La tematica della tassazione della sharing economy è destinata a suscitare sempre più interesse a livello di fiscalità domestica e internazionale, atteso il considerevole sviluppo del modello di business basato sulla condivisione dei beni o dei servizi reso possibile dalla incalzante diffusione della tecnologia digitale e dei social network.
La posizione della Commissione UE sulla tassazione della sharing economy
La Commissione UE con la comunicazione (COM 2016, n. 356) del 2 giugno 2016 ha fornito agli Stati membri UE le linee guida per cogliere le opportunità della sharing economy e regolarne gli aspetti fondamentali, anche con l’obiettivo di scongiurare i pericoli di evasione fiscale.
In primo luogo la Commissione definisce la sharing economy come quei: ” … modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati.
L’economia collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti:
i) i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze e possono essere sia privati che offrono servizi su base occasionale (“pari”) sia prestatori di servizi nell’ambito della loro capacità professionale (“prestatori di servizi professionali”);
ii) gli utenti di tali servizi; e
iii) gli intermediari che mettono in comunicazione — attraverso una piattaforma online — i prestatori e utenti e che agevolano le transazioni tra di essi (“piattaforme di collaborazione”).
Le transazioni dell’economia collaborativa generalmente non comportano un trasferimento di proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro”.
Sotto il profilo fiscale la Commissione UE sottolinea come gli operatori della sharing economy devono essere sottoposti alle stesse regole degli operatori professionali, ma appare consapevole del fatto che in questo particolare settore è difficile individuare e tassare i contribuenti interessati per via della carenza di informazioni.
Guardando agli altri Paesi UE, uno dei primi esempi di regolamentazione del fenomeno della sharing economy viene da Parigi (al pari di Amsterdam, Washington, San Francisco e Barcellona) dove le piattaforme elettroniche come “Airbnb” sono state onerate di riscuotere le imposte di soggiorno dovute dagli utenti utilizzatori finali dell’immobile affittato.
Sempre la Francia sta valutando un proposta di riforma per la tassazione della sharing economy con la previsione di una franchigia esente di € 5.000, mentre in Belgio è al vaglio un sistema di tassazione che prevede anch’esso una franchigia esente di € 5.000 ma con la tassazione dei redditi superiori a tale soglia con un’aliquota agevolata del 10%.
La proposta di legge sulla tassazione della sharing economy
Venendo alla normativa interna, si evidenzia che la proposta di legge A.C. 3564 del 27 gennaio 2016 all’art 5 enuncia i profili di un possibile modello di tassazione della sharing economy.
In particolare, la proposta prevede l’istituzione di una nuova categoria di reddito, definito come “reddito da attività economica della condivisione non professionale”, percepito dagli operatori economici attraverso l’utilizzo di piattaforme digitali, disponendone la tassazione con un’imposta del 10% fino ad un reddito pari ad € 10.000 e, per quello eccedente, il relativo cumulo con i redditi di lavoro dipendente o da lavoro autonomo con applicazione dell’aliquota corrispondente.
Da tale disposizione, tuttavia, non è dato capire se per attività non professionale ci si riferisca solo a quella i cui redditi si mantengano al di sotto della soglia di € 10.000 e se, in caso di eccedenza rispetto a tale limite, l’aliquota del 10% continui ad operare per i redditi sotto soglia.
Si dubita, inoltre, del fatto che le forme di sharing economy basate sulla condivisione dei costi (es. “Blablacar”) possano essere ricomprese nei meccanismi di creazione dei redditi assoggettati a tassazione.
D’altra parte la proposta prevede che i gestori delle piattaforme digitali debbano assumere la qualità di sostituiti d’imposta degli utenti fiscali con riferimento ai redditi da questi ultimi generati.
Agli operatori esteri, quindi, è richiesto di dotarsi di una stabile organizzazione in Italia.
Tale ultimo punto, come evidenziato anche dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate (audizione 26 luglio 2016 –Commissioni riunite IX e X – Camera dei Deputati), pone non poche criticità, considerato che la configurazione dei presupposti della stabile organizzazione devono verificarsi in concreto, coerentemente con quanto previsto dalle convenzioni contro le doppie imposizioni, e devono necessariamente dipendere dalla scelta degli operatori economici di come esercitare la libertà di stabilimento, tutelata nell’ambito della UE dagli artt. 49 e 54 del TFUE, così come più volte ribadito dalla Corte di Giustizia UE.
Infine viene stabilito che i gestori delle piattaforme di sharing economy comunichino all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle operazioni avvenute per il loro tramite a prescindere dalla percezione o meno di alcun reddito da parte degli utenti.
Cenni ai profili IVA della sharing economy
Ai fini IVA gli utenti che forniscono beni o prestano servizi attraverso le piattaforme della sharing economy sono considerati soggetti passivi se svolgono un’attività economica che li identifichi come tali sensi dell’art. 9 della Direttiva IVA.
La citata soglia di € 10.000, individuata dalla suddetta proposta di legge al fine di ritenere un operatore “non professionale”, pertanto non dovrebbe essere determinante per individuare i soggetti passivi IVA.
Come ritenuto dal Comitato IVA, organo consultivo del Consiglio ai sensi della Direttiva IVA, il trattamento ai fini IVA dei servizi forniti dalle piattaforme di sharing economy cambia a seconda della relativa qualificazione.
Infatti se identificati come servizi di intermediazione, essi rilevano territorialmente nello Stato in cui si trova il bene o è reso il relativo servizio.
Diversamente i servizi forniti in maniera automatizzata possono essere configurati come servizi elettronici ed essere imponibili nel luogo del consumatore, se soggetto privato, o del prestatore, se il servizio è fornito ad un soggetto passivo.
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