Tassazione collezionista d’arte: illegittimo l’accertamento

La Commissione Tributaria della Regione Piemonte, con la sentenza in commento  ha riconosciuto l’illegittimo accertamento effettuato dalla Agenzia delle Entrate ad un collezionista d’arte, presunto imprenditore commerciale, per non aver prodotto in giudizio elementi sufficienti “idonei a collocare abitualità e professionalità nel preteso ambito commerciale“.

Leggi ancheFiscalità internazionale: errori da evitare per tutelarsi.

1. Il caso: accertamento a carico del collezionista d’arte

Per circa quarant’anni un contribuente aveva acquistato numerose opere d’arte, creando così un patrimonio artistico di ingente valore. Finché, a seguito di alcune vicende giudiziarie che lo videro coinvolto e che ne travolsero l’immagine, lo stesso decise di dismettere l’intera collezione.

Soltanto negli anni 2006-2009 grazie alla vendita di tali opere d’arte l’interessato ebbe a ricavare la somma di 628.800,00 euro.

Senonché, a seguito di una indagine finanziaria espletata a campione dell’Agenzia delle Entrate venne in rilievo proprio il suo patrimonio.

Nella specie, furono sottoposti a verifica i conti di deposito bancario a lui intestati, dal quale emersero delle “anomalie” tutt’altro che irrilevanti.

Risultavano, infatti, numerosi versamenti e prelievi, peraltro riguardanti ingenti somme di denaro, che poi venivano recuperati a reddito e conseguentemente a tassazione.

Il contribuente giustificava tali introiti come frutto della vendita di opere d’arte di sua proprietà.

Si trattava di opere accumulate negli anni che aveva acquistato, inizialmente, a scopo non speculativo, ma con l’unica finalità di collezionismo.

Tuttavia, come anticipato, a seguito di vicende giudiziarie, egli fu costretto a disfarsene, vendendole a terzi.

L’Ufficio tributario, dal canto suo, sosteneva che dietro quegli importi si nascondeva una vera e proprio organizzazione imprenditoriale volta alla vendita di opere d’arte.

Sul piano del diritto tributario, tale tesi era supportata dai richiamati artt. 55 del TUIR e 4 del D.P.R. n. 633/1972. Quella attività d’impresa diretta dal contribuente doveva perciò essere tassata secondo i parametri di legge.

Tale circostanza non era condivisa dai Giudici di primo grado, che al contrario confermavano la tesi del collezionista.

Cosicché la vicenda proseguiva dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale per il Piemonte.

L’elemento cardine su cui si incentra il gravame dell’Ufficio tributario è l’asserita esistenza di una organizzazione imprenditoriale facente capo al resistente. A darne prova erano gli elementi di continuità, abitualità e professionalità che caratterizzavano le reiterate cessioni di opere d’arte da lui poste in essere negli ultimi anni. Si trattava – a detta dell’Amministrazione finanziaria –  di elementi, essenziali e di per sé sufficienti a giustificare la differente tassazione dei proventi dell’attività commerciale.

Tale circostanza sarebbe stata altresì, suffragata dall’accertata competenza in materia d’arte, dalla documentata frequentazione di mostre e gallerie e da altri elementi di fatto.

2. Collezionista o commerciante di opere d’arte?

Prima di addentrarci nella soluzione alla controversia in esame è opportuno chiarire i termini della questione giuridica.

Ebbene, il fulcro dell’intera vicenda richiede di fare uno sforzo di tipo concettuale.

Si tratta in altre parole di qualificare il contribuente quale collezionista d’arte piuttosto che come mercante d’arte.

La distinzione, tutt’altro che trascurabile, ha immediate ripercussioni sul piano del diritto tributario.

Riassumendo le due posizioni controverse, da una parte l’Agenzia delle Entrate riteneva che il contribuente fosse un mercante d’arte e pertanto la sua attività commerciale doveva essere tassata secondo i parametri di legge, quest’ultimo, al contrario, sosteneva di essere un semplice collezionista d’arte e, pertanto estraneo alle pretese dell’Ufficio fiscale.

Da tempo la materia è stata oggetto di studio da parte della dottrina e della giurisprudenza che, in via definitiva, sono giunti ad affermare che il “collezionista” è quel soggetto che acquista e vende opere d’arte per soddisfare un proprio interesse che, di norma, è quello di ampliare la propria collezione di oggetti d’arte. Al contrario, il mercante d’arte è colui che investe professionalmente in oggetti d’arte allo scopo di trarne un profitto attraverso la successiva rivendita sul mercato.

In tale ultimo caso, trattandosi di attività commerciale a tutti gli effetti, ricorrerebbero gli estremi per qualificare, ai sensi dell’art. 55 TUIR, i proventi derivanti da tali compravendite come redditi d’impresa da sottoporre a IRPEF.

Ebbene, in passato, si riteneva che l’acquisto e la vendita di oggetti d’arte, di antiquariato e in genere da collezione, se il periodo di tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita non fosse superiore a due anni, dovesse essere inteso a fini speculativi. E, infatti, l’art. 76 del D.P.R. 597/1973 assoggettava a IRPEF “le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi e non rientranti fra i redditi d’impresa”.

La situazione è cambiata con l’entrata in vigore del nuovo Testo Unico delle Imposte sui Redditi, ove il legislatore ha espressamente riservato un trattamento fiscale di favore alla cessione di opere d’arte.

Perché tale regime possa trovare applicazione è necessario che il soggetto cedente i beni artistici sia un privato. Si tratti cioè di un collezionista che agisce in proprio e non nell’ambito di un’organizzazione commerciale.

In via del tutto astratta, la giurisprudenza finanziaria ha plasmato la figura del cosiddetto “collezionista puro” ossia colui che lungi dall’essere un professionista o un imprenditore, agisce come privato e senza che le sue operazioni di acquisto e vendita di opere artistiche possano identificarsi con l’esercizio abituale di una attività commerciale.

Orbene, se tale distinzione pare confortevole sul piano del diritto astratto, lo è meno nella realtà fattuale.

Ed infatti, molto spesso i tribunali di merito e gli stessi giudici di legittimità hanno dovuto fare i conti con nozioni non sempre di facile applicazione alle fattispecie concrete.

Sono stati allora, delineati indicatori in grado di aiutare gli operatori del diritto a distinguere le due figure. E sulla base di tali criteri non sono mancate occasioni nelle quali i giudici hanno smascherato apparenti collezionisti, in realtà imprenditori professionisti.

Si tratta perciò, di valutazioni che gli uffici giudiziari devono operare caso per caso, senza trascurare alcuni indici inequivocabili.

Si è, ad esempio, affermato che la compravendita di opere d’arte va qualificata come attività imprenditoriale:

  • quando le operazioni di acquisto/vendita hanno carattere continuativo;
  • quando, in assenza di altre fonti di reddito, il giro d’affari del collezionista non è per nulla trascurabile;
  • se il tempo intercorrente tra gli acquisti e le successive cessioni dei beni è ridotto;
  • se il presunto collezionista dimostra una comprovata esperienza nel settore dei beni oggetto di cessione;
  • o ancora se, per concludere gli affari, egli si affidi a mezzi pubblicitari volti a ricercare potenziali clienti e così via.

3. La CTR: nullo l’accertamento a carico del collezionista d’arte

Secondo i giudici della Commissione Tributaria della Regione Piemonte l’appello dell’Agenzia delle Entrate non merita di essere accolto, così come stabilito con sentenza n. 1412 del 18/09/2018.

L’Amministrazione appellante aveva ritenuto di poter affermare l’esistenza di una attività commerciale in capo al contribuente sul solo dato degli ingenti introiti dallo stesso dichiarati come conseguenza delle vendite del proprio patrimonio artistico.

Tale circostanza, tuttavia, da sola non è sufficiente a dimostrare la sussistenza dello svolgimento con carattere di professionalità di una attività economica finalizzata alla produzione e allo scambio di beni.

Perché, infatti, un collezionista d’arte possa essere diversamente, qualificato come un mercante d’arte è necessaria la prova concreta della abitualità, professionalità della pretesa attività di impresa commerciale.

Ebbene, tale prova non era stata in alcun modo fornita dall’amministrazione, la quale si era limitata soltanto a dedurre la circostanza sulla base di presunzioni prive di fondamento.

“E’ infatti meramente normale – concludono i giudici della Commissione Tributaria – che un collezionista acquisti e venda opere d’arte allo scopo di arricchire la propria collezione e l’esperienza via via accumulata in materia artistica, non integrano la ripetizione di atti di commercio tipica dell’esercente professionale di una attività imprenditoriale”.

A ciò va aggiunto che – come premesso –  l’ordinamento non prevede alcuna tassazione per la vendita di beni personali i cui proventi, ove non rientrino in un’attività imprenditoriale, sono fiscalmente irrilevanti.

Doveva pertanto, accogliersi l’istanza proposta dal contribuente volta a far dichiarare l’illegittimo accertamento effettuato nei suoi confronti dall’Ufficio fiscale.

4. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto

Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, perché all’atto pratico la normativa fiscale internazionale è costellata di eccezioni e deroghe da applicarsi a seconda dei dettagli del preciso caso concreto in esame e che, quindi, non possono essere sottovalutate.

La fiscalità internazionale è la materia dei dettagli. Spesso accade che, anche un singolo dettaglio del caso concreto, apparentemente irrilevante, richieda una soluzione della problematica completamente diversa da quella ritenuta adeguata a un primo sguardo della situazione.

Inoltre, l’approfondimento della situazione concreta spesso esclude delle irregolarità che il contribuente pensava di aver commesso e, invece, mette in luce delle problematiche che il contribuente nemmeno pensava di avere.

Questo può capitare se il contribuente esamina la propria posizione dal punto di vista di una sola norma ritenuta “a priori” applicabile, quando, invece, il caso deve essere inquadrato, attraverso la necessaria analisi condotta alla luce dell’intero ordinamento tributario, sotto il profilo di una diversa norma.

Quindi, l’analisi fiscale internazionale è necessaria per inquadrare tutti i dettagli sostanziali del caso in esame ed evitare errori di valutazione da cui possano scaturire violazioni fiscali che darebbero luogo al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, tali da erodere il reddito prodotto dal contribuente e causargli un grave danno economico.

D’altra parte, la difesa da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può mai essere efficace quanto la prevenzione delle violazioni fiscali attuata con una strategia di analisi preventiva.

Quindi la verifica da parte di un professionista specializzato in fiscalità internazionale circa le problematiche del preciso caso concreto costituisce un passaggio essenziale.

Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’analisi delle questioni di fiscalità internazionale.

Se desideri richiedere una consulenza fiscale internazionale allo Studio ITAXA per il tuo preciso caso concreto, scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA