddoppiate se le somme o gli investimenti sono detenuti in paradisi fiscali (diventando 6% al 30%).

A ciò bisogna aggiungere che, quando l’Agenzia delle Entrate verifichi che l’evasione accertata integri anche uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000 è obbligata (art. 331 c.p.c.) a procedere alla comunicazione della relativa notizia di reato all’Autorità giudiziaria la quale avvierà un procedimento penale a carico del contribuente.

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4. Il ravvedimento operoso per sanare i redditi e i capitali esteri

Se in passato la sanatoria dei redditi e dei capitali esteri non dichiarati in Italia poteva essere eseguita attraverso le procedura di c.d. Voluntary Disclosure previste dal legislatore, detta possibilità non è più prevista dal nostro ordinamento tributario, cosicché per la regolarizzazione della posizione fiscale bisogna dirigersi verso altre soluzioni.

Attualmente il contribuente che intenda regolarizzare le violazioni collegate alla mancata dichiarazione di capitali e redditi esteri ha a disposizione lo strumento del c.d. ravvedimento operoso, il quale garantisce numerosi vantaggi in termini di riduzione delle sanzioni fiscali nonché può evitare la condanna per gli eventuali reati fiscali ascrivibili al contribuente per effetto delle violazioni contestate da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Bisogna notare che attraverso il ravvedimento operoso il contribuente ha la possibilità di regolarizzare le violazioni collegate alla mancata dichiarazione di capitali e redditi esteri anche se le violazioni sono già state contestate o se siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamentosempreché non sia ancora stato notificato un atto di accertamento o un atto di liquidazione ovvero una comunicazione di irregolarità.

Tuttavia, bisogna tener presente che quanto più tardi avviene la regolarizzazione rispetto al momento in cui è stata commessa la violazione, tanto minori saranno i vantaggi derivanti dal ravvedimento operoso, ragion per cui è sempre consigliabile ricorrere al ravvedimento operoso quanto prima possibile, per non perdere i maggiori vantaggi che tale procedura garantisce.

Il ravvedimento operoso, quindi, determina il vantaggio della riduzione delle sanzioni (art. 13, comma 1, del D.Lgs. 472/1997) alle seguenti misure:

  • ad 1/9 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro novanta giorni dalla data dell’omissione o dell’erroreovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l’omissione o l’errore è stato commesso (a-bis);
  • ad 1/8 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non e` prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall’omissione o dall’errore (b);
  • ad 1/7 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall’omissione o dall’errore (b-bis);
  • ad 1/6 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall’omissione o dall’errore (b-ter);
  • ad 1/5 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene dopo la constatazione della violazione ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, salvo che la violazione non rientri tra quelle indicate negli articoli 6, comma 3, o 11, comma 5, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (b-quater);
  • ad 1/10 del minimo di quella prevista per l’omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni ovvero a 1/10 del minimo di quella prevista per l’omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore aggiunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni (c).

Sotto il profilo penale il ravvedimento operoso costituisce, a seconda dei casi, causa di non punibilità o attenuante del reato tributario eventualmente commesso (artt. 13 e 13-bis del D.Lgs. 74/2000).

5. Il profilo penale-tributario del ravvedimento operoso

Considerato che l’accertamento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, delle violazioni fiscali relative ai capitali e ai redditi esteri può avere come effetto, oltre all’emissione di un atto impositivo o all’applicazione delle sanzioni, anche la segnalazione dei fatti alla Procura della Repubblica qualora questi integrino dei reati fiscali, anche quest’ultimo profilo fiscale deve essere preso in considerazione dal contribuente nel valutare l’opportunità del ravvedimento operoso.

Se il ravvedimento operoso non avesse effetti anche in ambito penale, non avrebbe senso per il contribuente accedervi qualora questi abbia commesso dei reati fiscali.

Proprio al fine di incentivare il contribuente a ricorrere al ravvedimento operoso anche in ipotesi di reati fiscali, la normativa italiana prevede particolari cause di “non punibilità” per i contribuenti che, pur avendo commesso violazioni fiscali di rilevanza penale, vogliano comunque porvi rimedio ricorrendo al ravvedimento operoso.

Per questo motivo l’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, prevede che i reati di “omesso versamento” delle imposte non possono essere puniti se, prima dell’apertura del dibattimento del processo penale di primo grado a carico del contribuente, questo provveda a versare in maniera integrale le imposte evase, incluse le sanzioni e gli interessi, anche sulla base delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso (con riconoscimento di una eventuale proroga del termine).

Altresì, lo stesso articolo, così come di recente modificato a fine anno 2019, prevede che anche i reati di “dichiarazione fraudolenta“, “dichiarazione infedele” e “omessa dichiarazione” (articoli 2, 3, 4 e 5 del D.Lgs. n. 74/2000), non possono essere puniti se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.

In questo caso, condizione necessaria per beneficiare di questa causa di non punibilità è quella per cui il ravvedimento o la presentazione della dichiarazione integrativa siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Qualora, invece, il contribuente versi in una situazione in cui detti benefici penali non siano applicabili ha, in ogni caso, la possibilità di beneficiare del ricorrere alla circostanza “attenuati” dei reati, che ne comportano la riduzione della pena (art. 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000).

Così, se non sono applicabili le “cause di non punibilità” sopra viste, le pene per i reati tributari vengono ridotte fino alla metà e non si applicano le pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese le sanzioni e gli interessi, vengono estinti con il pagamento integrale degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.

Anche la richiesta del patteggiamento (art. 444 c.p.p.) nel processo penale presuppone che il contribuente benefici delle predette “attenuanti”.

6. I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in merito al ravvedimento operoso per le condotte fraudolente

Con la Circolare 12 maggio 2022, n. 11/E, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di rettificare le proprie precedenti indicazioni, stabilendo che il ravvedimento operoso può essere utilizzato anche per sanare ipotesi di condotte fraudolente.

Il Fisco ha ritenuto che il riferimento, all’interno della disciplina in materia di reati fiscali (D.Lgs. n. 74/2000), più precisamente nelle ipotesi di estinzione del reato, all’estensione delle cause di non punibilità anche ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, confermerebbe la volontà del legislatore di incentivare progressivamente il ricorso al ravvedimento operoso ai fini degli effetti penali, senza alcuna distinzione circa la tipologia di reato fiscale contestato.

In particolare, l’art. 13, comma 2, e l’art. 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000, attualmente consentono l’accesso al ravvedimento operoso anche alle condotte dichiarative fraudolente, disponendone gli effetti penali e definendone le condizioni alle quali tali effetti si realizzano.

Tale normativa, disciplinando gli effetti penali prodotti dal ravvedimento (attraverso il pagamento degli importi dovuti) prima e dopo l’avvio di qualunque attività istruttoria, determina l’ammissione della legittimità del ravvedimento operoso anche sotto il profilo sanzionatorio amministrativo, per quanto il ravvedimento operoso sia caratterizzato da diversi limiti nell’ambito penale e in quello amministrativo.

Proprio per effetto di tale apertura del sistema penale al ravvedimento operoso e gli effetti che questa produce anche sul versante amministrativo, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto superate le indicazioni che erano state fornite con la Circolare n. 170/1998, la quale precludeva il ravvedimento operoso in presenza di condotte fraudolente.

Infine, il fatto che venga confermata la possibilità per il contribuente di ricorrere al ravvedimento operoso per la regolarizzazione delle violazioni fiscali relative a condotte fraudolente, lascia comunque impregiudicati i seguenti punti:

  • l’utilizzo degli effetti del ravvedimento operoso ai fini penali presuppone la corretta applicazione delle rispettive regole amministrative, anche a prescindere dalle valutazioni che competono al giudice penale;
  • bisogna comunque tener conto dei fatti concretamente commessi e dei relativi effetti sulla sanzione amministrativa da applicarsi;
  • le valutazioni su efficacia ed effetti del ravvedimento operoso amministrativo oppure in materia di effetti della estinzione totale o parziale del debito in ambito penale restano comunque demandate all’Autorità giudiziaria, con l’effetto che gli Uffici sono tenuti a procedere alla denuncia di reato (ai sensi dell’art. 331 c.p.p.) al ricorrere dei presupposti di legge.

7. Come valutare la convenienza del ravvedimento operoso?

Per quanto il ravvedimento operoso, come sopra anticipato, costituisca una valida scelta per coloro che intendano sanare le violazioni collegate alla mancata dichiarazione dei capitali e dei redditi esteri, la sua applicazione implica necessariamente un’attenta e dettagliata valutazione preliminare.

Detta analisi preliminare della convenienza del ravvedimento operoso per il caso di specie è legata, in primo luogo, alla necessità di individuare le violazioni commesse dal contribuente in relazione ai capitali e ai redditi esteri.

Una volta individuate le violazioni fiscali commesse dal contribuente, è necessario analizzare quali sono i vantaggi derivanti dal ravvedimento operoso, nell’ambito della cui valutazione bisogna tenere presente diversi profili problematici, quali: la riapertura dei termini di accertamento per effetto della dichiarazione integrativa, gli effetti sulla configurazione dei reati tributari, l’applicabilità del cumulo giuridico delle sanzioni e la corretta determinazione delle imposte e della sanzioni dovute.

Sul profilo penale, invece, dovrà compiersi una delicata valutazione di ordine legale e, più specificamente penale-tributario, volta ad individuare le eventuali fattispecie di reati tributari ascrivibili al contribuente, utili a verificare gli effetti “premiali” derivanti dal ravvedimento sul versante penale, stando anche attenti alle interrelazioni che i reati tributari possano intrecciare con altre tipologie di reati connesse alla condotta dello stesso contribuente.

Come potrà intuirsi, questa analisi preliminare della posizione del contribuente, volta alla sua eventuale adesione alla procedura di ravvedimento operoso, costituisce un passaggio fondamentale da cui dipende la convenienza o meno della regolarizzazione dei capitali e dei redditi esteri, onde anche evitare che la posizione fiscale del contribuente possa formare bersaglio di ulteriori “inaspettateazioni di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.

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8. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto

Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, perché all’atto pratico la normativa fiscale internazionale è costellata di eccezioni e deroghe da applicarsi a seconda dei dettagli del preciso caso concreto in esame e che, quindi, non possono essere sottovalutate.

La fiscalità internazionale è la materia dei dettagli. Spesso accade che, anche un singolo dettaglio del caso concreto, apparentemente irrilevante, richieda una soluzione della problematica completamente diversa da quella ritenuta adeguata a un primo sguardo della situazione.

Inoltre, l’approfondimento della situazione concreta spesso esclude delle irregolarità che il contribuente pensava di aver commesso e, invece, mette in luce delle problematiche che il contribuente nemmeno pensava di avere.

Questo può capitare se il contribuente esamina la propria posizione dal punto di vista di una sola norma ritenuta “a priori” applicabile, quando, invece, il caso deve essere inquadrato, attraverso la necessaria analisi condotta alla luce dell’intero ordinamento tributario, sotto il profilo di una diversa norma.

Quindi, l’analisi fiscale internazionale è necessaria per inquadrare tutti i dettagli sostanziali del caso in esame ed evitare errori di valutazione da cui possano scaturire violazioni fiscali che darebbero luogo al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, tali da erodere il reddito prodotto dal contribuente e causargli un grave danno economico.

D’altra parte, la difesa da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può mai essere efficace quanto la prevenzione delle violazioni fiscali attuata con una strategia di analisi preventiva.

Quindi la verifica da parte di un professionista specializzato in fiscalità internazionale circa le problematiche del preciso caso concreto costituisce un passaggio essenziale.

Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’analisi delle questioni di fiscalità internazionale.  

Se desideri richiedere una consulenza fiscale internazionale allo Studio ITAXA per il tuo preciso caso concreto, scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.