Con una interessante Risposta ad interpello l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito al regime di tassazione a cui è sottoposta in Italia una freelance (consulente esterna) avente come cliente una società per azioni residente in Italia.
1. Il caso: la freelance residente all’estero che lavora con una società italiana
L’ipotesi sottoposta al parere dell’Agenzia delle Entrate riguarda una freelance (consulente esterna) che si era trasferita a vivere in Danimarca, deve aveva anche acquisito la residenza fiscale.
L’interessata, in particolare, lavorava per una società per azioni italiana in virtù di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
La freelance lamentava che, nonostante fosse fiscalmente residente in Danimarca e che qui venisse già assoggettata a tassazione per i redditi di fonte italiana, la società italiana cliente provvedesse ad applicare ai suoi compensi una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, nella misura del 30%, così come sarebbe stato previsto dagli artt. 23, comma 2, lettera b), del TUIR (D.P.R. n. 917/1986) e dall’art. 24, comma 1-ter, del D.P.R. 600/1972.
In definitiva, la freelance riteneva che non fosse giusto subire una doppia imposizione con riferimento ai compensi di fonte italiana, vale a dire quella danese e quella italiana. Per cui la contribuente chiedeva all’Agenzia delle Entrate se non fosse, al contrario, più corretto tassare detti redditi solo in Danimarca, considerandoli al contrario esenti in Italia.
2. La risposta dell’Agenzia delle Entrate: attenzione alle Convenzioni contro le doppie imposizioni
Nel fornire risposta al quesito proposto dalla freelance, l’Agenzia delle Entrate ha sorvolato la questione se fosse “giusto” o meno che ella subisse una doppia imposizione sui redditi di fonte italiana, per concentrarsi sulla disciplina normativa da applicarsi al caso di specie.
Ed, infatti, l’ipotesi è stata esaminata sotto un duplice profilo normativo, vale a dire quello delle disposizioni domestiche italiane, da un lato, e quello della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore con la Danimarca, dall’altro.
Si premette come le considerazioni svolte dal Fisco possono ritenersi valide (con le dovute cautele legate alle eventuali divergenze in punto di fatto), anche qualora la contribuente non fosse stata fiscalmente residente in Danimarca, bensì in altro Paese.
Ebbene, l’Agenzia delle Entrate come suo solito non approfondisce l’aspetto della residenza fiscale della contribuente (aspetto da non sottovalutare!), potendo questa essere acclarata solo in sede di verifica fiscale, muovendo direttamente ad analizzare la tematica della imponibilità dei redditi.
Viene evidenziato come, ai sensi dell’art. 23, comma 2, lett. b), del D.P.R. n. 917/1986, devono essere considerati prodotti e, quindi, tassabili in Italia i redditi derivanti da collaborazioni coordinate e continuative, di fonte italiana, corrisposti a contribuenti non fiscalmente residenti
Le collaborazioni continuate e continuative possono essere ricondotte, infatti, dall’art. 50, comma 1, lett. c-bis), del TUIR ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
Sotto questo profilo viene confermata l’imponibilità di detti redditi in Italia, con applicazione di una ritenuta alla fonte del 30% sul corrispettivo corrisposto dalla società italiana.
Per quanto concerne, invece, il profilo della normativa afferente al diritto internazionale tributario di tipo convenzionale, il Fisco rileva come tra l’Italia e la Danimarca sia in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni che disciplina i limiti dei rispettivi poteri impositivi.
Un primo problema che viene fatto emergere afferisce alla collocazione, all’interno delle disposizioni di detta Convenzione, dei redditi derivanti dalle collaborazioni coordinate e continuative, atteso che questi non possono farsi rientrare nell’art. 16 del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni che, invece, disciplina più specificamente i compensi, i gettoni di presenza e le altre remunerazioni erogate ai membri del consiglio di amministrazione.
Come già operato in passato, l’Agenzia delle Entrate aderisce all’interpretazione secondo cui, qualora le collaborazioni coordinate e continuative del freelance non rientrino tra le prestazioni di lavoro autonomo, queste possono essere ricondotte all’ambito di applicazione dell’art. 15 del Modello OCSE, relativo ai redditi derivanti da rapporti di lavoro subordinato.
Nello specifico, l’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e la Danimarca, conformandosi all’omologa disposizione contenuta nel Modello OCSE, dispone che: “1. Salve le disposizioni degli articoli 16, 18 e 19, i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato.
2. Nonostante le disposizioni del paragrafo 1. le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente svolta nell’altro Stato contraente sono imponibili soltanto nel primo Stato se:
(a) il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni in un periodo di dodici mesi che inizi o termini nel corso dell’anno fiscale considerato, e
(b) le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che è residente del primo Stato, e
(c) l’onere delie remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato”.
Dall’applicazione di detta disposizione l’Agenzia delle Entrate fa desumere che i redditi della freelance fiscalmente residente in Danimarca devono essere tassati solo in quest’ultimo Paese qualora l’attività lavorativa non venisse svolta anche in Italia.
Inoltre, anche se l’attività della freelance venisse svolta in Italia, questa rimarrebbe assoggettata ad imposizione in Danimarca qualora venissero rispettate le condizioni di cui al secondo paragrafo dell’art. 15.
D’altra parte, qualora, al contrario, non verificandosi le predette condizioni, i redditi della freelance fossero tassabili in Italia, la Danimarca (Paese della residenza della contribuente) dovrebbe riconoscerle un credito per le imposte già pagate in Italia.
Pur fornendo un parere abbastanza astratto e adagiato prevalentemente su questioni di mero diritto, la Risposta n. 271/2019 dell’Agenzia delle Entrate sembra aprire una scorcio a favore della non imponibilità in Italia dei redditi della freelance istante.
Ciò non esclude che, nei casi come quelli in questione, particolare attenzione bisogna prestare, prima di tutto, alla tematica della residenza fiscale del contribuente, per poi muovere ad analizzare, sotto il profilo giuslavoristico, la natura del rapporto di lavoro in essere, aspetto che potrebbe condurre a soluzioni diverse da quelle adombrate con il parere erariale in commento.
3. Consulenza fiscale internazionale per il caso concreto
Le informazioni sopra indicate hanno carattere meramente generale, perché all’atto pratico la normativa fiscale internazionale è costellata di eccezioni e deroghe da applicarsi a seconda dei dettagli del preciso caso concreto in esame e che, quindi, non possono essere sottovalutate.
La fiscalità internazionale è la materia dei dettagli. Spesso accade che, anche un singolo dettaglio del caso concreto, apparentemente irrilevante, richieda una soluzione della problematica completamente diversa da quella ritenuta adeguata a un primo sguardo della situazione.
Inoltre, l’approfondimento della situazione concreta spesso esclude delle irregolarità che il contribuente pensava di aver commesso e, invece, mette in luce delle problematiche che il contribuente nemmeno pensava di avere.
Questo può capitare se il contribuente esamina la propria posizione dal punto di vista di una sola norma ritenuta “a priori” applicabile, quando, invece, il caso deve essere inquadrato, attraverso la necessaria analisi condotta alla luce dell’intero ordinamento tributario, sotto il profilo di una diversa norma.
Quindi, l’analisi fiscale internazionale è necessaria per inquadrare tutti i dettagli sostanziali del caso in esame ed evitare errori di valutazione da cui possano scaturire violazioni fiscali che darebbero luogo al recupero delle imposte evase e all’applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, tali da erodere il reddito prodotto dal contribuente e causargli un grave danno economico.
D’altra parte, la difesa da un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non può mai essere efficace quanto la prevenzione delle violazioni fiscali attuata con una strategia di analisi preventiva.
Quindi la verifica da parte di un professionista specializzato in fiscalità internazionale circa le problematiche del preciso caso concreto costituisce un passaggio essenziale.
Lo Studio ITAXA ha maturato una lunga esperienza nell’analisi delle questioni di fiscalità internazionale.
Se desideri richiedere una consulenza fiscale internazionale allo Studio ITAXA per il tuo preciso caso concreto, scrivici all’indirizzo info@itaxa.it oppure compila il Modulo di contatto.
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