Con la Legge di Bilancio 2023 risultano confermate le agevolazioni fiscali sul “rientro dei cervelli” (“lavoratori impatriati” nonché “docenti e ricercatori”) in Italia, già ampliate con il Decreto Crescita 2019 che ne aveva rivisto la normativa estendendola oltre i limiti precedentemente previsti, offrendo nuove opportunità per l’allungamento del periodo di fruizione del beneficio fiscale e riducendo fino al 10% la base imponibile.
In precedenza, la Legge di Bilancio 2021 aveva previsto l’estensione temporale dell’agevolazione per i “lavoratori impatriati” in Italia, introdotta dal Decreto Crescita 2019, in via generale, anche ai “lavoratori impatriati” che avevano trasferito la propria residenza fiscale in Italia prima dell’anno 2020, proroga che con la Legge di Bilancio 2022 è stata estesa anche a “docenti e ricercatori” rientrati in Italia prima dell’anno 2020. Particolari incentivi fiscali vengono anche previsti per gli sportivi professioniti (es. calciatori).
Sull’applicazione delle agevolazioni fiscali si è più volte espressa l’Agenzia delle Entrate con Risposte ad Interpelli e Circolari, da ultimo con Circolare n. 33/E del 2020 e Circolare n. 17/E del 2022 le cui indicazioni verranno più avanti esposte.
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1. Rientro dei cervelli 2023
1.1. Rientro dei cervelli 2023: condizioni generali
Con l’art. 5 del Decreto Crescita 2019 il Governo ha proceduto alla modifica delle disposizioni previste in materia di “rientro dei cervelli” – ai nostri fini considerata categoria generale di agevolazione (come suggerito dalla rubrica “Rientro dei cervelli” dell’art. 5 del D.L. n. 34/2019), che a sua volta si desclina in quelle più specifiche dei “docenti e ricercatori“, di cui all’art. 44 del D.L. n. 78/2010, e dei “lavoratori impatriati”, di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 – allargando la platea di contribuenti che possono usufruire dell’agevolazione fiscale.
In linea generale, i requisiti da rispettare per accedere all’agevolazione, per i “lavoratori impatriati”, da parte del contribuente che abbia avuto un’esperienza lavorativa all’estero sono:
- non essere risultato residente in Italia per i 2 periodi d’imposta precedente al rientro in Italia;
- l’impegno a rimanere residente in Italia per almeno 2 periodi d’imposta;
- svolgere la futura attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Ne deriva che non è più richiesto che il lavoro svolto all’estero sia caratterizzato da una posizione direttiva, elevata qualificazione o specializzazione. Così come viene generalizzato per tutte le fattispecie il requisito della permanenza in Italia per almeno 2 anni.
Inoltre, l’applicazione dei benefici per il “rientro dei cervelli” non necessita più che il lavoratore, una volta rientrato in Italia, debba prestare la propria attività lavorativa a favore di un’impresa residente o della relativa controllata.
Le attività lavorative, svolte dal contribuente una volta rientrato in Italia e coperte dall’agevolazione per il “rientro dei cervelli” sono, oltre a quella di lavoro dipendente, anche quelle assimilate al lavoro dipendente, di lavoro autonomo, nonché le attività d’impresa avviate dal periodo successivo al 31 dicembre 2019.
Tali incentivi fiscali non sono stati modificati con la Legge di Bilancio 2023, trovando quindi applicazione ai contribuenti che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia a partire dal 1° gennaio 2023.
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1.2. Rientro dei cervelli 2023: durata del beneficio e riduzione delle imposte
La durata del beneficio fiscale per il “rientro dei cervelli” è di 5 anni, per il quale opera un abbattimento dell’imponibile del 70%, cosicché le imposte restano dovute sono sul 30% dei redditi percepiti.
In alcuni casi il beneficio fiscale viene esteso per ulteriori 5 anni, vale a dire quando:
- il lavoratore rientrato diventi proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia (la quale può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà);
- per il lavoratore che abbia almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo.
In questi casi, negli ulteriori cinque periodi di imposta i redditi prodotti concorrono alla formazione del reddito imponibile limitatamente al 50 % del loro ammontare. Altresì, per i lavoratori che abbiano almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, i redditi agevolati prodotti, negli ulteriori cinque periodi di imposta, concorrono alla formazione del reddito imponibile solo per il 10%, cosicché risultano detassati del 90%.
Infine, viene previsto che la tassazione risulterà del 10% per i lavoratori che trasferiscano la residenza fiscale nelle Regioni del Centro-Sud d’Italia (quali Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia).
2. Agevolazione per Docenti e Ricercatori 2023
2.1. Agevolazione per Docenti e Ricercatori 2023: i requisiti
L’art. 5 del Decreto Crescita 2019, relativo al “rientro dei cervelli”, ha previsto un ampliamento anche delle agevolazioni per il rientro dei docenti e dei ricercatori in Italia, di cui all’art. 44 del D.L. n. 78/2010.
In particolare, viene stabilito che possono accedere all’agevolazione fiscale i contribuenti che:
- sono in possesso di un titolo di studio universitario o equiparato;
- siano stati non occasionalmente residenti all’estero;
- abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno 2 anni continuativi;
- svolgano l’attività di docenza e ricerca in Italia;
- acquisiscano conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato italiano.
L’agevolazione fiscale per i docenti e i ricercatori rientrati in Italia riguarda i redditi di lavoro dipendente o autonomo da questi prodotti in Italia al loro rientro.
Inoltre, per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, gli emolumenti percepiti non concorrono alla formazione del valore della produzione netta ai fini IRAP.
Con la Circolare n. 17/E del 2022, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la normativa di agevolazione risponde al duplice obiettivo di porre rimedio al c.d. fenomeno della “fuga dei cervelli” e di favorire lo sviluppo tecnologico e scientifico del Paese. Tale disciplina, quindi, non si rivolge soltanto ai cittadini italiani o europei emigrati che intendano far ritorno in Italia ma interessa, in linea generale, tutti i residenti all’estero, sia italiani che stranieri, i quali per le loro particolari conoscenze possono favorire lo sviluppo della ricerca e la diffusione del sapere in Italia, trasferendovi il “know how” acquisito attraverso l’attività svolta.
Detti incentivi fiscali non sono stati modificati dalla Legge di Bilancio 2023, per cui continuano ad applicarsi ai docenti e ai ricercatori che trasferiscano la relativa residenza fiscale in Italia a decorrere dal 1° gennaio 2023.
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2.2. Agevolazione docenti e ricercatori 2023: durata del beneficio e riduzione delle imposte al 10%
Il beneficio fiscale per docenti e ricercatori è da considerarsi il più conveniente, dal momento che comporta un abbattimento della tassazione ben del 90%, cosicché le imposte rimangono dovute solo sulla residua parte del 10% dei redditi percepiti.
La durata ordinaria dell’agevolazione per i docenti e i ricercatori rimpatriati è di 6 anni, a condizione che il contribuente rimanga residente in Italia.
Invece, l’agevolazione sale a 8 anni nel caso in cui i cui i docenti o ricercatori abbiano un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo.
Sempre a 8 anni viene estesa l’agevolazione per i docenti e i ricercatori per il caso in cui questi diventino proprietari di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia della residenza (ai sensi dell’articolo 2 del D.P.R. n. 917/1986) o nei dodici mesi precedenti al trasferimento, a patto che rimanga residente in Italia. L’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal docente e ricercatore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà.
Ancora, l’agevolazione sale a ben 13 anni per i docenti e ricercatori che abbiano almeno due figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, successivamente al trasferimento della residenza in Italia (ai sensi dell’articolo 2 del D.P.R. n. 917/1986), a condizione permanga la residenza fiscale in Italia.
3. Rientro dei cervelli e le novità sull’estensione degli incentivi per i contribuenti rientrati precedentemente
3.1. L’estensione degli incentivi per i lavoratori impatriati in precedenza
La Legge di Bilancio 2021 è intervenuta sulle agevolazioni fiscali per i “lavoratori impatriati” prevedendo che l’estensione degli incentivi per ulteriori 5 anni d’imposta possa operare anche per i contribuenti, i quali siano stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito la residenza prima dell’anno 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime in questione.
Possono optare per tale estensione di 5 anni degli incentivi fiscali i lavoratori:
- con almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo;
- oppure, che diventino proprietari di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento (l’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà).
Per accedere all’estensione temporale di 5 anni delle agevolazioni per il “rientro dei cervelli” i lavoratori devono versare:
- un importo pari al 10% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia oggetto dell’agevolazione, relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se il soggetto al momento dell’esercizio dell’opzione ha almeno un figlio minorenne, anche in affido preadottivo, o è diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento, ovvero ne diviene proprietario entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione di cui al presente comma, pena la restituzione del beneficio addizionale fruito senza l’applicazione di sanzioni (l’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà);
- un importo pari al 5% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia oggetto dell’agevolazione, relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se il soggetto al momento dell’esercizio dell’opzione ha almeno tre figli minorenni, anche in affido preadottivo, e diventa o è diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento, ovvero ne diviene proprietario entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione di cui al presente comma, pena la restituzione del beneficio addizionale fruito senza l’applicazione di sanzioni (l’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà).
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3.1.1. Come accedere alla proroga dell’agevolazione
Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha fornito (con Provvedimento Prot. Prot. n. 60353/2021 del 3 marzo 2020) le indicazioni sulle modalità di esercizio dell’opzione ai fini della proroga del regime previsto per i lavoratori impatriati (di cui all’articolo 5, comma 2-bis, del decreto-legge del 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, come modificato dall’articolo 1, comma 50, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, da parte dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi), che di seguito si riportano.
Detti soggetti (diversi da quelli indicati all’articolo 5, comma 2, del decreto-legge del 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, come modificato dall’articolo 1, comma 50, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e diversi dai soggetti di cui alla legge 23 marzo 1981, n. 91), che siano stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito la residenza prima del 30 aprile 2019 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, possono optare per l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 34 del 2019.
E’ stato precisato che l’opzione in questione è esercitata mediante il versamento in un’unica soluzione di:
a) un importo pari al 10 per cento dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia, oggetto dell’agevolazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se il soggetto al momento dell’esercizio dell’opzione ha almeno un figlio minorenne, anche in affido preadottivo, o è diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento, ovvero ne diviene proprietario entro diciotto mesi dalla data di effettuazione del versamento, pena la restituzione del beneficio addizionale fruito senza l’applicazione di sanzioni. L’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà;
b) un importo pari al 5 per cento dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia oggetto dell’agevolazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, relativi al periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se il soggetto al momento dell’esercizio dell’opzione ha almeno tre figli minorenni, anche in affido preadottivo, e diventa o è diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento, ovvero ne diviene proprietario entro diciotto mesi dalla data di effettuazione del versamento, pena la restituzione del beneficio addizionale fruito senza l’applicazione di sanzioni. L’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà.
L’importo da corrispondersi è versato mediante il modello di pagamento F24, senza la possibilità di avvalersi della compensazione (prevista dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241). Con successiva risoluzione viene istituito il codice tributo da indicare in fase di versamento e sono impartite le istruzioni per la compilazione del modello F24.
Detto è versato entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo periodo di fruizione dell’agevolazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015. I soggetti per cui tale periodo si è concluso il 31 dicembre 2020, effettuano il versamento entro 180 giorni dalla pubblicazione del provvedimento. I termini che scadono di sabato o in un giorno festivo sono prorogati al primo giorno feriale successivo.
Con la Risposta ad interpello n. 371/2022, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito ad un caso in cui l’opzione per la proroga degli incentivi fiscali non era stata esercitata dal contribuente nei termini indicati dal Fisco.
In particolare, il contribuente, rientrato in Italia nell’anno 2016, aveva usufruito degli incentivi per i “lavoratori impatriati” fino all’anno 2020, tuttavia, pur in presenza delle condizioni di legge, non aveva optato per la proroga del beneficio fiscale effettuando il versamento richiesto dalla legge entro la scadenza del 30 agosto 2021.
Ebbene, l’istante chiedeva all’Agenzia delle Entrate se il termine entro il quale esercitare l’opzione per la proroga del beneficio fiscale ed effettuare il relativo versamento fosse da considerarsi un termine “ordinatorio”, piuttosto che “perentorio”, vale a dire se il mancato rispetto fosse rimediabile attraverso l’istituto del “ravvedimento operoso” (art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997).
Nello specifico, l’interessato riteneva di poter effettuare il versamento in questione in ritardo, con una sanzione ridotta ad 1/8 ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997).
Per tutta risposta, l’Amministrazione finanziaria ha osservato che l’estensione per un ulteriore quinquennio del regime speciale disciplinato dall’art. 16 D.Lgs. n. 147/2015 è subordinato all’esercizio dell’opzione previo versamento degli importi dovuti entro il termine (indicato al punto 1.4 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 3 marzo 2021, prot. n. 60353), con l’immediata conseguenza che il mancato adempimento precluda l’applicazione del beneficio in commento. Infatti, il Fisco appare determinato ad escludere nei casi del genere il ricorso all’istituto del ravvedimento operoso, che quindi non viene ritenuto idoneo per rimediare alla dimenticanza del contribuente.
In definitiva, l’Agenzia delle Entrate, prendendo atto che nel caso di specie l’istante non aveva effettuato il versamento nel termine del 30 agosto 2021, ha ritenuto definitivamente preclusa la possibilità di accedere all’estensione temporale dei benefici fiscali per ulteriori 5 anni.
In questa sede si noti come la risposta dell’Agenzia delle Entrate presta il fianco a diversi profili di criticità, i quali, se precisamente individuati e articolati dal contribuente, non si esclude che possano essere accolti dalla giustizia tributaria al fine di consentire all’interessato di accedere, in ogni caso, all’estensione temporale anche qualora abbia esercitato tardivamente l’opzione per la proroga degli incentivi.
3.1.2. Come fare la richiesta al sostituito e la comunicazione dell’opzione
Ai fini dell’applicazione dei benefici (di cui all’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015), i lavoratori dipendenti presentano al datore di lavoro una richiesta scritta entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo periodo di fruizione dell’agevolazione e, per i lavoratori per cui tale periodo si è concluso il 31 dicembre 2020, entro 180 giorni dalla data di pubblicazione del predetto provvedimento. I termini che scadono di sabato o in un giorno festivo sono prorogati al primo giorno feriale successivo.
Questa richiesta deve essere sottoscritta dal lavoratore dipendente e resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, contenendo i seguenti dati:
a) nome, cognome e data di nascita;
b) il codice fiscale;
c) l’indicazione che prima del 30 aprile 2019 la residenza è stata trasferita in Italia ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
d) l’indicazione della permanenza della residenza in Italia alla data di presentazione della richiesta;
e) l’impegno a comunicare tempestivamente al datore di lavoro ogni variazione della residenza o del domicilio, rilevante per l’applicazione del beneficio medesimo da parte del datore di lavoro;
f) i dati identificativi dell’unità immobiliare di tipo residenziale acquistata direttamente dal lavoratore ovvero dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà e la relativa data di acquisto; ovvero l’impegno a comunicare tali dati entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione, se ne diviene proprietario entro tale ultimo termine;
g) il numero e la data di nascita dei figli minorenni, anche in affido preadottivo, alla data di effettuazione del versamento;
h) l’anno di prima fruizione del regime speciale per i lavoratori impatriati;
i) l’ammontare dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia oggetto dell’agevolazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n 147, relativi al periodo d’imposta precedente a quello dell’esercizio dell’opzione;
j) gli estremi del versamento di cui alle lettere a) e b) del comma 2-bis, dell’articolo 5 del decreto-legge n. 34 del 2019, effettuato secondo le modalità previste per questo caso.
I soggetti che esercitano un’attività di lavoro autonomo comunicano l’opzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale hanno effettuato il versamento in questione.
3.1.3. Gli adempimenti del sostituto d’imposta
I sostituti d’imposta (articolo 23, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600), operano le ritenute sul 50 per cento delle somme e valori imponibili (di cui all’articolo 51 del TUIR), nel caso di lavoratori che al momento dell’esercizio dell’opzione abbiano comunicato almeno un figlio minorenne, anche in affido preadottivo, o che siano divenuti proprietari di un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia successivamente al trasferimento o nei dodici mesi precedenti al trasferimento ovvero che ne divengano proprietari entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione.
I medesimi soggetti operano ritenute limitatamente al 10 per cento del loro ammontare nel caso di lavoratori che, al momento dell’opzione, abbiano comunicato almeno tre figli minorenni o a carico anche in affido preadottivo, o che siano divenuti proprietari di un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia successivamente al trasferimento o nei dodici mesi precedenti al trasferimento ovvero che ne divengano proprietari entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione.
Le ritenute sono operate sulle somme e i valori imponibili corrisposti dal periodo di paga successivo al ricevimento della richiesta.
A fine anno o alla cessazione del rapporto di lavoro, i sostituti di imposta effettuano il conguaglio tra le ritenute operate e l’imposta dovuta sull’ammontare complessivo degli emolumenti, ridotto alla predetta percentuale, corrisposto a partire dal 1° gennaio dell’anno di riferimento.
Tale disciplina non trova applicazione nel caso in cui il lavoratore comunichi al datore di lavoro il trasferimento fuori dall’Italia della propria residenza o del proprio domicilio.
3.2. L’estensione degli incentivi per i Docenti e i Ricercatori impatriati in precedenza
Con la Legge di Bilancio 2022, in maniera similare a quanto precedentemente previsto per i lavoratori impatriati con la Legge di Bilancio 2021, è stato previsto che i docenti e i ricercatori, che siano stati iscritti all’AIRE o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito in Italia la residenza prima dell’anno 2020 e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del relativo regime fiscale agevolato (art. 44 del D.L. n. 78/2010) possono optare per l’applicazione dell’estensione degli incentivi fiscali in presenza di un figlio minorenne o a carico (anche in affido preadottivo) o in caso di acquisto di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia al momento del loro rientro nel territorio italiano, con modalità analoghe a quelle sopra descritte per i lavoratori impatriati.
3.2.1. Il problema della mancata iscrizione all’AIRE
Abbiamo visto che, per quanto concerne i cittadini italiani che abbiano trasferito la residenza in Italia prima dell’anno 2020 e che al 31 dicembre 2019 risultavano beneficiari delle agevolazioni fiscali in commento, l’estensione di queste ultime per ulteriori 5 anni d’imposta è stata riconosciuta solo a condizione della avvenuta iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE).
Per l’effetto, la mancata iscrizione, da parte dei cittadini italiani, presso tale Anagrafe per il periodo trascorso all’estero, stando alla formulazione della norma, appare costituire un impedimento all’applicazione della proroga degli incentivi.
Ebbene, per quanto la lettera della norma debba interpretarsi nella maniera predetta, si nutrono forti dubbi sulla legittimità della mancata estensione ai cittadini italiani di una proroga che, invece, trova perfetta applicazione ai cittadini dell’Unione europea non italiani, ai quali non risulta applicabile la disciplina della iscrizione all’AIRE.
L’argomento del diverso trattamento potrebbe essere utilizzato dal cittadino italiano, mai iscritto all’AIRE, per rivendicare l’applicazione anche al suo caso dell’estensione della proroga di 5 anni delle agevolazione, ipotesi percorribile solo ed esclusivamente ricorrendo davanti ad un giudice della giurisdizione tributaria (Corte di Giustizia Tributaria), laddove la domanda dovrà essere supportata da puntuali e ineccepibili motivazioni giuridiche, onde evitare il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese del giudizio.
3.2.2. Modalità di esercizio dell’opzione
Attraverso la Circolare n. 17/E del 2022, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’opzione per l’estensione temporale degli incentivi fiscali in questione si perfeziona con il pagamento di un importo pari a:
- il 10% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo agevolabili prodotti nel periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se al momento di esercizio della stessa il lavoratore soddisfa, alternativamente, specifici requisiti: ha almeno un figlio minorenne (anche in affido preadottivo) ovvero è diventato proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia dopo il trasferimento, nei dodici mesi precedenti o entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione, pena la restituzione del beneficio addizionale fruito, senza applicazione di sanzioni;
- il 5% dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo agevolabili prodotti nel periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione, se in tale momento il lavoratore ha almeno tre figli minorenni (anche in affido preadottivo) e diventa proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia dopo il trasferimento, nei dodici mesi precedenti o entro diciotto mesi dalla data di esercizio dell’opzione, pena – anche in tal caso – la restituzione del beneficio, senza applicazione di alcuna sanzione.
Le scadenze per e le modalità di pagamento per l’esercizio dell’opzione in esame sono state individuate con il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 31 marzo 2022, prot. n. 1020289, il quale prevede che:
- il versamento degli importi stabiliti dalla norma deve avvenire in un’unica soluzione entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo periodo di fruizione dell’agevolazione di cui all’articolo 44 del D.L. n. 78/2010, che, per i soggetti che si sono trasferiti fiscalmente in Italia prima del 2020, coincide con la conclusione del terzo periodo d’imposta successivo a quello del trasferimento della residenza fiscale in Italia (si ricorda che i termini che scadono di sabato o in un giorno festivo sono prorogati al primo giorno feriale successivo). Per coloro i quali il primo quadriennio di fruizione dell’agevolazione si è concluso entro il 31 dicembre 2021, il versamento andava effettuato entro il 27 settembre 2022;
- i docenti e i ricercatori lavoratori dipendenti, a condizione che mantengano la residenza fiscale in Italia, possono esercitare l’opzione mediante la presentazione di una richiesta scritta al datore di lavoro, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del primo quadriennio di fruizione dell’agevolazione. Per coloro i quali tale quadriennio si è concluso entro il 31 dicembre 2021, l’opzione andava effettuata entro il 27 settembre 2022. Il datore di lavoro opera le ritenute sul 10 per cento degli emolumenti erogati, nel caso di lavoratori che, al momento dell’opzione, abbiano comunicato di essere in possesso dei requisiti e di soddisfare le condizioni per l’applicazione delle rispettive misure di detassazione del reddito di lavoro dipendente e assimilati;
- i docenti e ricercatori che esercitano un’attività di lavoro autonomo, invece, comunicano l’opzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale hanno effettuato il versamento degli importi del 10 o del 5 per cento dei redditi di lavoro agevolabili prodotti nel periodo d’imposta precedente a quello di esercizio dell’opzione.
I docenti e ricercatori che hanno esercitato l’opzione possono fruire del regime agevolato per gli ulteriori periodi d’imposta nei quali mantengono la residenza fiscale in Italia, perdendo la possibilità di applicare il regime di favore a partire dal periodo d’imposta in cui viene meno tale requisito.
4. Rientro dei cervelli 2023: il requisito dell’iscrizione all’AIRE
4.1. Eliminato il requisito dell’iscrizione all’AIRE
Lo stesso Decreto Crescita ha stabilito, contrariamente a quanto previsto dalla precedente normativa, che l’iscrizione all’AIRE non sia più condizione necessaria per accedere all’agevolazione per il “rientro dei cervelli”, bastando a tal proposito che il precedente trasferimento all’estero della residenza fiscale sia avvenuto in base alla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con il Paese estero di riferimento.
Bisogna notare come tale modifica ha effetto retroattivo, coprendo anche i contribuenti che già avevano usufruito dell’agevolazione fiscale, sebbene mai iscritti all’AIRE, inclusi i casi in cui i lavoratori hanno ricevuto un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate per il recupero dell’agevolazione fiscale precedentemente ritenuta indebita.
Anche in questo caso l’agevolazione rimane applicabile sempre a condizione che i lavoratori abbiano avuto la residenza fiscale all’estero per il passato in applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con il Paese estero in questione. Tale requisito deve essere dimostrato dal contribuente in maniera impeccabile, per non vedersi negare l’agevolazione in ipotesi di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Solo nell’ipotesi in cui il contribuente, sebbene avente diritto all’agevolazione sulla base di tale regola retroattiva, abbia già provveduto al pagamento delle imposte per intero, non avrà diritto al relativo rimborso.
A tal proposito non si può fare a meno di notare che, se il requisito formale dell’iscrizione all’AIRE, previsto in precedenza, era facilmente dimostrabile attraverso il relativo certificato, la riconducibilità all’estero della residenza fiscale ai sensi della normativa convenzionale andrà dimostrata prendendo in considerazione elementi di natura sostanziale, quali, in primo luogo, il luogo dell’abitazione permanente del contribuente e il relativo centro degli interessi personali ed economici.
Tale valutazione deve essere svolta in maniera molto accurata, tenendo in considerazione tutti i legami dell’interessato sia con l’Italia sia con il Paese estero, onde evitare che, a seguito di un controllo dell’Agenzia delle Entrate, questi non sia in grado di fornire la prova della regolarità della fruizione degli incentivi per il rientro dei cervelli.
Infatti, in concreto, nella maggior parte dei casi esaminati nell’attività di consulenza quotidiana i contribuenti NON hanno i requisiti sufficienti per dimostrare la residenza fiscale estera attraverso le Convenzioni contro le doppie imposizioni ai fini dell’applicazione degli incentivi in questione.
Applicando l’incentivo fiscale in assenza del predetto requisito, il contribuente si espone ad un elevato rischio di negazione degli incentivi fiscali e al recupero delle imposte evase da parte dell’Agenzia delle Entrate, con applicazione delle relative sanzioni.
Oltretutto, sussistono numerose eccezioni, limiti, deroghe e casi di non applicabilità degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” che, per sintesi di trattazione, non sono state riportate nel presente articolo e che, nel caso concreto, potrebbero spingere l’Agenzia delle Entrate comunque a negare l’agevolazione fiscale.
4.2. Mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente: un caso dello Studio ITAXA
Recentemente lo Studio ITAXA ha registrato una ulteriore vittoria nel contenzioso tributario a favore di un contribuente che, pur essendosi traferito a vivere e a lavorare all’estero, non aveva provveduto alla sua cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente in Italia. Sebbene il caso in questione riguardi l’accertamento condotto dal Fisco per il recupero a tassazione dei redditi prodotti all’estero dal contribuente che non aveva provveduto alla sua cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente, le considerazioni che ne derivano possono essere ben utilizzate per i soggetti che, pur non essendosi mai iscritti all’AIRE, vogliano accedere agli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” una volta tornati in Italia.
Più in particolare, facendo seguito allo scambio di informazioni in materia reddituale con il Paese estero (nel caso di specie, la Polonia) sulla base della Direttiva UE DAC 1 (Direttiva 2011/17/UE), l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Venezia, procedeva a recuperare a tassazione in Italia i redditi da lavoro dipendente prodotti dal contribuente nel Paese estero (Polonia), sulla base del mero fatto che questi non avesse provveduto alla sua cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente in Italia.
In altri termini, l’Agenzia delle Entrate sosteneva che, non essendosi cancellato dall’Anagrafe della popolazione residente in Italia, il contribuente dovesse continuare a considerarsi fiscalmente residente in Italia per l’anno oggetto di accertamento, con l’effetto che tutti i suoi redditi, ovunque prodotti, andassero dichiarati e, quindi, tassati in Italia. Oltretutto, il Fisco negava all’interessato il riconoscimento del credito per le imposte da questi già pagate nello Stato estero, atteso che questi non aveva presentato la dichiarazione fiscale in Italia per l’anno oggetto di contestazione, sulla base della preclusione prevista dall’art. 165, comma 8, del TUIR.
L’Agenzia delle Entrate rigettava non condivideva le argomentazioni difensive svolte dal contribuente in fase di contraddittorio, cosicché questi si rivolgeva allo Studio ITAXA per impugnare l’avviso di accertamento in questione davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Venezia.
Lo Studio ITAXA, nell’interesse del contribuente, presentava ricorso avverso l’atto in questione, sostenendo che la residenza fiscale di costui non poteva essere ricondotta all’Italia sulla base del semplice dato della sua mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente, dovendosi, al contrario, così come comprovato nel corso del giudizio, aversi riguardo alla situazione sostanziale in cui questi versava, la quale deponeva chiaramente a favore della residenza fiscale nel Paese estero, anche sulla scorta delle disposizioni contenute nella relativa Convenzione contro le doppie imposizioni.
Per questa via, si giungeva a chiedere alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Venezia, sulla base della cospicua documentazione allegata agli atti del giudizio e delle argomentazioni giuridiche poste a base del ricorso, di annullate l’avviso di accertamento, con l’effetto di dichiarare non dovute le imposte e le sanzioni in esso evidenziate.
Ebbene, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Venezia ha dato credito alla tesi sostenuta dal contribuente.
Nello specifico, il Giudice tributario ha ritenuto che dalla mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente in Italia e, quindi, dalla permanenza dell’iscrizione del contribuente in tale registro, non può farsi discendere automaticamente che egli sia da considerarsi fiscalmente residente in Italia a prescindere da qualsiasi considerazione sul piano sostanziale e degli elementi di prova che l’interessato possa apportare a favore della tesi della sua residenza fiscale estera.
In altri termini, la mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente farebbe scattare una presunzione di legge relativa in merito alla permanenza della residenza fiscale del contribuente in Italia, non impedendo al contribuente di provare, in maniera puntuale e adeguata che, in realtà, la sua residenza fiscale sia da ricondurre allo Stato estero piuttosto che all’Italia.
La Corte di Giustizia Tributaria, infatti, ha aggiunto che la previsione di una presunzione, a favore dell’Agenzia delle Entrate, circa la permanenza della residenza fiscale in Italia del contribuente per la sua mancata cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente, non può determinare un rigido ed automatico assoggettamento ad imposizione fiscale di chi abbia solo la residenza anagrafica in Italia o, per i cittadini italiani, imporre per il non assoggettamento ad imposta la necessaria iscrizione all’AIRE.
Con una posizione decisamente comprensiva delle difficoltà che i contribuenti incontrano nelle proprie scelte lavorative a livello internazionale, il Collegio ha sostenuto che, in una situazione di bisogno dei lavoratori e con un mercato del lavoro dinamico mondiale e con richiesta di lavoro maggiore dell’offerta, imporre la conclusione dell’iter burocratico della cancellazione dall’Anagrafe (e, per i cittadini italiani, l’iscrizione all’AIRE) ai fini del non assoggettamento a imposizione fiscale nello Stato di provenienza, può finanche determinare la perdita di occasioni di lavoro, scopo a cui non è teso il nostro ordinamento che, invece, tutela il lavoro e i lavoratori.
Quindi, affinché il contribuente possa essere chiamato a contribuire alla spesa pubblica italiana attraverso l’imposizione dei relativi redditi, in relazione alla propria capacità contributiva, è necessario che sussista un effettivo collegamento con il territorio dello Stato italiano, sulla cui base è imperniato detto obbligo di contribuzione.
Ragionando diversamente, osserva sempre il Collegio, si arriverebbe ad ammettere, come sostenuto nel caso in questione dall’Agenzia delle Entrate, che il soggetto iscritto all’Anagrafe della popolazione residente senza avere alcun legame di tipo sostanziale con il territorio dello Stato, si troverebbe a concorrere alle spese pubbliche senza fruire di alcun servizio pubblico e/o senza avere alcun legame durevole con il territorio dello Stato, in aperto contrasto con il principio costituzionale di capacità contributiva.
Seguendo questo ragionamento, la Corte di Giustizia Tributaria di Venezia ha ritenuto che il contribuente avesse adeguatamente motivato, argomentato e comprovato le ragioni a favore della sua residenza fiscale estera in luogo di quella italiana e, per l’effetto, ha annullato totalmente l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Venezia.
In merito a tale contenzioso bisogna osservare che, considerate le numerose sentenze di merito e di legittimità che, in casi simili, sono giunte a conclusioni diverse, le questioni relative alla residenza fiscale appaiono essere sempre molto delicate, per cui le possibilità di vittoria dipendono essenzialmente dalla capacità di articolare in maniera adeguata ed esaustiva la difesa del contribuente e la puntuale allegazione di tutta la documentazione necessaria a sostenere la tesi difensiva. Al contrario, un atto difensivo non adeguatamente motivato e con scarsa allegazione di documentazione difensiva, apre le porte al rigetto del ricorso e alla condanna del contribuente al pagamento delle spese di lite.
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5. Rientro dei lavoratori in Italia: come recuperare l’agevolazione fiscale
L’Agenzia delle Entrate torna ad occuparsi della tematica degli incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia previsti dall’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015. Questa volta il Fisco ha risposto ad una Istanza di Interpello con la quale una contribuente (cittadina italiana), lavoratrice rientrata in Italia nell’anno 2017, aveva richiesto come potesse recuperare l’incentivo fiscale per i “lavoratori impatriati” una volta scaduti i termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi in cui andava esercitata l’opzione per l’agevolazione fiscale in questione.
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5.1. Il caso: l’opzione per l’agevolazione fiscale non esercitata in tempo
L’Istanza di Interpello sulla quale si è espressa l’Agenzia delle Entrate è quella di una contribuente, cittadina italiana, che dopo aver lavorato diversi anni in Francia decideva di tornare in Italia per ragioni lavorative.
Più precisamente, l’interessata, in possesso di un titolo di laurea, si trasferiva in Francia il 2 dicembre 2009 (con regolare iscrizione all’AIRE), e trasferiva nuovamente la sua residenza in Italia l’8 maggio 2017 per ivi lavorare alle dipendenze di una società francese, svolgendo le proprie mansioni prevalentemente sul suolo italiano.
Essendo presente e lavorando in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta 2017, la contribuente qui tassava tutti i redditi percepiti nell’anno d’imposta 2017, attraverso la presentazione del modello Redditi Persone Fisiche 2018.
L’istante era tornata a lavorare in Italia sulla base di un pre-contratto di lavoro con la suddetta società francese e proprio in considerazione di detta attività lavorativa si giustificava anche la sua decisione di tornare a vivere nonché ad essere fiscalmente residente in Italia.
In virtù di tali circostanze, quindi, la contribuente chiedeva all’Agenzia delle Entrate se vi fossero i presupposti per usufruire degli incentivi fiscali per i “lavoratori impatriati”, di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015, nonostante il fatto che non ne avesse fatto richiesta al datore id lavoro e che nella dichiarazione fiscale per l’anno 2017 (modello Redditi Persone Fisiche 2018) non avesse esercitato la relativa opzione.
5.2. L’Agenzia delle Entrate: il recupero degli incentivi vale per il futuro
Il Fisco con la Risposta n. 59 del 13 febbraio 2020 fornisce il proprio punto di vista sulla questione proposta dalla contribuente, osservando, in via preliminare, come non possa procedersi in sede di interpello ad analizzare il profilo della residenza fiscale dell’interessata, valutazione che deve essere rimandata ad una eventuale successiva fase di accertamento fiscale.
L’Agenzia delle Entrate prosegue con la sua risposta analizzando i profili più strettamente interpretativi della normativa da applicarsi nel caso di specie.
Per cui è stato rilavato come l’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 ha introdotto il “regime speciale per lavoratori impatriati“, successivamente modificato dall’art. 5 del D.Lgs. n. 34/2019 (convertito dalla Legge n. 58/2019), in vigore dal 1° maggio 2019, nuovo regime che trova applicazione (ai sensi dell’articolo 13-ter, comma 1, del D.L. n. 124/2019, convertito dalla Legge n. 157/2019), a partire dal già 2019 per i soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del TUIR.
Per coloro che sono rientrati in Italia prima di quella data, continua ad operare la vecchia formulazione dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015, secondo cui l’agevolazione fiscale per cui i redditi prodotti in Italia concorrono alla formazione della base imponibile solo nella misura del 50%, e non quindi di quella del 30% (o per alcuni casi 10%) attualmente prevista.
Sempre secondo la precedente formulazione della norma, osserva il Fisco, per quanto riguarda i soggetti “laureati”, i destinatari del beneficio fiscale erano i cittadini dell’Unione europea (o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale) che:
- avessero svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più ovvero avessero svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione postlauream;
- fossero risultati fiscalmente residenti all’estero per almeno 2 anni;
- si fossero impegnati a rimanere fiscalmente residenti in Italia per almeno 2 anni dal loro rientro.
Ebbene, a tutte queste condizioni il contribuente poteva fruire dell’agevolazione per i “lavoratori impatriati laureati” per un quinquennio, a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi.
Il Fisco sottolinea che elemento fondamentale affinché possa applicarsi il beneficio in questione è quello del necessario collegamento tra il trasferimento della residenza fiscale in Italia e lo svolgimento ivi dell’attività lavorativa, non essendo, tra l’altro, richiesto che l’attività lavorativa debba essere prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni.
L’agevolazione fiscale, quindi, viene fruita dal lavoratore sotto forma di riduzione delle ritenute operate dal datore di lavoro (anche a conguaglio) su richiesta dell’interessato oppure, ove non possibile, direttamente in fase di dichiarazione dei redditi attraverso l’indicazione del redditi da lavoro dipendente in misura ridotta.
Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il fatto che la contribuente avesse sottoscritto con la società francese, in data 24 aprile 2017, un accordo precontrattuale, fosse idoneo a giustificare un collegamento tra il trasferimento della sua residenza fiscale in Italia e il futuro lavoro che sempre in Italia avrebbe svolto alle dipendenze della citata società estera.
E’ stato, quindi, ritenuto che se la contribuente riuscisse effettivamente a dimostrare la sua residenza fiscale estera per gli anni pregressi, nessun ostacolo, sul piano “astratto”, poteva frapporsi all’operatività dell’agevolazione fiscale in questione.
Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria ha preso atto del fatto che, sebbene meritevole dell’agevolazione fiscale, la contribuente in “concreto” non aveva provveduto, per l’anno d’imposta 2017, né a farne richiesta al proprio datore di lavoro né ad esercitarne l’opzione nella propria dichiarazione dei redditi.
Da questi rilievi l’Agenzia delle Entrate ha fatto derivare due conseguenze, vale a dire che:
- per l’anno d’imposta 2017, la contribuente ha perso il diritto all’agevolazione fiscale per i “lavoratori impatriati”;
- per i successivi anni l’interessa può fruire dell’incentivo fiscale facendone richiesta al proprio datore di lavoro e esercitandone l’opzione nella propria dichiarazione dei redditi.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate appare di grande utilità perché, sebbene abbia negato la possibilità che un contribuente usufruisca dell’agevolazione fiscale per i “lavoratori impatriati” qualora se non ne ha fatto richiesta al datore di lavoro e nemmeno vi abbia “tempestivamente” optato nella dichiarazione fiscale, d’altro canto ha riconosciuto al lavoratore il diritto di continuare a fruire dell’incentivo fiscale quantomeno per i restanti periodi d’imposta per i quali esso risulti astrattamente applicabile.
6. Agevolazioni rientro dei cervelli e regime forfettario: compatibili? L’Agenzia risponde
L’Agenzia delle Entrate ha risposto ad un interpello con il quale una contribuente chiedeva se le agevolazioni per il “rientro dei cervelli” (prevista dall’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015) fosse compatibile con il c.d. regime forfettario previsto per i lavoratori autonomi (di cui all’art. 1, comma 54, della Legge n. 190/2014).
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6.1. Il quesito della contribuente sulla compatibilità tra agevolazioni fiscali e regime forfettario
Con istanza di interpello presentata dinanzi all’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 11 (comma 1, lett.a) della Legge n. 212/2000, una cittadina italiana esponeva di essere in possesso di laurea nonché di aver risieduto all’estero per più di 5 anni d’imposta e di voler rientrare in Italia per ivi beneficiare del trattamento fiscale di favore previsto dall’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 per il “rientro dei cervelli”.
Dal momento che l’interessata rientrava in Italia al fine di svolgere un’attività di lavoro autonomo, ella riteneva che, oltre a poter beneficiare del regime fiscale agevolato per il “rientro dei cervelli”, potesse altresì fruire del c.d. regime forfettario ordinariamente previsto, dall’art. 1, comma 54, della Legge n. 190/2014, per i lavoratori autonomi che ne rispettano le condizioni.
Chiaramente l’interpello veniva proposto dalla contribuente per ottenere conferma del Fisco circa l’interpretazione fornita sulla combinata applicazione dei due trattamenti fiscali di favore, in luogo della tassazione in misura ordinaria dei redditi di lavoro autonomo che sarebbero stati prodotti al suo rientro in Italia.
6.2. La risposta dell’Agenzia delle Entrate: incompatibilità tra i due trattamenti fiscali
L’Agenzia delle Entrate nell’esaminare l’istanza di interpello della contribuente ha preliminarmente ripercorso la normativa agevolativa sul “rientro dei cervelli”.
In particolare, il Fisco ha ricordato come l’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 abbia introdotto un regime speciale dedicato ai “lavoratori impatriati” con lo scopo di attrarre in Italia lavoratori con elevato grado di qualificazioni e specializzazioni e, quindi, di favorire lo sviluppo del tessuto economico italiano.
Per effetto dell’applicazione di tale regime, i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo dei soggetti che rientrano in Italia concorrono (almeno secondo la normativa vigente al 31 dicembre 2018, successivamente modificata) alla formazione del reddito imponibile nella sola misura del 50% (con l’effetto che la restante parte del 50% rimane non imponibile ovvero “esente”), per un periodo di 5 anni (l’anno in cui avviene il trasferimento della residenza in Italia e per i 4 anni successivi).
Ne discende che l’agevolazione fiscale in commento agisce sul reddito di lavoro dipendente o autonomo, base imponibile per l’applicazione dell’IRPEF, sulla quale devono essere anche scomputati gli oneri deducibili (art. 10 del TUIR) e dalla cui imposta devono essere operate le detrazioni (art. 12 del TUIR).
Diversamente, nel caso del c.d. regime forfettario, di cui all’art. 1, comma 54, della Legge n. 190/2014 (così come da ultimo modificato con Legge n. 145/2018), applicabile ai lavoratori autonomi che ne soddisfino i requisiti, l’IRPEF (e le relative addizionali, così come l’IVA e l’IRAP) non trova applicazione, venendo rimpiazzata da un’imposta sostitutiva, nella misura del 15%, applicata su un ammontare pari al 78% (c.d. coefficiente di redditività) dei compensi del professionista.
In altri termini, quando si applica il c.d. regime forfettario, il reddito in questione, proprio perché assoggettato ad “imposta sostitutiva”, non concorre alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini dell’IRPEF (ai sensi dell’art. 3, comma 3, lettera a), del TUIR).
Da ciò l’Agenzia delle Entrate ha ricavato che, in costanza di applicazione del c.d. regime forfettario, non concorrendo il reddito di lavoro autonomo alla formazione del reddito complessivo ai fini IRPEF, non residua alcuna base imponibile per l’applicazione del beneficio fiscale previsto dall’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 per il “rientro dei cervelli”.
In definitiva, l’Agenzia delle Entrate, con Risposta ad interpello n. 283 del 19 luglio 2019, ha prospettato alla contribuente di compiere una delle due scelte (tra loro alternative):
- o assoggettare i propri redditi di lavoro autonomo al regime fiscale c.d. forfettario, non permettendo ai propri compensi di concorrere alla formazione del reddito complessivo imponibile ai fini IRPEF;
- oppure rinunciare al c.d. regime forfettario, optando per l’applicazione dei benefici fiscali previsti per il “rientro dei cervelli” e, quindi, assoggettare i propri redditi ad IRPEF calcolata su una base imponibile del 50% (secondo la normativa in vigore al 31 dicembre 2018, poi modificata).
Chiaramente spetta alla contribuente valutare quale delle due scelte possa consentirle una migliore ottimizzazione fiscale.
7. Incentivi fiscali per il rientro dei cervelli e trasferimento in un paradiso fiscale
Con una recente risposta ad Interpello, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla impossibilità di applicazione degli incentivi per il rientro dei lavoratori in Italia ad un lavoratore, dipendente di una multinazionale, che era rientrato in Italia dopo aver svolto la propria attività lavorativa con distacco a Dubai, ancora annoverato tra i Paesi black list.
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7.1. La domanda del lavoratore tornato da Dubai per ottenere gli incentivi fiscali per i lavoratori impatriati
L’interpello in commento riguarda la situazione di un lavoratore che, dopo aver lavorato a Dubai, rientrava in Italia per ivi proseguire la propria attività lavorativa al servizio di una società multinazionale e, su queste basi, ha richiesto all’Agenzia delle Entrate conferma circa l’applicazione al suo caso degli incentivi per i lavoratori impatriati.
Più in particolare, il contribuente in questione, laureatosi nell’anno 2002, dall’anno 2007 lavorava alle dipendenze di una società multinazionale, avente una sede a Roma.
Proprio per questa multinazionale aveva più volte lavorato all’estero, come appunto in Polonia dall’anno 2009 al 2011 e, successivamente, negli Emirati Arabi Uniti, dal 2015 al 2016, sempre provvedendo alla sua regolare iscrizione all’AIRE.
Ebbene, il lavoratore si ritrovava a dover tornare negli Emirati Arabi Uniti, più in particolare a Dubai, nell’agosto dell’anno 2017, per ivi operare al servizio della medesima società, in regime di distacco, nell’ambito di un progetto di costrizione di un impianto, la cui attività lo teneva impegnato nel Paese straniero fino all’agosto dell’anno 2019, rientrando in Italia solo il 1° settembre 2019.
Trovandosi a vivere stabilmente a Dubai, l’interessato provvedeva nuovamente alla sua iscrizione all’AIRE, la quale rimaneva valida per i periodi d’imposta 2018 e 2019.
Alla luce di tale situazione, il contribuente ha interpellato l’Amministrazione finanziaria per sapere se sussistessero nel suo caso i requisiti per l’applicazione degli incentivi fiscali sul rientro dei lavoratori, di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015, così come modificati dal c.d. Decreto Crescita.
A parere dell’interessato, gli incentivi dovevano ritenersi applicabili al suo caso, con l’effetto che egli avrebbe dovuto godere di un’agevolazione fiscale consistente nella detassazione del 90% dei redditi per 5 anni e, altresì, un abbattimento dell’imponibile sempre del 90%, per ulteriori 5 anni, avendo egli 3 figli minorenni e trovandosi in Italia ad essere proprietario di un immobile ad uso abitativo.
7.2. Il Parere dell’Agenzia delle Entrate: negati i benefici per i lavoratori impatriati
L’Agenzia delle Entrate, con Risposta n. 510 dell’11 dicembre 2019, ha dato riscontro all’Istanza di Interpello del contribuente muovendo dalla rassegna della normativa sugli incentivi relativi al rientro dei lavoratori in Italia, sottolineando come, soprattutto a seguito delle modifiche apportate dal c.d. Decreto Crescita alle regole precedentemente previste, i vantaggi fiscali in questione siano aumentati notevolmente.
Per cui, il Fisco ha rappresentato che l’agevolazione fiscale è fruibile, nella misura del 70%, dal contribuente per un quinquennio, ovvero per l’anno in cui egli trasferisce la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi.
Sotto l’aspetto della residenza fiscale, aggiunge l’Agenzia delle Entrate, per accedere al regime speciale per i lavoratori impatriati, è necessario che l’interessato non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente il rientro.
Altresì, condizione fondamentale per usufruire di queste agevolazioni è quella per cui il lavoratore si impegni a rimanere fiscalmente residente in Italia per almeno due anni, a pena di decadenza dall’agevolazione.
Così come già affermato in precedenza, l’Agenzia delle Entrate afferma di non poter occuparsi della verifica dell’effettivo spostamento all’estero della residenza fiscale da parte del contribuente istante, controllo che può essere operato dal Fisco solo in sede di attività di accertamento della posizione fiscale dell’interessato.
Sotto il predetto profilo, la situazione del contribuente istante sembrava del tutto in linea con i requisiti previsti dalla legge ai fini dell’applicazione degli incentivi per i lavoratori impatriati.
Senonché, il Fisco rileva un aspetto critico della situazione in esame, consistente nel fatto che il contribuente fosse andato a lavorare a Dubai per la medesima società multinazionale per la quale lavorava in Italia e presso cui era ritornato a lavorare una volta rientrato in Italia.
Da tale punto di vista, quindi, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di precisare, come già operato in precedenza, che il beneficio fiscale per i lavoratori impatriati “non compete ai soggetti che rientrano in Italia dopo essere stati in distacco all’estero ed avere acquisito la residenza estera per il periodo di permanenza richiesto dalla norma“.
La ragione che ha spinto il Fisco a negare, nel caso di specie, l’applicazione dell’incentivo fiscale in questione, si rinviene nel fatto che, quando l’esperienza di lavoro estera costituisce solo una parentesi di un’attività lavorativa che si estrinseca normalmente in Italia, tale da determinare una certa continuità tra il lavoro svolto prima della partenza e quello ripreso dopo il rientro l’esperienza di lavoro estera, non può più ritenersi che il lavoratore abbia svolto un’esperienza lavorativa “autonoma” all’estero.
Infatti, in questo caso non potrebbe più parlarsi di “rientro” del lavoratore in Italia, con l’effetto che la fattispecie di tal genere non rispetterebbe la ratio della norma.
D’altra parte, l’Amministrazione finanziaria ritiene di non poter giungere a diversa conclusione nemmeno valutando altri aspetti del rapporto di lavoro tra il contribuente e la multinazionale, quali eventuali proroghe del distacco, radicamento nel territorio estero, ruolo aziendale ricoperto o continuità con le attività svolte prima della partenza per l’estero, non sussistendo nel caso di specie sufficienti dati in tal senso.
Per l’effetto, l’Agenzia delle Entrate ha negato al contribuente l’applicazione degli incentivi fiscali dei lavoratori rimpatriati.
Sulla base della esposta risposta dell’Agenzia delle Entrate, è possibile affermare che, nel caso in cui l’esperienza svolta dal lavoratore all’estero sia in qualche modo collegata con l’Italia, è sempre bene procedere ad una verifica approfondita della posizione fiscale dell’interessato, al fine di confermare che gli incentivi possano essere applicati con certezza oppure, al contrario, per valutare i pericoli di eventuali contestazioni da parte del Fisco, salvo che non si addivenga alla già chiara conclusione che gli incentivi non possano operare nel caso sotto esame.
Dette valutazioni assumono un’importanza fondamentale soprattutto se si pensa che qualora, dopo anni di fruizione del beneficio, la posizione del contribuente, rivelatasi “irregolare”, dovesse essere oggetto di verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate, gli incentivi fiscali verrebbero recuperati a tassazione in capo al lavoratore, con applicazione delle conseguenti sanzioni fiscali per ciascun anno d’imposta interessato dall’agevolazione.
Oltretutto, in mancanza di una valutazione preliminare sull’applicabilità degli incentivi, in ipotesi di controllo il contribuente si troverebbe anche sprovvisto di eventuale specifica e adeguata documentazione difensiva che sarebbe stato opportuno precostituire per tempo al fine di dimostrare efficacemente la regolarità fiscale del proprio operato.
8. Rientro dei cervelli e il requisito della residenza fiscale estera
Sempre più frequentemente i contribuenti propongono istanza di interpello davanti all’Agenzia delle Entrate al fine di chiarire questioni legate alla localizzazione della propria residenza fiscale all’estero per determinati anni d’imposta prima del loro rientro in Italia, con lo scopo di accedere alle agevolazioni fiscali per il “rientro dei cervelli“.
Di seguito vedremo come questa sia una pratica errata, così come evidenziato dalla stessa Amministrazione finanziaria in alcune sue risposte ad interpelli proprio relativi alla qualificazione della residenza fiscale dell’istante.
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8.1. Le istanze di interpello per la determinazione del Paese della residenza fiscale
Con diverse risposte ad istanze di interpello l’Agenzia delle Entrate ha rigettato la richiesta di determinazione del Paese della residenza fiscale del contribuente, ritenendo di poter procedere a tal verifica solo in sede di esercizio dei propri poteri di accertamento.
In particolare, troviamo il caso di un contribuente che dichiarava all’Agenzia delle Entrate di lavorare per una società con sede in Svizzera 3 giorni a settimana (dal mercoledì al venerdì) e di trascorrere, invece, in Italia altri 4 giorni della settimana (dal sabato al martedì) in una casa vacanze insieme alla sua famiglia pur, tuttavia, evitando di trascorrere in Italia più di 183 in un anno. Il contribuente sosteneva che in tale situazione egli fosse da ritenersi fiscalmente residente in Svizzera, non trascorrendo in Italia più di 183 giorni all’anno.
Al di là della discutibile soluzione prospettata dal contribuente, in questa sede rileva come l’Agenzia delle Entrate, ancor prima di rispondere alla richiesta dell’istante, con Risposta n. 294 del 2019, ha chiarito che: “In via preliminare, si evidenzia come l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale costituisca una questione di fatto che non può formare oggetto di istanza di interpello, ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 212/2000”.
A simile conclusione il Fisco è giunto in relazione ad un’istanza di interpello presentata da un contribuente, avente cittadinanza italiana e britannica, il quale chiedeva conferma circa la sua residenza fiscale nel Regno Unito, sul rilievo che per l’anno in questione avesse lavorato per la maggior parte del periodo d’imposta nel Paese straniero e avesse presentato al consolato richiesta di iscrizione all’AIRE il 19 gennaio, nonostante l’iscrizione non si fosse perfezionata entro la prima metà dell’anno. Anche in questo caso il contribuente prospettava la soluzione secondo cui, in virtù dei fatti esposti, per l’anno in oggetto dovesse essere considerato fiscalmente residente nel Regno Unito, quindi non in Italia.
Anche in relazione a tale istanza di interpello, l’Amministrazione finanziaria, con Risposta n. 270 del 2019, ha sottolineato che: “In via preliminare, si evidenzia come l’accertamento dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale costituisca una questione di fatto che non può formare oggetto di istanza di interpello, ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 212/2000”.
Non potendo fornire puntuale risposta ad entrambe le istanze di interpello, l’Agenzia delle Entrate si è limitata a prospettare ai contribuenti le norme generali che disciplinano la residenza fiscale, senza assumere alcun vincolo valutativo rispetto.
8.2. Incompatibilità tra interpello e accertamento della residenza fiscale
L’impossibilità di proporre istanza di interpello per la verifica del Paese in cui collocare la residenza fiscale del contribuente, oltre ad essere evidenziata dall’Agenzia delle Entrate con le risposte sopra indicate, è stata ancor prima chiarita con la Circolare n. 9/E del 1° aprile 2016.
Con questa Circolare sono state fornite alcune delucidazioni in merito al D.Lgs. n. 156/2015 comprendente, tra le altre misure, la revisione della disciplina degli interpelli.
In particolare, nella Circolare si legge che: “l’interpello qualificatorio, al pari dell’interpello ordinario, non può comunque avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico. Non potrà, quindi, correttamente qualificarsi istanza di interpello quella tesa ad ottenere accertamenti di fatto” ovvero quelle fattispecie “in cui, più che rilevare l’aspetto qualificatorio, rilava il mero appuramento del fatto (c.d. accertamento di fatto)”.
In definitiva, atteso che le questioni relative all’accertamento della residenza fiscale dei contribuenti, ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. n. 917/1986, attengono a valutazioni di fatto, queste non possono essere risolte dall’Agenzia delle Entrate in risposta alle istanze di interpello.
Nel predetto contesto, le considerazioni in merito alla residenza fiscale sono rimesse ai contribuenti, i quali si ritrovano a dover valutare attentamente tutti gli elementi necessari ad allocare la propria residenza all’estero piuttosto che in Italia.
Dette analisi hanno un particolare peso, oltre che al fine di valutare l’obbligo di dichiarare anche in Italia i redditi prodotti all’estero, anche per definire l’applicabilità o meno dei benefici fiscali per il “rientro dei cervelli”, di cui all’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015.
In quest’ultimo caso, infatti, un’errata valutazione del requisito della residenza fiscale estera, potrebbe addirittura comportate il disconoscimento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’applicazione del regime fiscale di favore, con il recupero, attraverso avviso di accertamento, delle imposte ritenute evase per tutti gli anni di fruizione dell’agevolazione fiscale.
9. Rientro dei cervelli a seguito del distacco all’estero
Con riferimento alla posizione dei lavoratori distaccati all’estero e che rientrano in Italia, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente chiarito che D.Lgs. n. 147/2015 non disciplina esplicitamente la posizione del soggetto distaccato all’estero che rientri in Italia, a differenza di quanto previsto dall’articolo 3, comma 4, della legge 30 dicembre 2010, n. 238, concernente il regime di favore per i c.d. “controesodati”, che escludeva espressamente dal beneficio ogni forma di distacco.
In un primo momento il Fisco aveva ritenuto che i soggetti che rientrano in Italia dopo essere stati in distacco all’estero non possono fruire del beneficio di cui al citato articolo 16 in considerazione della situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia.
Poi l’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che tale posizione restrittiva, finalizzata ad evitare un uso strumentale dell’agevolazione in esame, non in linea con la vis attrattiva della norma, non preclude, tuttavia, la possibilità di valutare specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa.
Ciò si è ritenuto potersi verificare, ad esempio, nella ipotesi in cui:
- il contratto di distacco sia più volte prorogato e la sua durata nel tempo determini quindi un affievolimento dei legami con il territorio italiano e un effettivo radicamento del dipendente nel territorio estero;
- il rientro in Italia del dipendente non si ponga in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia, in quanto il dipendente al rientro assume un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario in ragione delle maggiori competenze ed esperienze professionali maturate all’estero.
Infatti, questi casi, in presenza di tutti gli elementi richiesti dalla norma, le peculiari condizioni di rientro dall’estero del dipendente risponderebbero alla ratio della norma, non precludono al lavoratore in posizione di distacco l’accesso al beneficio previsto per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) in Italia.
Pertanto, non spetta il beneficio fiscale in esame nell’ipotesi di distacco all’estero con successivo rientro, in presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro.
Diversamente, nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa svolta dall’impatriato costituisca una “nuova” attività lavorativa, in virtù della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, diverso dal contratto in essere in Italia prima del distacco, e quindi l’impatriato assuma un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario, lo stesso potrà accedere al beneficio a decorrere dal periodo di imposta in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia.
Ancora, l’Agenzia delle Entrate precisa che l’agevolazione non è applicabile nelle ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un “nuovo” contratto per l’assunzione di un “nuovo” ruolo aziendale al momento dell’impatrio, rientri in una situazione di “continuità” con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio.
Ciò accade, ad esempio, quando i termini e le condizioni contrattuali, indipendentemente dal “nuovo” ruolo aziendale e dalla relativa retribuzione, rimangono di fatto immutati al rientro presso il datore di lavoro in virtù di intese di varia natura, quali la sottoscrizione di clausole inserite nelle lettere di distacco ovvero negli accordi con cui viene conferito un nuovo incarico aziendale, dalle quali si evince che, sotto il profilo sostanziale, continuano ad applicarsi le originarie condizioni contrattuali in essere prima dell’espatrio.
A titolo meramente esemplificativo, costituiscono indice di una situazione di continuità sostanziale:
- il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
- il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
- l’assenza del periodo di prova;
- clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (ed eventuale quattordicesima) maturati nonché il trattamento di fine rapporto al momento della sottoscrizione del nuovo accordo;
- clausole in cui si prevede che alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della Società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la Società di appartenenza in vigore prima del distacco.
Diversamente, laddove le condizioni oggettive del nuovo contratto (prestazione di lavoro, termine, retribuzione) richiedano un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche cui segua un mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione e del titolo del rapporto, l’impatriato potrà accedere al beneficio fiscale in esame.
Nonostante i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, la questione del distacco rimane ancora molto delicata, con l’effetto che l’applicazione del regime di favore ai lavoratori che rientrano in Italia dopo essere stati distaccati all’estero deve essere sempre analizzata con cautela, onde non incorrere in violazioni fiscali derivanti dalla fruizione delle agevolazioni fiscali in questione in assenza dei presupposti di legge.
Occorre, quindi, valutare con cautela, nella precisa ipotesi in esame e alla luce di tutti i dettagli del caso concreto, anche l’opportunità di presentare un’istanza di interpello all’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia delle Entrate con una recente risposta (n. 42 del 2021), resa con riguardo ad ad un interpello presentato, con l’assistenza dello Studio ITAXA, proprio in materia di rientro di un lavoratore dopo il suo “distacco” all’estero, ha precisato che:
L’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (decreto
internazionalizzazione) ha introdotto il “regime speciale per lavoratori impatriati”. La
citata disposizione è stata oggetto di modifiche normative, operate dall’articolo 5 del
decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58), in
vigore dal 1° maggio 2019, che trovano applicazione, ai sensi del comma 2 del citato
articolo 5 del decreto legge n. 34 del 2019, come modificato dall’articolo 13-ter,
comma 1, del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito dalla legge 19
dicembre 2019, n. 157 «a partire dal periodo d’imposta in corso, ai soggetti che a
decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2
del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e risultano beneficiari del regime previsto
dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147».
Per fruire del trattamento di cui all’articolo 16 del decreto internazionalizzazione,
come modificato dal decreto crescita, è necessario, ai sensi del comma 1, che il
lavoratore:
a) trasferisca la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del
TUIR;
b) non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al
trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
c) svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
In base al successivo comma 2, il cui contenuto è rimasto immutato rispetto alla
versione dell’articolo 16 in vigore fino al 30 aprile 2019, sono destinatari del beneficio
fiscale in esame, inoltre, i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il
quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo
sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:
a) sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto
“continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa
fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
b) abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia
negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post
lauream.
L’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a
decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai
sensi dell’articolo 2 del TUIR, e per i quattro periodi di imposta successivi (cfr.
articolo 16, comma 3, decreto legislativo n. 147 del 2015).
Per accedere al regime speciale, il citato articolo 16 presuppone, inoltre, che il
soggetto non sia stato residente in Italia per due periodi di imposta precedenti il
rientro.
In relazione alle modifiche normative che hanno ridisegnato il perimetro di
applicazione del suddetto regime agevolativo a partire dal periodo di imposta 2019,
con particolare riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi per accedere
all’agevolazione, ai presupposti per accedere all’ulteriore quinquennio agevolabile,
all’ambito temporale di applicazione della sopra richiamata disposizione, alle
modifiche normative concernenti il requisito dell’iscrizione all’anagrafe degli Italiani
residenti all’estero (c.d. AIRE) per fruire dell’agevolazione fiscale in esame sono stati
forniti puntuali chiarimenti con circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020, cui si rinvia
per una completa disamina degli aspetti di carattere generale della normativa in esame.
Con riferimento, in particolare, ai contribuenti che rientrano a seguito di distacco
all’estero, la recente circolare 33/E (par. 7.1) precisa, tra l’altro, che “non spetta il
beneficio fiscale in esame nell’ipotesi di distacco all’estero con successivo rientro, in
presenza del medesimo contratto e presso il medesimo datore di lavoro. Diversamente,
nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa svolta dall’impatriato costituisca una “nuova”
attività lavorativa, in virtù della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro,
diverso dal contratto in essere in Italia prima del distacco, e quindi l’impatriato
assuma un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario, lo stesso potrà
accedere al beneficio a decorrere dal periodo di imposta in cui ha trasferito la
residenza fiscale in Italia. Al riguardo, si precisa che l’agevolazione non è applicabile
nelle ipotesi in cui il soggetto, pur in presenza di un “nuovo” contratto per
l’assunzione di un “nuovo” ruolo aziendale al momento dell’impatrio, rientri in una
situazione di “continuità” con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio
dello Stato prima dell’espatrio.
Ciò accade, ad esempio, quando i termini e le condizioni contrattuali,
indipendentemente dal “nuovo” ruolo aziendale e dalla relativa retribuzione,
rimangono di fatto immutati al rientro presso il datore di lavoro in virtù di intese di
varia natura, quali la sottoscrizione di clausole inserite nelle lettere di distacco ovvero
negli accordi con cui viene conferito un nuovo incarico aziendale, dalle quali si evince
che, sotto il profilo sostanziale, continuano ad applicarsi le originarie condizioni
contrattuali in essere prima dell’espatrio.
A titolo meramente esemplificativo, costituiscono indice di una situazione di
continuità sostanziale:
– il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
– il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
– l’assenza del periodo di prova;
– clausole volte a non liquidare i ratei di tredicesima (ed eventuale
quattordicesima) maturati nonché il trattamento di fine rapporto al momento della
sottoscrizione del nuovo accordo;
– clausole in cui si prevede che alla fine del distacco, il distaccato sarà
reinserito nell’ambito dell’organizzazione della Società distaccante e torneranno ad
applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la Società di appartenenza in
vigore prima del distacco.
Diversamente, laddove le condizioni oggettive del nuovo contratto (prestazione
di lavoro, termine, retribuzione) richiedano un nuovo rapporto obbligatorio in
sostituzione di quello precedente, con nuove ed autonome situazioni giuridiche cui
segua un mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione e del titolo del
rapporto, l’impatriato potrà accedere al beneficio fiscale in esame”.
Con riferimento al caso di specie, si ritiene che l’Istante potrebbe fruire del
regime agevolato di cui all’articolo 16 in commento a decorrere dall’anno di imposta
2021 solo nell’ipotesi in cui la “nuova” attività lavorativa non si ponga in continuità
con la precedente posizione lavorativa, nell’accezione delineata nella richiamata
circolare, circostanza non verificabile in sede di interpello e non oggetto di controllo in
questa sede, e sempreché risultino soddisfatti tutti gli altri requisiti previsti dalla norma
in esame.
Resta fermo che la verifica della sussistenza dei presupposti per stabilire
l’effettiva residenza fiscale di un soggetto riguarda elementi di fatto che, come
precisato con circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, non possono essere oggetto di istanza
di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati,
assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto
della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
Ciò conferma che, nelle ipotesi di “distacco“, è fortemente consigliato valutare con estrema attenzione la posizione del contribuente, il che richiede l’assistenza di un professionista.
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10. Rientro dei cervelli e lavoro subordinato svolto a bordo di navi ed aeromobili in traffico internazionale
Con riferimento al lavoro subordinato svolto a bordo di navi ed aeromobili in traffico internazionale, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che l’applicazione del regime agevolativo per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) in Italia, richiede, tra l’altro, che l’attività lavorativa sia prestata “prevalentemente” nel territorio italiano.
Detto requisito deve essere verificato in relazione a ciascun periodo d’imposta e risulta soddisfatta se l’attività lavorativa è prestata nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno. Nel computo dei 183 giorni rientrano non solo i giorni lavorativi ma anche le ferie, le festività, i riposi settimanali e altri giorni non lavorativi. Non possono essere, invece, computati i giorni di trasferta di durata superiore a 183 giorni, o il distacco all’estero, essendo l’attività lavorativa prestata fuori dal territorio dello Stato. Il lavoratore, qualora non rispetti il predetto requisito temporale, pur essendo fiscalmente residente in Italia, non potrà fruire del beneficio sul reddito prodotto nel territorio dello Stato per tale periodo di imposta, che sarà quindi ordinariamente assoggettato a tassazione sull’intera base imponibile.
Qualora l’attività lavorativa risulti prevalentemente prestata in Italia, i redditi agevolabili possono comprendere anche le somme corrisposte per l’attività di lavoro prestata in trasferta all’estero, naturalmente se di durata inferiore a 183 giorni nel periodo d’imposta.
Restano esclusi, invece, dal regime agevolativo i redditi prodotti all’estero, per individuare i quali si rinvia ai criteri di collegamento con il territorio dello Stato previsti dall’articolo 23 del TUIR, il quale considera prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo se prestati nel territorio dello Stato, anche se remunerati da un soggetto estero.
Per cui, nelle ipotesi di lavoro subordinato svolto a bordo di navi ed aeromobili in traffico internazionale, il Fisco ha ritenuto che il suddetto requisito sia integrato nelle ipotesi in cui l’attività lavorativa sia prestata nel territorio dello Stato italiano, ovvero svolta su tratte aeree nazionali o a terra sul territorio italiano, per un periodo pari o superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno.
Ne consegue che, qualora l’attività lavorativa non sia stata prestata dall’impatriato, che svolge la suddetta attività lavorativa, prevalentemente nel territorio italiano, l’accesso al regime agevolativo in esame deve considerarsi precluso in assenza di uno dei requisiti previsti. Diversamente, se l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano, nell’accezione sopra delineata, in presenza anche degli altri requisiti di legge, l’impatriato può essere ammesso al regime agevolativo in esame, mentre restano esclusi dal regime agevolativo i redditi prodotti all’estero.
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11. Rientro dei cervelli e conseguimento del titolo dopo il periodo di ventiquattro mesi
L’Amministrazione finanziaria ha osservato, ancora, come per i soggetti in possesso di laurea, ai fini del riscontro del requisito relativo all’attività di studio o lavoro svolta all’estero in modo continuativo negli ultimi ventiquattro mesi, non si deve necessariamente fare riferimento all’attività svolta nei due anni immediatamente precedenti il rientro, essendo sufficiente che l’interessato abbia svolto all’estero un’attività di lavoro per un periodo minimo e ininterrotto di almeno ventiquattro mesi o, in caso di attività di studio, che il soggetto consegua la laurea o altro titolo accademico post lauream aventi durata di almeno due anni accademici.
Al riguardo, viene altresì chiarito che in presenza di tutti gli altri requisiti previsti dalla norma, l’impatriato può accedere al beneficio in commento anche nell’ipotesi in cui il mero “conseguimento” del titolo di studio si verifichi successivamente al completamento del suddetto periodo di ventiquattro mesi (ovvero dei due anni accademici).
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12. Rientro dei cervelli e datore di lavoro non residente
Nella precedente versione della normativa in materia di agevolazioni per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) in Italia, vieniva richiesto, tra le altre condizioni, che l’impatriato svolgesse l’attività lavorativa presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllassero la medesima, ne fossero controllate o fossero controllate dalla stessa società che controllava l’impresa. Questo requisito non è più richiesto ai fini dell’accesso al regime agevolativo come modificato dal Decreto Crescita.
Secondo il Fisco, in presenza di tutti i requisiti previsti dalla norma agevolativa attuale, possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti).
Analogamente, nell’ipotesi in cui gli impatriati, precedentemente assunti presso sedi secondarie ubicate in diversi Paesi in cui opera il datore di lavoro estero non residente, vengano a svolgere la loro attività lavorativa presso la sede secondaria italiana del medesimo datore di lavoro, possono accedere al regime fiscale in commento, non essendoci preclusioni in tal senso nella norma.
Il lavoratore impatriato, peraltro, potrebbe configurare una stabile organizzazione nel territorio dello Stato del datore di lavoro non residente, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dall’Italia, ove esistente, o ai sensi dell’articolo 162 del TUIR. In tal caso, il regime in commento non si estende al reddito d’impresa imputabile al datore di lavoro estero, che sarà, pertanto, assoggettato a tassazione ordinaria.
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13. Rientro dei cervelli e configurazione della Stabile Organizzazione della società estera in Italia
Bisogna notare come la circostanza che un lavoratore rientri in Italia, beneficiando delle agevolazioni per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati), lavorando per un datore di lavoro (es. società) estero, potrebbe esporre quest’ultimo ad alcuni rischi fiscali in termini di configurazione di una stabile organizzazione in Italia attraverso il lavoro ivi svolto dal proprio dipendente.
Come sottolineato dall’Agenzia delle Entrate, infatti, in tale ipotesi il datore di lavoro non residente potrebbe configurare una stabile organizzazione nel territorio dello Stato del datore di lavoro non residente, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa dall’Italia, ove esistente, o ai sensi dell’articolo 162 del TUIR.
Nel caso di configurazione di una stabile organizzazione in Italia del soggetto qui non residente, il regime per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) non troverebbe applicazione ai redditi d’impresa prodotti in Italia dall’impresa estera, che quindi sarebbero assoggettati a tassazione in Italia in misura ordinaria.
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14. Rientro dei cervelli: funzionari e agenti dell’Unione europea
Nell’ambito dell’applicazione delle agevolazioni fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) particolari problematiche si sono riscontrate con riferimento alla posizione dei funzionari e agenti dell’Unione europea, in ragione del particolare regime di residenza che li riguarda.
Più precisamente, come anche osservato dall’Agenzia delle Entrate, l’articolo 13 del Protocollo n. 7 sui privilegi e sulle immunità dell’Unione Europea prevede che “Ai fini dell’applicazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio, dei diritti di successione, nonché delle convenzioni concluse fra gli Stati membri dell’Unione al fine di evitare le doppie imposizioni, i funzionari e gli altri agenti dell’Unione, i quali, in ragione esclusivamente dell’esercizio delle loro funzioni al servizio dell’Unione, stabiliscono la loro residenza sul territorio di uno Stato membro diverso dal paese ove avevano il domicilio fiscale al momento dell’entrata in servizio presso l’Unione, sono considerati, sia nello Stato di residenza che nello Stato del domicilio fiscale, come tuttora domiciliati in quest’ultimo Stato qualora esso sia membro dell’Unione. Tale disposizione si applica ugualmente al coniuge, sempreché non eserciti una propria attività professionale, nonché ai figli ed ai minori a carico delle persone indicate nel presente articolo e in loro custodia”.
Sulla scorta della suddetta norma, i cittadini italiani fiscalmente residenti in Italia ai quali – in qualità di funzionari e altri agenti dell’Unione europea – si applica il citato articolo 13, sono considerati ex lege fiscalmente residenti in Italia, anche nelle ipotesi in cui siano in possesso del requisito formale dell’iscrizione all’AIRE nei due periodi di imposta precedenti il rimpatrio.
Di qui ne consegue che l’accesso al regime agevolativo per gli stessi, in carenza di uno dei presupposti richiesti dalla norma, deve considerarsi precluso.
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15. Rientro dei cervelli e redditi derivanti da cessione di diritti d’autore
L’Amministrazione finanziaria è intervenuta anche a chiarire la modalità di applicazione degli incentivi in questione ai redditi derivanti dalla cessione dei diritti d’autore.
Premesso che la normativa per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) considera agevolabili, tra gli altri, i redditi di lavoro autonomo, il Fisco ricorda che l’articolo 53 del TUIR, rubricato «Redditi di Lavoro autonomo», elenca in modo tassativo alcune attività che, pur derivanti da fattispecie reddituali eterogenee, presentano i caratteri della sostanziale autonomia nello svolgimento dell’attività e la natura intellettuale o comunque legata a capacità personali della medesima attività, che danno luogo agli altri redditi di lavoro autonomo, tra i quali vi sono i c.d. “diritti di autore”.
Questi sono i redditi derivanti dalla utilizzazione economica di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, di cui all’art. 53, comma 2, lett. b), del TUIR. 32.
I predetti redditi sono, quindi, configurabili come redditi di lavoro autonomo se l’utilizzazione economica dell’opera, sia effettuata dall’autore o inventore (diversamente rientrano nei redditi diversi31, se sono conseguiti al di fuori dell’esercizio di un’impresa commerciale).
Su queste basi, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che detti redditi siano agevolabili, al pari di quelli di cui al comma 1 dell’articolo 53 del TUIR, se derivanti dall’esercizio di arti e professioni, non essendovi preclusioni in tal senso nelle disposizioni riguardanti le agevolazioni per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati).
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16. Rientro dei cervelli e trattamento degli emolumenti variabili percepiti nel periodo di imposta di acquisizione della residenza fiscale in Italia, riferibili a precedenti periodi di imposta
Secondo il Fisco, le agevolazioni fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) non possono trovare applicazione con riferimento agli emolumenti percepiti nei periodi d’imposta in cui l’impatriato ha acquisito la residenza fiscale in Italia, ma che si riferiscono a prestazioni lavorative svolte in periodi d’imposta precedenti al rientro, durante i quali è fiscalmente residente all’estero.
Indipendentemente dal luogo in cui la prestazione lavorativa è stata resa nei periodi di imposta antecedenti il rimpatrio, ciò che rileverebbe, infatti, è la ratio della norma di favore volta ad agevolare i redditi prodotti in Italia successivamente al rientro nel territorio dello Stato.
D’altra parte, in base al criterio ordinario di tassazione su base mondiale in virtù della residenza fiscale nel territorio dello Stato, tutti gli emolumenti variabili, percepiti nei periodi d’imposta in cui l’impatriato è fiscalmente residente in Italia, sono qui soggetti ad imposizione, ancorché gli stessi si riferiscano a prestazioni lavorative svolte mentre lo stesso era residente all’estero.
Tali emolumenti, pertanto, sono assoggettati a imposizione ordinaria in Italia, senza fruire dell’agevolazione in commento, fatta salva la concessione del credito per le imposte pagate all’estero, al ricorrere delle condizioni di cui all’articolo 165 del TUIR, per risolvere l’eventuale doppia imposizione.
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17. Rientro dei cervelli e bonus maturato nell’ultimo anno di fruizione del regime agevolato degli impatriati ma percepito in annualità successive
L’Amministrazione finanziaria ha osservato che le remunerazioni sotto forma di bonus annuale sono riconducibili alla categoria dei redditi di lavoro dipendente, prevista dall’articolo 49 del TUIR e disciplinata dal successivo articolo 51 del TUIR. Tali redditi sono costituiti, oltre che dalle somme, anche da “i valori in genere, a qualunque titolo percepiti, nel periodo d’imposta (…) in relazione al rapporto di lavoro”.
Considerato che per il reddito di lavoro dipendente vale il principio di cassa, in base al quale detto reddito assume rilevanza fiscale al momento della percezione dei compensi, siano essi in denaro o in natura, il Fisco ne ha fatto conseguire che, qualora il suddetto bonus venga erogato in un periodo di imposta in cui l’impatriato è fuoriuscito dal regime agevolativo, concorrerà alla formazione del reddito complessivo secondo le regole ordinarie, e non potrà di conseguenza godere del regime agevolato per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati).
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18. Rientro dei cervelli e contribuenti che rientrano a seguito di aspettativa non retribuita
L’Agenzia delle Entrate si è occupata anche dell’applicabilità degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) ai contribuenti che rientrano in Italia a seguito di aspettativa non retribuita.
Sul punto è stato osservato che l’aspettativa non retribuita, richiesta dal lavoratore e concessa dal datore di lavoro, è causa di sospensione del rapporto di lavoro dipendente per uno o più periodi, se goduta in modo frazionato, già determinati dall’inizio della sospensione stessa.
Nel periodo di sospensione il dipendente conserva il diritto al posto di lavoro e, di regola, il rientro avviene in continuità con la precedente posizione lavorativa assunta prima dell’espatrio, con la conseguenza che il contribuente viene reintegrato con lo stesso inquadramento professionale ed alle medesime condizioni contrattuali in essere prima dell’espatrio.
In considerazione dei meri effetti sospensivi che l’istituto della aspettativa non retribuita produce sul rapporto di lavoro, il Fisco ha ritenuto che il rientro in Italia al termine del periodo di aspettativa, con conseguente prosecuzione del rapporto di lavoro “sospeso” durante tale periodo, non sia in linea con la vis attrattiva sottesa agli incentivi per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati), in quanto la posizione lavorativa assunta dal lavoratore al rientro si pone in “continuità” con quella precedente al trasferimento all’estero, in considerazione del medesimo datore di lavoro e delle medesime condizioni contrattuali. Pertanto, ai contribuenti che rientrano a seguito di aspettativa non retribuita è precluso l’accesso al regime fiscale per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati).
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19. Rientro dei cervelli e lavoro in smart working in Italia
Per effetto delle restrizioni alla movimentazione delle persone, introdotte a seguito della pandemia da Covid-19, risulta sempre più frequente che i lavoratori dipendenti si trovino a lavorare in un luogo diverso da quello in cui ha sede il loro datore di lavoro, attraverso la modalità di lavoro “smart working“ o “da remoto” o ” a distanza”.
In presenza di un lavoratore che operi in smart working e che voglia anche beneficiare deli incentivi per il “rientro dei cervelli“, la valutazione circa la spettanza delle agevolazioni fiscali devono essere ancora più delicate, dal momento che l’ampia diffusione di tale modalità di lavoro non era stata prevista al momento del concepimento della normativa di favore in questione.
E, infatti, la modalità di lavoro in smart working può riguardare diverse categorie di lavoratori, quali:
- lavoratori che si trasferiscono a lavorare in smart working in Italia in prosecuzione di un contratto di lavoro precedentemente sottoscritto con un datore di lavoro straniero con sede in un Paese estero in cui precedentemente si trovavano a vivere e a lavorare;
- lavoratori che si trasferiscono in Italia per lavorare in smart working alle dipendenze di un nuovo datore di lavoro straniero;
- lavoratori che si trasferiscono in Italia per lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro italiano che ha la propria sede operativa in una regione diversa da quella in cui il lavoratore è venuto a vivere;
- lavoratori che, pur avendo trasferito la propria residenza fiscale in Italia ed essendo stati assunti da un datore di lavoro italiano, svolgano in tutto o in parte la propria attività lavorativa in smart working all’estero;
- altri casi più o meno simili ai predetti, in cui v’è discordanza tra il luogo in cui il contribuente lavora in smart working e il luogo/Paese in cui ha sede il datore di lavoro italiano/estero.
Ebbene tali casi non possono essere risolti secondo una ipotetica regola generale, poiché ognuno ha le sue particolarità le quali devono essere necessariamente soppesate per addivenire ad una soluzione precisamente adatta all’ipotesi concreta sotto esame.
L’attenzione ai dettagli di questi casi è fondamentale, perché la mancata considerazione di alcuni elementi può determinare sia la errata applicazione o non applicazione degli incentivi per il “rientro dei cervelli” sia la errata individuazione della misura degli incentivi applicati, come ad esempio nel caso in cui vengano coinvolte le questioni relative alla spettanza del maggior beneficio per i lavoratori che si trasferiscono nel Mezzogiorno d’Italia.
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20. Rientro dei cervelli e abuso del diritto
Alla luce della disciplina delle agevolazioni per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) sopra descritta, appare chiaro che l’applicazione dell’incentivo fiscale non può mai essere operata tenendo conto della sola ed esclusiva lettura delle relative disposizioni normative.
Infatti, numerosi sono i casi in cui, lo si ripete, situazioni che apparentemente risultano meritevoli di applicazione degli incentivi fiscali alla luce della semplice lettura della norma, si rivelano non idonee a tale scopo alla luce dell’interpretazione operata dall’Agenzia delle Entrate delle medesime disposizioni in ragione del relativo scopo.
Tale impostazione diventa ancor più importante se si considera la presenza nel nostro ordinamento di una clausola generale c.d. antiabuso, contenuta nell’art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212/2000), secondo il cui comma 1: “Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.
Tale clausola c.d. antiabuso, in pratica, autorizza l’Agenzia delle Entrate a negare l’applicazione degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” e per i “lavoratori impatriati“ nelle ipotesi in cui, seppure l’agevolazione fiscale appaia idonea al contribuente sulla base del semplice testo della normativa in questione, il vantaggio che ne deriverebbe sarebbe da considerarsi “indebito”, perché derivante da un uso improprio delle disposizioni fiscali, vale a dire al di là del loro scopo genuino e in assenza di reali obiettivi non fiscali.
L’Amministrazione finanziaria ha già dimostrato di poter fare uso della teoria dell’abuso del diritto, precisamente allo scopo di negare l’applicazione degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati), da ultimo con la Risposta ad interpello n. 407/2021.
In particolare, il Fisco si è espresso con riferimento ad un’operazione attraverso cui un contribuente, rientrato in Italia, aveva intenzione di costituire una S.R.L. Unipersonale, al fine di limitare la propria responsabilità patrimoniale nello svolgimento di attività di consulenza, di cui avrebbe assunto la qualifica di amministratore unico, percependo un compenso pari all’85% degli utili derivanti dall’attività d’impresa.
Sulla questione, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato, in primo luogo, che i compensi percepiti come amministratore erano da considerarsi come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, per cui gli stessi, in linea teorica, erano assoggettabili al regime fiscale per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati), il quale, invece, sarebbe stato escluso per i redditi derivanti dalla partecipazione a società commerciali e redditi di capitale.
Tuttavia, è stato osservato come l’entità del compenso, quale reddito assimilato al lavoro dipendente, è aleatoria e variabile poiché dipenderebbe esclusivamente dai risultati economici della società di cui l’amministratore è al contempo l’unico socio che, in tale veste, dovrebbe invece veder remunerato il capitale investito sotto forma di partecipazione agli utili.
Il compenso sarebbe stato, inoltre, determinato in assenza di un vincolo di subordinazione dell’amministratore unico e/o assoggettamento all’altrui potere direttivo, nonché in mancanza, in relazione all’attività gestoria, di una volontà distinta rispetto a quella esprimibile dall’organo societario.
Per questa via, il Fisco è giunto a ritenere che l’articolata serie di operazioni prospettata avrebbe consentito al contribuente di veicolare la maggior parte degli utili prodotti dalla società sotto forma di corrispettivo per i servizi amministrativi (e per la parte residua sotto forma di utili, se distribuiti), e quindi come reddito assimilato al lavoro dipendente al mero fine di consentire l’accesso alla tassazione ridotta prevista dal regime agevolato dei “lavoratori impatriati“.
Secondo l’Agenzia delle Entrate la tassazione ridotta, così ottenuta, si sarebbe tradotta in un vantaggio fiscale, derivante dal cospicuo abbattimento dell’imponibile fiscale su cui applicare le aliquote progressive IRPEF (abbattimento pari al 70%), rispetto alla ritenuta a titolo di imposta del 26% applicata all’intero ammontare dei redditi di capitale.
Proprio per tale motivo, il vantaggio è stato qualificato come indebito, poiché avrebbe tradito, attraverso la preordinata costituzione delle condizioni di accesso, lo scopo sotteso alla normativa agevolativa, la cui applicazione è esclusa per i redditi di capitale.
Altresì, secondo il Fisco l’operazione descritta sarebbe stata priva di sostanza economica in quanto inidonea a produrre effetti significativi derivanti dal descritto vantaggio fiscale.
Per quanto non sia stata sindacata la scelta imprenditoriale volta alla costituzione di una struttura societaria per la realizzazione dell’obiettivo economico dello svolgimento dell’attività di consulenza, il perseguimento dello stesso, a parere dell’Agenzia delle Entrate, avrebbe provocato la sottrazione della maggior parte degli utili al regime fiscale proprio.
Infatti, l’operazione prospettata non sarebbe stata coerente con le normali logiche di mercato, ma appariva idonea unicamente a fare conseguire un vantaggio fiscale indebito al socio unico che intendeva proseguire l’attività in forma societaria.
Si è ritenuto, quindi, che il vantaggio fiscale derivante dall’applicazione delle agevolazioni per i “lavoratori impatriati“ sarebbe risultato essenziale, poiché la specifica sequenza di operazioni che si intendevano porre in essere non sarebbe risultata diretta al soddisfacimento di un interesse economico diverso dal perseguimento del vantaggio fiscale stesso.
Per cui, non essendo state rilevate delle valide “ragioni extrafiscali non marginali” anche di ordine organizzativo o gestionale, atte a giustificare l’operazione prospettata, diverse dall’aspettativa del risparmio fiscale, il disegno prospettato dal contribuente è stato giudicato rispondere fondatamente al suo obiettivo personalistico consistente nell’abbattimento del carico tributario, più che agli scopi perseguiti dalla legge.
In altri e più chiari termini, qualora l’applicazione degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) costituisce l’unico obiettivo del contribuente, in mancanza di ragioni extra fiscali non marginali, l’Agenzia delle Entrate sarebbe autorizzata a negare l’applicazione delle agevolazioni fiscali.
Per cui, è importante precisare che l’ipotesi di abuso del diritto si riscontrerebbe non solo nei casi simili a quello evidenziato nell’interpello sopra descritto, ma in tutti i casi, anche diversi, in cui vi sia la fruizione di un vantaggio fiscale indebito.
Proprio per tale motivo, è sempre importante procedere ad una approfondita analisi delle ragioni che hanno portato il contribuente ad optare per gli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati), onde evitare che l’applicazione di questi ultimi venga successivamente contestato dall’Agenzia delle Entrate in applicazione della teoria dell’abuso del diritto (riconducibile alla clausola generale c.d. antiabuso).
Inoltre, come già osservato, residuano numerose eccezioni, limiti, deroghe e casi di non applicabilità degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” che, per sintesi di trattazione, non sono stati sopra riportati e che, nel caso concreto, potrebbero spingere l’Agenzia delle Entrate comunque a negare l’agevolazione fiscale.
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21. Rientro dei cervelli 2023: agevolazioni per TFR e indennità
Recentemente l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di confermare che l’agevolazione per il “rientro dei cervelli” trovi applicazione anche alle somme corrisposte al lavoratore a titolo di trattamento di fine rapporto (TFR) e altre indennità o somme percepite da quest’ultimo in presenza dei presupposti di cui alla normativa sugli incentivi in questione.
Tuttavia, dal momento che detta tipologia di redditi vengono tassati separatamente (art. 17, comma 1, lett. a), del TUIR), l’incentivo fiscale non può essere applicato direttamente al datore di lavoro in busta paga sulla base della richiesta formulata dal lavoratore, dovendosi invece procedere attraverso la riliquidazione del tributo da parte dell’Ufficio a seguito di richiesta dell’interessato.
Non può essere escluso che il Fisco, in sede di riliquidazione dell’imposta, proceda ad applicare la tassazione ordinaria invece dell’aliquota media del quinquennio, se questa imposizione risultasse più favorevole al contribuente (art. 17, comma 3, del TUIR).
Per cui, una volta ricevuta la comunicazione con gli esiti della liquidazione dell’imposta sui redditi sottoposti a tassazione separata, l’interessato avrà l’onere di rivolgersi all’Agenzia delle Entrate per ottenere la modifica della riliquidazione per far confluire detti redditi al reddito complessivo dell’anno di riferimento.
Considerato che, in questa procedura, l’Ufficio procede anche alla verifica dei presupposti per l’applicazione del regime fiscale per il “rientro dei cervelli”, è consigliabile che la pratica venga svolta con l’assistenza di un professionista.
22. Rientro dei cervelli 2023: calcolo risparmio fiscale e stipendio netto
Per quanto concerne il risparmio fiscale derivante dall’applicazione degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati), bisogna notare che esso cambia a seconda che il contribuente opti per il regime con abbattimento dell’imponibile del 70% (ordinario) oppure per quello del 90% (es. in caso di trasferimento della residenza in un Comune del Centro-Sud d’Italia).
Da tale punto di vista, possiamo sviluppare degli esempi di risparmio fiscale, partendo da diversi imponibili fiscali IRPEF, calcolando il risparmio fiscale (ai fini IRPEF) per le due misure di incentivo.
a. Imponibile fiscale IRPEF di euro 50.000:
- abbattimento dell’imponibile del 70%: risparmio fiscale di (circa*) euro 12.333,00; reddito netto di (circa*) euro 48.114,00;
- abbattimento dell’imponibile del 90%: risparmio fiscale di (circa*) euro 14.219,00; reddito netto di (circa*) euro 50.000,00;
b. Imponibile fiscale IRPEF di euro 100.000:
- abbattimento dell’imponibile del 70%: risparmio fiscale di (circa*) euro 29.086,00; reddito netto di (circa*) euro 93.186,00;
- abbattimento dell’imponibile del 90%: risparmio fiscale di (circa*) euro 35.390,00; reddito netto di (circa*) euro 99.490,00;
c. Imponibile fiscale IRPEF di euro 150.000:
- abbattimento dell’imponibile del 70%: risparmio fiscale di (circa*) euro 45.112,00; reddito netto di (circa*) euro 137.712,00;
- abbattimento dell’imponibile del 90%: risparmio fiscale di (circa*) euro 55.514,00; reddito netto di (circa*) euro 148.114,00.
* Per un calcolo preciso bisogna necessariamente tenere conto del Comune e della Regione di appartenenza del contribuente, per determinare anche le relative Addizionali Regionali e Comunali (che non vengono contemplate nel calcolo), nonché delle sue ulteriori specifiche condizioni personali.
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23. Il recupero con istanza di rimborso dell’agevolazione non fruita negli anni precedenti: vittoria in giudizio dello Studio ITAXA
Con Sentenza 24 maggio 2023, n. 1910, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano, accogliendo il ricorso presentato dallo Studio ITAXA a favore di un proprio cliente, ha condannato l’Agenzia delle Entrate al pagamento di una somma di oltre euro 120.000,00 a favore del contribuente, in ragione del recupero a RIMBORSO delle agevolazioni per il “rientro dei cervelli” che questi non aveva usufruito negli ultimi 5 anni, nonostante l’interessato avesse precedentemente ricevuto una risposta ad interpello negativa da parte del Fisco in merito all’applicabilità degli incentivi fiscali al suo preciso caso.
In pratica, ripercorrendo lo sviluppo dei fatti, il contribuente:
- era rientrato a Milano, sebbene anche a seguito di un periodo di “distacco” all’estero;
- aveva proposto un’ISTANZA DI INTERPELLO all’Agenzia delle Entrate circa l’applicabilità al suo caso degli incentivi in questione, ricevendo una RISPOSTA NEGATIVA, vale a dire il Fisco VIETAVA al contribuente di applicare le agevolazioni fiscali per il “rientro dei cervelli”;
- non aveva richiesto al proprio datore di lavoro italiano di usufruire in busta paga degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli”, non seguendo, quindi, le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate;
- non aveva applicato gli incentivi fiscali in questione nella propria dichiarazione fiscale, quindi non ne aveva esercitato la relativa opzione secondo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate;
- con l’assistenza dello Studio ITAXA, ha proceduto a richiedere all’Agenzia delle Entrate, con istanza puntualmente motivata in fatto e in diritto, nonché adeguatamente documentata, il rimborso delle maggiori imposte versate in Italia, considerata la spettanza delle agevolazioni fiscali per i 5 anni precedenti, per un importo superiore a euro 120.000;
- vista la mancata risposta dell’Agenzia delle Entrate, ha proceduto attraverso lo Studio ITAXA ad intraprendere un contenzioso tributario, contro l’Agenzia delle Entrate, davanti alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano, al fine di ottenere la condanna del Fisco al pagamento delle somme ritenute spettanti a titolo di rimborso.
Ebbene, pronunciandosi sulla causa, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano, con la Sentenza 24 maggio 2023, n. 1910, ha ritenuto che:
- nel giudizio tributario, coltivato dallo Studio ITAXA, siano stati dimostrati tutti i presupposti per l’applicazione dell’agevolazione fiscale al contribuente;
- la circostanza che il contribuente avesse lavorato anche in regime di “distacco” all’estero, nel preciso caso di specie, non impediva l’applicazione dei benefici fiscali;
- la mancata richiesta dell’agevolazione in busta paga al datore di lavoro e l’omesso esercizio della relativa opzione nella dichiarazione fiscale relativa ai singoli anni in questione, non impediva all’interessato di accedere alle agevolazioni fiscali in esame.
Per l’effetto, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano ha accolto il ricorso dello Studio ITAXA, condannando il Fisco al pagamento di oltre euro 120.000 a favore del contribuente.
Il predetto risultato dello Studio ITAXA apre, ancor di più, la strada al recupero dell’agevolazione per il “rientro dei cervelli”, con il rimborso delle relative imposte, a favore dei contribuenti che, pur avendone i requisiti, non l’abbiano applicata perché non ne avevano conoscenza al momento del rientro in Italia oppure perché ritenevano di non rientrarvi per una errata valutazione iniziale.
Chiaramente, il contribuente che intendesse intraprendere tale strada è tenuto a considerare che:
- una procedura di rimborso non eseguita correttamente, giustifica il rigetto della domanda di rimborso da parte dell’Agenzia delle Entrate e rende non più possibile rivendicare il diritto al rimborso nel giudizio tributario;
- la errata articolazione dei motivi di ricorso da parte del contribuente, in sede di impugnazione nel giudizio tributario del rigetto del rimborso operato dall’Agenzia delle Entrate, comporta il rigetto del relativo ricorso e la condanna del contribuente, da parte del Giudice tributario, al pagamento delle spese del giudizio a favore dell’Agenzia delle Entrate.
Per tali precisi motivi, lo Studio ITAXA offre assistenza tecnico-professionale ai contribuenti, in situazioni simili a quella sopra descritta (essere legittimati ad applicare gli incentivi fiscali in questione, ma non averne usufruito per gli anni pregressi), per far valere, davanti all’Agenzia delle Entrate ed, eventualmente, anche nel giudizio tributario, il proprio diritto al rimborso delle maggiori imposte non dovute in virtù dell’applicazione degli incentivi per il “rientro dei cervelli” (“lavoratori impatriati”, “ricercatori” e “docenti”).
24. L’accertamento dell’Agenzia delle Entrate sugli incentivi fiscali per il rientro dei cervelli
Nelle ipotesi in cui il contribuente abbia fatto applicazione delle agevolazioni fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) in ipotesi che, pur essendo riconducibili formalmente alla normativa in questione, non potevano beneficiarne alla luce dell’interpretazione delle disposizioni fornita dal Fisco oppure a causa di ipotesi di c.d. abuso del diritto, l’Agenzia delle Entrate procede al recupero delle imposte non versate dall’interessato nonché ad applicare le sanzioni e gli interessi conseguenziali.
Il contribuente potrebbe pensare che, qualora gli incentivi fiscali in questione non fossero applicabili al suo caso, l’Amministrazione finanziaria procederebbe a comunicargli tempestivamente la circostanza, in modo da evitare che le violazioni possano cumularsi negli anni. Tuttavia così non è.
Infatti, l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate sulla spettanza degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” (lavoratori impatriati) potrebbe arrivare anche a distanza di 5 anni, cosicché la negazione degli incentivi farebbe scattare il recupero delle imposte risparmiate in ragione dell’agevolazione fiscale e l’applicazione di sanzioni e interessi per tutti gli anni nel frattempo decorsi, nonostante il contribuente abbia (erroneamente) confidato di aver fatto corretta applicazione del regime fiscale di favore.
Proprio perché l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate sulla spettanza delle agevolazioni potrebbe intervenire a distanza di anni, è preferibile che il contribuente si accerti in anticipo della corretta applicazione degli incentivi, anche al fine di precostituirsi le ragioni giuridiche e la documentazione da rappresentare al Fisco nell’ipotesi di un controllo fiscale.
D’altra parte, qualora l’Agenzia delle Entrate abbia proceduto a negare gli incentivi fiscali con atto di accertamento notificato al contribuente, risulta fondamentale comprendere se tale atto sia o meno legittimo e valutarne l’impugnazione davanti alla Corte di Giustizia Tributaria che dovrà, in ogni caso, essere fondata su ragioni giuridiche ineccepibili, onde evitare il rigetto del ricorso e la condanna del contribuente al pagamento delle spese del giudizio.
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25. Attenzione ai particolari del caso concreto
Per quanto la disciplina relativa alle agevolazioni per il “rientro dei cervelli” possa apparire di agevole comprensione, le cose non sono sempre così chiare nella prassi, laddove ogni situazione potrebbe avere le sue particolarità che interagiscono con la normativa in questione in modo da produrre effetti diversi.
Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, atteso che la disciplina degli incentivi per il “rientro dei cervelli” all’atto pratico si rivela colma di eccezioni e deroghe che non possono essere sottovalutate.
Come già anticipato, sussistono numerose eccezioni, limiti, deroghe e casi di non applicabilità degli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” che, per sintesi di trattazione, non sono stati sopra riportati e che, nel caso concreto, potrebbero spingere l’Agenzia delle Entrate comunque a negare l’agevolazione fiscale.
Per cui, l’accertamento dell’applicabilità degli incentivi non può prescindere dall’esame di ciascun caso concreto. Infatti, come in tutte le analisi fiscali internazionali, anche per quella relativa all’applicabilità degli incentivi per il “rientro dei cervelli” assume importanza fondamentale l’inquadramento di tutti i dettagli sostanziali del caso in esame al fine, da un lato, di permettere l’applicazione degli incentivi per il “rientro dei cervelli” anche ad ipotesi che apparentemente non vi rientrano e, dall’altro, per non applicare l’agevolazione ad altri casi che solo apparentemente vi rientrano, il tutto per scongiurare il recupero delle imposte evase e l’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Infatti, un eventuale accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate della non applicabilità degli incentivi in questione, comporterebbe, non solo il recupero delle imposte non versate in ragione dell’agevolazione, per ciascun anno pregresso di fruizione del beneficio, ma anche l’applicazione di sanzioni fiscali (ed eventualmente penali), somme tali da erodere gran parte del reddito prodotto dal contribuente, con un grave danno economico per quest’ultimo.
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26. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto
La verifica da parte di un professionista specializzato in Fiscalità internazionale circa l’applicabilità degli incentivi per il “rientro dei cervelli” nel preciso caso concreto costituisce un passaggio fondamentale, per non correre il rischio che l’agevolazione fiscale possa venir legittimamente negata dall’Agenzia delle Entrate a distanza di diversi anni con il recupero dell’imposta evasa nonché di sanzioni e interessi conseguenziali.
Come sopra anticipato, nella prassi quotidiana spesso accade che le agevolazioni fiscali per il “rientro dei cervelli” trovino applicazione ad ipotesi che solo apparentemente (agli occhi del contribuente) sembravano non rientrarvi oppure, al contrario, di frequente non possano essere applicate a casi che solo apparentemente (agli occhi del contribuente) sembravano rientrarvi.
Per tale motivo, non è consigliabile applicare gli incentivi fiscali per il “rientro dei cervelli” senza un’analisi approfondita con esito positivo.
Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’applicazione degli incentivi in questione e nella comprensione dell’approccio dell’Amministrazione finanziaria rispetto ai relativi casi, anche sulla base di risposte dell’Agenzia delle Entrate non pubblicate.
Se desideri richiedere una consulenza fiscale internazionale allo Studio ITAXA in materia di verifica nel tuo preciso caso concreto dei presupposti per l’applicabilità degli incentivi per il “rientro dei cervelli“, scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.
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