In materia di transfer pricing la Corte di Cassazione, con sentenza 22.04.2016, n. 8130, ha stabilito che la nozione di “controllo” non è quella definita dall’art. 2359 c.c. ma quella più elastica che ricomprende anche l’ipotesi di influenza di un’impresa sulle decisioni imprenditoriali di un’altra impresa.
1. Il caso: la contestazione in materia di transfer pricing dell’Agenzia delle Entrate
La Suprema Corte interviene con riferimento ad una fattispecie in cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato ad una società italiana, tra gli altri rilievi, la non deducibilità dei costi sostenuti nei riguardi di una società con sede in San Marino, con riferimento a prestazioni di servizi infragruppo, per la parte eccedente il “valore normale” commisurato al 2% del fatturato, in applicazione della normativa sul transfer pricing (cd. prezzi di trasferimento) di cui all’art. 110, comma 7, del T.U.I.R. (D.P.R. 917/1986).
L’Agenzia delle Entrate sosteneva che, nonostante la società sammarinese non detenesse il controllo della società italiana ai sensi dell’art. 2359 c.c. (avendo il possesso solo del 24% del capitale della prima) sotto il profilo del transfer pricing doveva ritenersi che quest’ultima società fosse controllata dalla società estera.
In particolare, le circostanze che la società straniera fosse incaricata di commercializzare in via esclusiva i beni della società italiana e che quest’ultima non potesse funzionare senza il capitale, i prodotti e la cooperazione dell’altra erano sintomatiche di un’influenza economica e, quindi, di un controllo che la società straniera esercitava sulla seconda, il che si traduceva, sotto il profilo fiscale, nell’applicazione della normativa sul transfer pricing, in base a quanto già previsto dalla circolare ministeriale n. 32 del 22.09.1980.
Avverso tali contestazioni la società contribuente proponeva gravame che veniva rigettato sia dalla C.T.P. che dalla C.T.R. e, infine, ricorreva per cassazione lamentando, sotto il profilo soggettivo di applicazione della normativa transfer pricing, l’insussistenza del controllo previsto dall’art. 2359 c.c..
2. La Cassazione: in ambito transfer pricing nozione di controllo più ampia
La Cassazione rigetta il ricorso della società, ritenendo che la normativa fiscale sul transfer pricing non opera alcun riferimento alla nozione di controllo civilistica dettata dall’art. 2359 c.c., quindi non appare giustificato un rinvio a questa norma, anche per il fatto che in altri casi il legislatore fiscale vi ha fatto espresso riferimento.
D’altra parte il fatto che il concetto di controllo utilizzato ai fini transfer pricing si riferisca al termine “impresa”, piuttosto che a quello di “società”, gli conferisce una portata più ampia di quello civilistico.
La Suprema Corte prosegue affermando che:” La scelta appare poi sicuramente funzionale ai fini perseguiti dal legislatore fiscale, certamente diversi e non sovrapponibili a quelli di natura civilistica e rispetto ai quali non può non tenersi conto nelle interpretazioni della norma dell’esigenza di assegnare alla stessa un tasso di elasticità che la renda capace di attagliarsi alle varie ipotesi in cui, indipendentemente dalla ricorrenza dei rigidi requisiti civilistici, possa apprezzarsi l’influenza di un’impresa sulle decisioni imprenditoriali di un’altra.
In tale prospettiva appare evidente che un concetto di controllo circoscritto a vincoli contrattuali od azionari risulta troppo riduttivo, non permettendo di sconfinare in considerazioni di fatti di carattere meramente economico essenziali per disciplinare un fenomeno fiscale come quello del transfer pricing ”.
Preso atto della nuova nozione di “controllo” ai fini dell’applicazione della normativa sul transfer pricing, le società italiane operanti a livello internazionale sono chiamate a rivalutare i rapporti con le collegate estere al fine di non incappare in contestazioni sulla indeducibilità dei costi sostenuti nei loro riguardi.