Rientro dei cervelli 2023: iscrizione AIRE non necessaria

L’agevolazione per il rientro dei cervelli in Italia non è più subordinata all’iscrizione all’AIRE da parte del contribuente. Questo è quanto previsto dal Decreto Crescita 2019 del Governo.

1. Rientro dei cervelli e iscrizione AIRE

L’originaria normativa per il rientro dei cervelli (art. 16 D.L.gs. n. 147/2015) prevedeva requisiti stringenti per accedere all’agevolazione fiscale consistente nell’abbattimento della base imponibile ai fini delle imposte dirette.

Tra i requisiti più criticati negli ultimi anni vi è quella della necessaria preventiva iscrizione del contribuente all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).

Tale condizione comportava che il contribuente non iscritto all’AIRE non potesse ritenersi fiscalmente residente all’estero, secondo la normativa domestica italiana nonché ai fini dell’applicazione del beneficio fiscale, nonostante egli avesse vissuto e lavorato/studiato nel Paese straniero per il periodo richiesto dalla normativa.

Per cui, negli scorsi anni sono stati numerosi gli italiani che, pur avendo lavorato all’estero per un lungo periodo, si sono visti negare l’applicazione del beneficio in commento, sulla base della sola mancanza del requisito formale dell’iscrizione all’AIRE, spesso anche da imputarsi alle lunghezze burocratiche dei consolati all’estero nella gestione delle domande di iscrizione all’AIRE.

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2. Decreto Crescita: eliminato il requisito dell’iscrizione all’AIRE

Con il “Decreto Crescita” (D.L. n. 34/2019) il Governo è intervenuto a modificare la normativa relativa agli incentivi fiscali per il rientro dei cervelli, prevedendo delle condizioni più favorevoli per accedere a tali benefici da parte dei contribuenti che rientrano dopo aver svolto un’esperienza di lavoro o di studio all’estero.

Tra le misure previste per favorire l’adesione dei contribuenti al regime del rientro dei cervelli v’è quella che elimina l’iscrizione all’AIRE tra i requisiti di accesso, facendosi invece riferimento al diverso presupposto del preventivo trasferimento all’estero della residenza fiscale secondo la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con il Paese estero di riferimento.

Ciò significa che, a differenza che in passato, con l’entrata in vigore del “Decreto Crescita” ciò che farà fede non sarà più l’iscrizione all’AIRE – vale a dire condizione per il trasferimento della residenza fiscale all’estero secondo la normativa domestica italiana – quanto, invece, il fatto che il contribuente risulti fiscalmente residente all’estero, per gli anni richiesti dalla normativa sul rientro dei cervelli, secondo le regole (c.d. tie-breaker rules) previste dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni per dirimere i “conflitti di residenza” insorti tra lo Stato italiano e quello estero.

Le nuove regole in tema di rientro dei cervelli opereranno a regime per i lavoratori impatriati non iscritti all’AIRE rientrati in Italia a partire dal 1° gennaio 2020.

D’altra parte, considerato lo scompiglio che la originaria normativa ha creato in passato e il rischio di creare dei trattamenti discriminatori tra i contribuenti rientrati prima e dopo il 1° gennaio 2020, con il “Decreto Crescita” si è previsto di estendere le nuove regole anche in via retroattiva.

Ed, infatti, viene stabilito che, per i periodi d’imposta per i quali sono stati notificati degli avvisi di accertamento ancora impugnabili (di recupero dell’agevolazione per il rientro dei cervelli, sul presupposto della mancata iscrizione all’AIRE) o impugnati, per i quali pende ancora un giudizio, oppure per gli anni per i quali non sono ancora decorsi i termini per l’accertamento (da parte dell’Agenzia delle Entrate delle imposte evase), i benefici per il rientro dei cervelli rimangono applicabili ai lavoratori rientrati prima del 31 dicembre 2019 (secondo la normativa vigente al 31 dicembre 2018), sempreché questi siano in grado di dimostrare di avere avuto la residenza all’estero, per il periodo richiesto dalla norma, ai sensi della Convenzione contro le doppie imposizioni vigente tra l’Italia e lo Stato estero in questione.

L’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni è un procedimento né semplice né intuitivo, sia per la complessità dell’interpretazione delle disposizioni convenzionali a dispetto della loro solo apparente semplicità – sia per la relativa operatività necessariamente alla luce di tutti i dettagli del caso concreto e della precisa documentazione richiesta per attuarne le disposizioni.

Infatti, in concreto, nella maggior parte dei casi esaminati i contribuenti NON hanno i requisiti sufficienti per dimostrare la residenza fiscale estera attraverso le Convenzioni contro le doppie imposizioni ai fini dell’applicazione degli incentivi in questione.

In tali casi, qualora il contribuente procedesse comunque ad applicare l’incentivo fiscale, questo sarebbe disconosciuto dall’Agenzia delle Entrate con un avviso di accertamento che può intervenire anche dopo 5 anni dall’applicazione del beneficio fiscale in questione, con l’effetto che verrebbero recuperate le imposte pluriennali nel frattempo non versate dal contribuente, con applicazione di sanzioni e interessi conseguenziali.

In altri termini, un approccio superficiale all’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni è tra le prime cause di errata applicazione dei benefici per il “rientro dei cervelli“, a cui conseguono concreti rischi di recupero dell’agevolazione fiscale da parte dell’Amministrazione finanziaria.

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3. Mancata iscrizione all’AIRE: la posizione dell’Agenzia delle Entrate

Con la Risposta ad Interpello n. 533/2020 l’Agenzia delle Entrate – sebbene con riferimento alla tematica degli incentivi fiscali applicabili ai lavoratori impatriati laureati – ha avuto modo di esprimersi in merito alla portata delle previsioni che eliminano l’iscrizione all’AIRE come requisito fondamentale affinché i lavoratori possa accedere ai benefici fiscali legati al loro rientro in Italia.

L’Amministrazione finanziaria parte dalla premessa che, con riferimento al requisito della residenza fiscale, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, sono residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Altresì, si sottolinea, in ogni caso come, per i soggetti di cui al comma 2 del citato articolo 16, per accedere al regime speciale per i lavoratori impatriati, la norma presuppone che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio di 2 anni.

Infatti, considerato che il citato comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, il Fisco ritiene che per tali soggetti la residenza all’estero per almeno 2 periodi d’imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo.

Venendo alla novità normativa in questione, l’Agenzia delle Entrate osserva che, qualora il periodo di iscrizione all’AIRE risulti insufficiente o detta iscrizione non risulti affatto, trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 5-ter inserito nell’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015, secondo cui:

I cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al comma 1, lettera a). Con riferimento ai periodi d’imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono decorsi i termini di cui all’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali di cui al presente articolo nel testo vigente al 31 dicembre 2018, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al comma 1, lettera a). Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo“.

Al riguardo, viene ulteriormente precisato che il citato comma 5-ter non ha inteso modificare il periodo di possesso del requisito della residenza all’estero che nel caso dei soggetti di cui all’articolo 16, comma 2, come illustrato, è almeno pari a due periodi di imposta, bensì consentire di dimostrarne il possesso ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, in assenza di iscrizione all’AIRE, attraverso una serie di documenti di carattere formale e sostanziale da identificarsi nel singolo caso di specie e che sono imprescindibili per l’accesso all’agevolazione.

In altre parole, l’Agenzia delle Entrate conferma la non necessità dell’iscrizione all’AIRE per l’accesso all’agevolazione, aprendosi, tuttavia, la strada alla ben più complessa dimostrazione della residenza fiscale estera attraverso le disposizioni previste dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, operazione, come anzidetto, da compiersi alla luce di tutti i dettagli del singolo caso concreto.

Tale valutazione deve essere svolta in maniera molto accurata, tenendo in considerazione tutti i legami dell’interessato sia con l’Italia sia con il Paese estero, onde evitare che, a seguito di un controllo dell’Agenzia delle Entrate, questi non sia in grado di fornire la prova della regolarità della fruizione degli incentivi per il rientro dei cervelli.

Infatti, in pratica, nella maggior parte dei casi esaminati nell’attività di consulenza quotidiana i contribuenti NON hanno i requisiti sufficienti per dimostrare la residenza fiscale estera attraverso le Convenzioni contro le doppie imposizioni ai fini dell’applicazione degli incentivi in questione.

Applicando l’incentivo fiscale in assenza del predetto requisito, il contribuente si espone ad un elevato rischio di negazione degli incentivi fiscali e al recupero delle imposte evase da parte dell’Agenzia delle Entrate, con applicazione delle relative sanzioni.

Oltretutto, sussistono numerose eccezioni, limiti, deroghe e casi di non applicabilità degli incentivi fiscali per il “rientro  dei cervelli” che, per sintesi di trattazione, non sono state riportate nel presente articolo e che, nel caso concreto, potrebbero spingere l’Agenzia delle Entrate comunque a negare l’agevolazione fiscale.

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4. Mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente: un caso dello Studio ITAXA

Recentemente lo Studio ITAXA ha registrato una ulteriore vittoria nel contenzioso tributario a favore di un contribuente che, pur essendosi traferito a vivere e a lavorare all’estero, non aveva provveduto alla sua cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente in Italia. Sebbene il caso in questione riguardi l’accertamento condotto dal Fisco per il recupero a tassazione dei redditi prodotti all’estero dal contribuente che non aveva provveduto alla sua cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente, le considerazioni che ne derivano possono essere ben utilizzate per i soggetti che, pur non essendosi mai iscritti all’AIRE, vogliano accedere agli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” una volta tornati in Italia.

Più in particolare, facendo seguito allo scambio di informazioni in materia reddituale con il Paese estero (nel caso di specie, la Polonia) sulla base della Direttiva UE DAC 1 (Direttiva 2011/17/UE), l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Venezia, procedeva a recuperare a tassazione in Italia i redditi da lavoro dipendente prodotti dal contribuente nel Paese estero (Polonia), sulla base del mero fatto che questi non avesse provveduto alla sua cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente in Italia.

In altri termini, l’Agenzia delle Entrate sosteneva che, non essendosi cancellato dall’Anagrafe della popolazione residente in Italia, il contribuente dovesse continuare a considerarsi fiscalmente residente in Italia per l’anno oggetto di accertamento, con l’effetto che tutti i suoi redditi, ovunque prodotti, andassero dichiarati e, quindi, tassati in Italia. Oltretutto, il Fisco negava all’interessato il riconoscimento del credito per le imposte da questi già pagate nello Stato estero, atteso che questi non aveva presentato la dichiarazione fiscale in Italia per l’anno oggetto di contestazione, sulla base della preclusione prevista dall’art. 165, comma 8, del TUIR.

L’Agenzia delle Entrate rigettava non condivideva le argomentazioni difensive svolte dal contribuente in fase di contraddittorio, cosicché questi si rivolgeva allo Studio ITAXA per impugnare l’avviso di accertamento in questione davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Venezia.

Lo Studio ITAXA, nell’interesse del contribuente, presentava ricorso avverso l’atto in questione, sostenendo che la residenza fiscale di costui non poteva essere ricondotta all’Italia sulla base del semplice dato della sua mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente, dovendosi, al contrario, così come comprovato nel corso del giudizio, aversi riguardo alla situazione sostanziale in cui questi versava, la quale deponeva chiaramente a favore della residenza fiscale nel Paese estero, anche sulla scorta delle disposizioni contenute nella relativa Convenzione contro le doppie imposizioni.

Per questa via, si giungeva a chiedere alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Venezia, sulla base della cospicua documentazione allegata agli atti del giudizio e delle argomentazioni giuridiche poste a base del ricorso, di annullate l’avviso di accertamento, con l’effetto di dichiarare non dovute le imposte e le sanzioni in esso evidenziate.

Ebbene, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Venezia ha dato credito alla tesi sostenuta dal contribuente.

Nello specifico, il Giudice tributario ha ritenuto che dalla mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente in Italia e, quindi, dalla permanenza dell’iscrizione del contribuente in tale registro, non può farsi discendere automaticamente che egli sia da considerarsi fiscalmente residente in Italia a prescindere da qualsiasi considerazione sul piano sostanziale e degli elementi di prova che l’interessato possa apportare a favore della tesi della sua residenza fiscale estera.

In altri termini, la mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente farebbe scattare una presunzione di legge relativa in merito alla permanenza della residenza fiscale del contribuente in Italia, non impedendo al contribuente di provare, in maniera puntuale e adeguata che, in realtà, la sua residenza fiscale sia da ricondurre allo Stato estero piuttosto che all’Italia.

La Corte di Giustizia Tributaria, infatti, ha aggiunto che la previsione di una presunzione, a favore dell’Agenzia delle Entrate, circa la permanenza della residenza fiscale in Italia del contribuente per la sua mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente, non può determinare un rigido ed automatico assoggettamento ad imposizione fiscale di chi abbia solo la residenza anagrafica in Italia o, per i cittadini italiani, imporre per il non assoggettamento ad imposta la necessaria iscrizione all’AIRE.

Con una posizione decisamente comprensiva delle difficoltà che i contribuenti incontrano nelle proprie scelte lavorative a livello internazionale, il Collegio ha sostenuto che, in una situazione di bisogno dei lavoratori e con un mercato del lavoro dinamico mondiale e con richiesta di lavoro maggiore dell’offerta, imporre la conclusione dell’iter burocratico della cancellazione dall’Anagrafe (e, per i cittadini italiani, l’iscrizione all’AIRE) ai fini del non assoggettamento a imposizione fiscale nello Stato di provenienza, può finanche determinare la perdita di occasioni di lavoro, scopo a cui non è teso il nostro ordinamento che, invece, tutela il lavoro e i lavoratori.

Quindi, affinché il contribuente possa essere chiamato a contribuire alla spesa pubblica italiana attraverso l’imposizione dei relativi redditi, in relazione alla propria capacità contributiva, è necessario che sussista un effettivo collegamento con il territorio dello Stato italiano, sulla cui base è imperniato detto obbligo di contribuzione.

Ragionando diversamente, osserva sempre il Collegio, si arriverebbe ad ammettere, come sostenuto nel caso in questione dall’Agenzia delle Entrate, che il soggetto iscritto all’Anagrafe della popolazione residente senza avere alcun legame di tipo sostanziale con il territorio dello Stato, si troverebbe a concorrere alle spese pubbliche senza fruire di alcun servizio pubblico e/o senza avere alcun legame durevole con il territorio dello Stato, in aperto contrasto con il principio costituzionale di capacità contributiva.

Seguendo questo ragionamento, la Corte di Giustizia Tributaria di Venezia ha ritenuto che il contribuente avesse adeguatamente motivatoargomentato e comprovato le ragioni a favore della sua residenza fiscale estera in luogo di quella italiana e, per l’effetto, ha annullato totalmente l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Venezia.

In merito a tale contenzioso bisogna osservare che, considerate le numerose sentenze di merito e di legittimità che, in casi simili, sono giunte a conclusioni diverse, le questioni relative alla residenza fiscale appaiono essere sempre molto delicate, per cui le possibilità di vittoria dipendono essenzialmente dalla capacità di articolare in maniera adeguata ed esaustiva la difesa del contribuente e la puntuale allegazione di tutta la documentazione necessaria a sostenere la tesi difensiva. Al contrario, un atto difensivo non adeguatamente motivato e con scarsa allegazione di documentazione difensiva, apre le porte al rigetto del ricorso e alla condanna del contribuente al pagamento delle spese di lite.

5. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto

Se il requisito formale dell’iscrizione all’AIRE, previsto in precedenza, era facilmente dimostrabile attraverso il relativo certificato, la riconducibilità all’estero della residenza fiscale ai sensi della normativa convenzionale andrà dimostrata prendendo in considerazione elementi di natura sostanziale, quali, in primo luogo, il luogo dell’abitazione permanente del contribuente e il relativo centro degli interessi personali ed economici, nonché ulteriori elementi documentali fondamentali da valutarsi nel singolo caso di specie.

Questa valutazione deve essere svolta in maniera molto accurata, tenendo in considerazione tutti i legami dell’interessato sia con l’Italia sia con il Paese estero, onde evitare che, a seguito di un controllo dell’Agenzia delle Entrate, questi non sia in grado di fornire la prova della regolarità della fruizione degli incentivi per il rientro dei cervelli.

Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale. L’accertamento dell’applicabilità degli incentivi non può prescindere dall’esame di ciascun caso concreto. Infatti, come in tutte le analisi fiscali internazionali,  anche per quella relativa all’applicabilità degli incentivi per il “rientro dei cervelli” assume importanza fondamentale l’inquadramento di tutti i dettagli sostanziali del caso in esame al fine, da un lato, di permettere l’applicazione degli incentivi per il “rientro dei cervelli” anche ad ipotesi che apparentemente non vi rientrano e, dall’altro, per non applicare l’agevolazione ad altri casi che solo apparentemente vi rientrano, il tutto per scongiurare il recupero delle imposte evase e l’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Infatti, un eventuale accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate della non applicabilità degli incentivi in questione, comporterebbe, non solo il recupero delle imposte non versate in ragione dell’agevolazione, per ciascun anno pregresso di fruizione del beneficio, ma anche l’applicazione di sanzioni fiscali (ed eventualmente penali) tali da erodere lo stesso reddito prodotto dal contribuente, con un grave danno economico per quest’ultimo.

Per cui, la verifica da parte di un professionista specializzato in Fiscalità internazionale circa l’applicabilità degli incentivi per il “rientro dei cervelli” nel preciso caso concreto costituisce un passaggio fondamentale per evitare di commettere delle violazioni fiscali.

Se desideri richiedere una consulenza fiscale internazionale allo Studio ITAXA in materia di verifica nel tuo preciso caso concreto dei presupposti  per l’applicabilità degli incentivi per il “rientro dei cervelli“, scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.