Tassazione dell’economia digitale: quali soluzioni?

La progressiva digitalizzazione della moderna economia ha portato diversi vantaggi alle imprese in termini di competitività, efficienza e risparmio di risorse. Allo stesso tempo, però, la “dematerializzazione” della presenza della imprese che operano a livello internazionale ha reso sempre più inadeguate la vecchie regole di tassazione rispetto alla misurazione dei redditi prodotti a livello transnazionale (soprattutto da parte delle imprese “digitali”) e alla loro imputazione alle diverse giurisdizioni in cui esse operano.

La comunità internazionale ha dovuto prendere coscienza del fatto che, essendo quello dell’economia digitale un fenomeno, per sua natura, di portata internazionale, anche la risposta alle problematiche inerenti la relativa tassazione non possa essere lasciata alla regolamentazione dei singoli Stati.

Infatti, qualora siano i diversi Paesi a disciplinare, in maniera unilaterale, i criteri di determinazione e di allocazione dei redditi prodotti dalle imprese “digitali” nei relativi territori, si correrebbe il rischio di incrementare i fenomeni di doppia imposizione fiscale o comunque effetti distorsivi del funzionamento dell’economia di mercato.

Per tale motivo la tematica della tassazione dell’economia digitale ha formato oggetto dell’Azione 1 (“Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy“) del Progetto BEPS (il cui Rapporto finale è stato pubblicato nell’anno 2015) elaborato dall’OCSE e dal G20, con il quale, partendo dalla consapevolezza che il fenomeno digitale oramai riguarda, in diversa misura, tutte le imprese, si è tentato di evidenziare possibili soluzioni per la tassazione dell’economia digitale rispetto alla quale la comunità internazionale possa raggiungere un auspicato consenso.

La principale questione affrontata dall’Action 1 del Progetto BEPS rimane quella di stabilire i criteri in base ai quali i redditi prodotti dalle imprese digitali a livello internazionale debbano essere allocati tra i diversi Stati.

La questione non è da poco, atteso che a seconda dei criteri scelti, alcuni Paesi possono ricevere dei vantaggi ed altri essere penalizzati.

Per questo motivo, successivamente alla pubblicazione della citata Azione 1 del Progetto BEPS, sono proseguiti i lavori dell’”Inclusive Framework” dell’OCSE/G20, attraverso la “Task Force on the Digital Economy (TFDE)” al suo interno costituita, per identificare possibili soluzioni per la tassazione dell’economia digitale, che nel marzo del 2018 ha pubblicato un primo Rapporto (“Tax Challenges Arising from Digitalisation – Interim Report”) con una precisa analisi delle caratteristiche delle imprese ad alta componente digitale.

In tale rapporto emerge con chiarezza che le imprese “digitali” si contraddistinguono per la crescita esponenziale delle loro dimensioni a livello internazionale, specialmente sotto il profilo della clientela, senza che ciò corrisponda ad un incremento della loro estensione fisica, per la centralità della proprietà intellettuale (intorno alla quale ruota il relativo funzionamento), nonché l’importanza della partecipazione degli utenti e dell’utilizzo dei relativi dati a scopo commerciale.

Il lavoro è proseguito con la pubblicazione della NotaAddressing teh Tax Challenges od the Digitalisation of the Economy” (del 24 gennaio 2019) con la quale l’”Inclusive Framework” ha evidenziato l’opportunità di ricercare il consenso dei Paesi per la tassazione dell’economia digitale con riferimento a proposte riconducibili a 2 Pilastri, vale a dire:

  • I Pilastro: individuazione di nuovi criteri di collegamento e di attribuzione dei profitti;
  • II Pilastro: implementazione di regole tese a ridurre i rischi di trasferimento dei profitti verso giurisdizioni a fiscalità privilegiata.

Al fine di incrementare il dibattito intorno alle possibili soluzioni da adottare, il 13 febbraio 2019 è stato pubblicato un Documento di consultazione (“Addressing the Tax Challenges of the Digitalisation of the Economy”) per richiedere l’opinione delle parti interessate (istituzioni, amministrazioni finanziarie, professionisti, imprese ecc.) in merito alle proposte riconducibili ai due Pilastri.

Quanto al I Pilastro (“Revised profit allocation and nexus rules”), le proposte di individuazione di nuovi criteri di collegamento e di attribuzione profitti sono state le seguenti:

  • User participation”: una parte dei profitti realizzati dall’impresa digitale devono essere allocati nei Paesi in cui sono localizzati i rispettivi utenti attivi, a prescindere dalla presenza fisica dell’impresa nel relativo territorio;
  • Marketing intangibles”: una fetta dei profitti deve essere allocata nelle diverse giurisdizioni in misura proporzionale al grado di “fidelizzazione” che l’impresa digitale è riuscita a determinare negli utenti appartenenti ai mercati in cui la stessa operi e di cui questa detenga anche le informazioni economicamente rilevanti, a prescindere da una sua presenza materiale nei rispettivi confini;
  • Significant economic presence”:  i profitti vengono attribuiti ai Paesi con i quali l’impresa abbia un collegamento “digitale”, che sostituisca la sua presenza fisica, quale: la presenza degli utenti attivi; volume dei contenuti digitali caricati; fonte dei pagamenti e utilizzo di valuta locale; traduzione del portale web in lingua locale; responsabilità dell’impresa per la spedizione dei beni al consumatore o la fornitura dell’assistenza relativa agli acquisti; attività di marketing per attirare nuovi utenti.

Circa il II Pilastro (“Global anti-base erosion proposal”) la proposta mira ad allineare l’imposizione laddove il valore delle attività economiche viene effettivamente creato, evitando quindi che i profitti vengano sottratti ad imposizione laddove dovrebbero essere naturalmente tassati, attraverso due regole tra loro collegate:

  • income inclusion rule”: i redditi delle società estere o delle stabili organizzazioni estere vengono assoggettati ad imposizione dell’altro Stato qualora vengano assoggettate ad una tassazione effettiva privilegiata nella giurisdizione di insediamento o in quella di residenza;
  • -“tax on base eroding payment”: le deduzioni sui pagamenti effettuati nei riguardi di parti correlate (“undertaxed payment rule”) e i benefici convenzionali per alcuni pagamenti (“subject to tax rule”) vengono negati, a meno che questi non vengano assoggettati ad una tassazione effettiva adeguata al di sopra di una certa soglia.

Da ultimo, facendo seguito ai lavori svolti dall’”Inclusive Framework” del 28 e 29 maggio 2019, l’OCSE  ne ha pubblicato un Programma di lavoro (“Programme of Work to Develop a Consensus Solution to the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy”) che dovrebbe portare già nell’anno 2020 al raggiungimento del consenso tra i Paesi membri in merito ai criteri di tassazione dell’economia digitale.

Nei prossimi mesi, quindi, gli Stati dovranno concordare le misure adeguate ad attribuire i profitti dell’economia digitale laddove questi vengono effettivamente prodotti.  

Il problema, come anzidetto, non è di facile soluzione, perché le diverse teorie messe in campo per regolare il fenomeno costituiscono esplicazione degli interessi che i singoli Stati hanno ad attrarre base imponibile al proprio potere impositivo.

D’altra parte bisogna sottolineare che il mancato raggiungimento di soluzioni condivise rischia di lasciare il passo ad iniziative degli Stati che, pur di non vedere base imponibile sottratta alla propria potestà fiscale, ne prevedano la tassazione con regole unilaterali.

Ciò è quanto già è avvenuto in Italia con l’imposta sui servizi digitali, nel Regno Unito con la “Diverted profit tax”, in India con la “Equalisation levy” e in tanti altri Paesi.

Queste misure unilaterali sono pericolose, in quanto capaci di determinare fenomeni di doppie imposizioni che difficilmente possono essere risolti attraverso l’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni attualmente in vigore, alimentando la confusione in una materia che, invece, necessita di regole certe globalmente condivise.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.