Le somme percepite dai fondi pensione, sotto forma di capitale o rendita, vengono assimilati, in linea generale, ai redditi di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 50, comma 1, lett. h-bis), del TUIR.
In particolare, trattasi di capitali e redditi che vengono erogati dal fondo pensione quando il contribuente raggiunge l’età del pensionamento.
A decorrere dall’anno 2007, questi redditi vengono tassati attraverso una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, nella misura del 15%, la quale si riduce dello 0,30% per ogni anno successivo al 15° anno di adesione al fondo pensione, fino al raggiungimento di una ritenuta minima del 9%.
Ai fini di quest’ultima “agevolazione”, si fa riferimento agli anni per il quali il contribuente è rimasto iscritto al fondo pensione, anche a prescindere dalla sua effettiva contribuzione in quest’ultimo.
Se la normativa italiana, sotto il profilo teorico, appare piuttosto semplice, diversamente appaiono le cose non appena si passi ad applicare questa disciplina ai casi concreti, soprattutto quando si tratti di fondi pensione all’estero.
A tal proposito, con una recente risoluzione l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito all’applicabilità della descritta normativa italiana alle somme corrisposte da un fondo pensione avente sede nel Regno Unito.
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1. Il fondo pensione del Regno Unito
Il caso sottoposto all’Agenzia delle Entrate è quello di un contribuente fiscalmente residente in Italia, il quale svolgeva l’attività di pilota di aeromobili in Portogallo alle dipendenze di una compagnia aerea con sede nel Regno Unito e operativa in Portogallo, che dichiarava di versare dei contributi previdenziali volontari in un fondo pensione con sede nel Regno Unito.
Secondo la legge inglese, il tipo di fondo pensione in questione non sarebbe trasferibile in altri analoghi in Italia.
I contributi vanivano, per una parte, prelevati direttamente dal salario netto percepito e, per un’altra parte, versati dalla compagnia datrice di lavoro.
Il contribuente intendeva capitalizzare la contribuzione nel predetto fondo pensione inglese al prossimo raggiungimento del 50° anno d’età.
Su queste basi, l’interessato intendeva conoscere il trattamento fiscale riservato dall’Italia al capitale distribuito dal fondo pensione inglese nonché sapere se con la sua successiva iscrizione ad un fondo pensione italiano avesse potuto usufruire dei benefici fiscali legati agli anni di iscrizione presso il fondo pensione estero.
2. Il trattamento del capitale distribuito dal fondo pensione estero
Al fine di verificare il trattamento fiscale da riservare al capitale distribuito dal fondo pensione estero, con la Risoluzione n. 150/2020 il Fisco è partito dall’analisi della disciplina contenuta nella Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e il Regno Unito.
Nello specifico, è stato rilevato come, ai sensi dell’art. 18, paragrafo 1, di detta Convenzione, le pensioni e le altre remunerazioni analoghe percepite da un soggetto residente in Italia contraente in relazione a un cessato impiego siano imponibili solo in questo Paese.
Per cui, nel caso di specie, trattandosi di prestazione pensionistica in forma di capitale erogata da un fondo previdenziale estero a un soggetto residente in Italia, in relazione a un cessato impiego, una volta maturato il requisito anagrafico richiesto per l’accesso alla prestazione, tali somme sarebbero destinate ad essere tassate esclusivamente in Italia.
Sotto il profilo della normativa domestica applicabile al caso di specie, l’Amministrazione finanziaria italiana ha escluso l’applicabilità delle norme riguardanti le prestazioni di previdenza complementare di cui all’art. 50, comma 1, lettera h-bis), del TUIR.
Infatti, viene sostenuto che detta ultima tipologia di reddito è tassata in Italia, in forza del rinvio contenuto nell’articolo 52, comma 1, lettera d), del TUIR, in base alle disposizioni del D.Lgs. n. 252/2005, la cui applicazione è riservata, oltre che ai fondi pensione istituiti in Italia in base alle specifiche prescrizioni del medesimo decreto, anche ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell’Unione europea che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva (UE) 2016/2341 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2016 e che risultano autorizzati dall’Autorità competente dello Stato membro di origine allo svolgimento dell’attività transfrontaliera.
Altresì, detta normativa riguarda solo i fondi esteri che abbiano ricevuto adesione all’interno del territorio italiano e con riferimento alle risorse accumulate e gestite in relazione a queste adesioni (articolo 15-ter del decreto legislativo n. 252 del 2005).
Per questa via, l’Agenzia delle Entrate è giunta ad escludere nel caso in esame la possibilità di trasferire la posizione previdenziale dal fondo estero a quello italiano cui il contribuente aveva intenzione di aderire e di considerare l’anzianità di iscrizione dalla data di iscrizione al fondo estero uscente.
Per l’effetto, ai fini della decorrenza della anzianità di iscrizione, in caso di iscrizione a un fondo di previdenza complementare italiano, destinandovi il capitale proveniente dal fondo estero, si è ritenuto che il contribuente debba fare riferimento alla data di iscrizione al fondo previdenziale italiano.
A parte tale precisazione, le regole vigenti in Italia in materia di fiscalità della previdenza complementare continueranno a disciplinare il regime fiscale della posizione che l’istante maturerebbe presso il fondo di previdenza complementare italiano.
Per cui, al fine di inquadrare correttamente le somme percepite dal fondo estero, l’Amministrazione finanziaria ha osservato come esse debbano esser ricondotte ai redditi di cui all’art. 49, comma 2, lettera a), del TUIR, laddove vengono equiparati i redditi di lavoro dipendente, annoverandoli nella categoria delle “pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati”.
Circa le modalità concrete di tassazione, considerato che le somme sono percepite in un’unica soluzione, esse verrebbero sottoposte, in luogo del regime ordinario, al regime di tassazione separata di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), del TUIR, secondo cui “L’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi:…altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti [rapporti di lavoro dipendente e taluni rapporti assimilati], comprese l’indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni…”.
3. Quadro RW e contribuzione in fondi pensione esteri
Circa gli obblighi sussistenti in capo al contribuente ai fini del monitoraggio fiscale degli investimenti e delle disponibilità finanziarie all’estero, l’Agenzia delle Entrate ha rimandato a quanto già sostanzialmente affermato con Circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E, riguardo alla rilevanza delle forme di previdenza complementare estere ai fini del monitoraggio fiscale e della compilazione del Quadro RW del Modello Redditi.
Nella citata circolare il Fisco aveva stabilito la non obbligatorietà del monitoraggio fiscale le somme versate per obbligo di legge a forme di previdenza complementare organizzate o gestite da società ed enti di diritto estero, quali ad esempio il cosiddetto secondo pilastro svizzero, trattandosi di forme di previdenza obbligatoria seppure complementare.
La stessa soluzione è stata ritenuta applicabile per le forme di previdenza complementare estere obbligatorie per effetto di contratti collettivi nazionali, con esclusione di quelle derivanti da accordi individuali).
Tuttavia, nel caso di specie, l’Ufficio sembra suggerire un’altra via, vale a dire quella della necessità di indicare nel Quadro RW le somme versate per la previdenza complementare organizzate o gestite da società ed enti di diritto estero (come risultante dalla documentazione rilasciata dal fondo) che non rientrino nelle predette ipotesi.
4. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto
Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, perché all’atto pratico la normativa fiscale internazionale è costellata di eccezioni e deroghe da applicarsi a seconda dei dettagli del preciso caso concreto in esame e che, quindi, non possono essere sottovalutate.
La fiscalità internazionale è la materia dei dettagli. Spesso accade che, anche un singolo dettaglio del caso concreto, apparentemente irrilevante, richieda una soluzione della problematica completamente diversa da quella ritenuta adeguata a un primo sguardo della situazione.
Inoltre, l’approfondimento della situazione concreta spesso esclude delle irregolarità che il contribuente pensava di aver commesso e, invece, mette in luce delle problematiche che il contribuente nemmeno pensava di avere.
Questo può capitare se il contribuente esamina la propria posizione dal punto di vista di una sola norma ritenuta “a priori” applicabile, quando, invece, il caso deve essere inquadrato, attraverso la necessaria analisi condotta alla luce dell’intero ordinamento tributario, sotto il profilo di una diversa norma.
Quindi, l’analisi fiscale internazionale è necessaria per inquadrare tutti i dettagli sostanziali del caso in esame ed evitare errori di valutazione da cui possano scaturire violazioni fiscali che darebbero luogo al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, tali da erodere il reddito prodotto dal contribuente e causargli un grave danno economico.
D’altra parte, la difesa da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può mai essere efficace quanto la prevenzione delle violazioni fiscali attuata con una strategia di analisi preventiva.
Quindi la verifica da parte di un professionista specializzato in fiscalità internazionale circa le problematiche del preciso caso concreto costituisce un passaggio essenziale.
Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’analisi delle questioni di fiscalità internazionale.
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