Retribuzioni convenzionali per lavoratori all’estero non applicabili: tensioni tra imprese e dipendenti

La Suprema Corte è intervenuta a chiarire se le retribuzioni convenzionali previste dall’art. 51, comma 8-bis, del TUIR (D.P.R. n. 917/1986) possano essere applicate anche ai fini del versamento dei contributi previdenziali per i lavoratori dipendenti italiani distaccati all’estero dall’azienda.

La pronuncia avrà effetti significativi sia per le imprese che effettuano il distacco sia per i lavoratori distaccati, cambiando la base di riferimento per il calcolo dei contributi da versare.

Retribuzioni convenzionali: profili fiscali e previdenziali

In ambito previdenziale le retribuzioni convenzionali sono state previste con la legge n. 398/1987, al fine di tutelare i lavoratori italiani che operano all’estero, stabilendo i criteri di calcolo dei contributi dovuti dai lavoratori italiani distaccati in Paesi che non hanno stipulato accordi di sicurezza sociale con l’Italia e per gli strumenti assicurativi non previsti da queste convenzioni.

In questo modo, dal momento che le retribuzioni convenzionali considerate dall’Italia sono generalmente di importo inferiore rispetto a quello delle retribuzioni effettivamente versate al dipendente, si è voluto evitare che per il medesimo rapporto lavorativo svolto all’estero i contributi previdenziali debbano essere versati in misura piena sia in Italia che all’estero (cd. doppia contribuzione).

Successivamente, con la Legge n. 662/1996, il legislatore delegava il Governo ad emanare delle norme per “armonizzare”, ove possibile, le disposizioni fiscali e previdenziali sui redditi dei lavoratori dipendenti impiegati all’estero.

In esecuzione della delega il Governo emanava il D.Lgs. n. 314/1997, con il quale si disponeva di considerare redditi di lavoro dipendente, anche a scopo contributivo, quelli previsti ai fini delle imposte sui redditi, calcolati in base all’art. 48 (attuale art. 51) del TUIR.

A tre anni dall’emanazione del citato Decreto, veniva introdotto il comma 8-bis al predetto art. 48 (attuale comma 8-bis dell’art. 51) del TUIR, il quale prevedeva l’applicazione, a determinate condizioni, delle retribuzioni convenzionali per il lavoro prestato all’estero.

La decisione della Cassazione: l’accordo con lo Stato estero esclude le retribuzioni convenzionali ai fini previdenziali

A causa del particolare quadro normativo esposto, nel corso degli anni sono sorti dei dubbi circa l’applicabilità delle retribuzioni convenzionali anche ai fini previdenziali, non solo per i dipendenti impiegati in Paesi con i quali l’Italia non ha stipulato un accordo sulla sicurezza sociale, ma anche per quelli distaccati in Stati che hanno sottoscritto tale tipo di accordo con l’Italia.

Pronunciandosi sulla questione, la Suprema Corte, con sentenza 6 settembre 2016, n. 17646, ha stabilito che la disciplina delle retribuzioni convenzionali previste dall’art. 48, comma 8-bis (attuale comma 8-bis dell’art. 51) del TUIR è valida solo ai fini fiscali. Essa non si applica, invece, per la determinazione della base imponibile ai fini del calcolo dei contributi previdenziali dei lavoratori italiani che operano all’estero.

La Corte motiva la decisione ritenendo che l’applicazione delle retribuzioni convenzionali anche ai contributi per i dipendenti impiegati in Paesi con accordo:

  • non era nelle intenzioni della Legge delega n. 662/1996, che aveva disposto la equiparazione della definizione del  reddito di lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali solo “ove possibile”;
  • determinerebbe una ingiustificata penalizzazione, in termini di carico contributivo, della posizione previdenziale del lavoratore operante all’estero;
  • non servirebbe a tutelare il lavoratore italiano all’estero, diversamente dal caso in cui questi venga impiegato in un Paese senza accordo.

Gli effetti della sentenza: contese tra imprese e lavoratori

La sentenza avrà effetti rilevanti per tutti i casi in cui le imprese con dipendenti impiegati all’estero, in un Paese che ha stipulato un accordo di sicurezza sociale con l’Italia, abbiano versato i contributi previdenziali sulla base delle retribuzioni convenzionali (ai sensi dell’art. 51, comma 8-bis, del TUIR) e non di quelle effettivamente versate .

  • Le imprese, penalizzate dalla sentenza, devono valutare:

  1. il rischio che l’Ente previdenziale italiano richieda il pagamento della differenza dei contributi previdenziali non versata nel corso degli anni;
  2. l’ipotesi che i propri dipendenti propongano delle azioni per ottenere il versamento dei contributi previdenziali non versati;
  3. le strategie future di impiego dei dipendenti all’estero, considerando il maggiore carico contributivo da sostenere.
  • I lavoratori, favoriti dalla sentenza, devono valutare:

  1. l’opportunità di richiedere all’impresa il pagamento della differenza  non versata dei contributi previdenziali.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.