Voluntary disclosure 2016: riapertura difficile con i Panama papers

Vedi anche l’ultimo aggiornamento: Voluntary disclosure 2016: riapertura dei termini 

La voluntary disclosure per il 2016 diventa sempre più improbabile, perché la riapertura dei relativi termini comporterebbe la non punibilità degli italiani coinvolti nello scandalo dei cd. Panama papers, non solo per i reati fiscali, ma anche per quelli più gravi di riciclaggio e di autoriciclaggio. A ciò si aggiunge lo scambio di informazioni fiscali a livello internazionale, il cui utilizzo viene adesso implementato dagli Stati per combattere l’evasione fiscale internazionale. Lo strumento per il rientro dei capitali esteri sembra rimanere quello del ravvedimento operoso.

Voluntary disclosure e i Panama papers

La riapertura della procedura di voluntary disclosure negli ultimi tempi è stata al vaglio del Ministero dell’Economia, tuttavia il recente scandalo dei cd. Panama papers ha prodotto una brusca frenata di tale progetto.

In effetti, se da un lato si apprezza l’effetto positivo di una voluntary disclosure bis di far rientrare nuovi capitali non dichiarati con la precedente voluntary disclosure e, quindi, di nuovi introiti per il Fisco italiano, dall’altro lato non si può trascurare che i benefici della voluntary disclosure, in termini di non punibilità, finirebbero per applicarsi anche a coloro che sono incappati nei cd. Panama papers, con riferimento sia ai reati tributari sia a quelli di riciclaggio e di autoriciclaggio.

Per il momento, quindi, l’Agenzia delle Entrate sta verificando se i contribuenti coinvolti nell’inchiesta dei cd. Panama papers hanno già presentato domanda di voluntary disclosure e, in caso positivo, che le ricchezze dichiarate siano corrispondenti a quelle effettivamente detenute all’estero, anche in considerazione della capacità contributiva degli interessati rilevata a partire dalle rispettive abitudini di vita.

Altre motivazioni che non spingerebbero il Fisco italiano ad una voluntary disclosure bis attengono all’implementazione dello scambio di informazioni fiscali a livello internazionale.

Voluntary disclosure 2016 e lo scambio di informazioni fiscali

Se la logica di fondo della voluntary disclosure è quella di far rientrare nel Paese e, quindi, di tassare capitali che altrimenti sarebbe stato difficile “rintracciare” con gli  ordinari strumenti di accertamento, con l’implementazione dello scambio di informazioni fiscali a livello internazionale detta esigenza sembra essere venuta meno.

Lo scambio di informazioni internazionale tra le amministrazioni fiscali dei diversi Paesi, infatti, permette al Fisco italiano di risalire alle ricchezze detenute all’estero da parte dei contribuenti fiscalmente residenti in Italia.

E’ questo il motivo per cui l’Italia ha provveduto da ultimo a stipulare gli accordi per lo scambio di informazioni fiscali con diversi Paesi precedentemente considerati come paradisi fiscali quali, tra gli altri, Svizzera, Principato di Monaco, San Marino e Liechtenstein.

Anche con Panama l’Italia ha stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni, già ratificata da Panama e in attesa di ratifica da parte del nostro Paese, che elimina il segreto bancario e assicura lo scambio di informazioni in materia fiscale e finanziaria tra le autorità competenti dei due Stati.

A ciò si aggiunge che lo scambio automatico delle informazioni fiscali è pienamente operativo tra l’Italia e i Paesi dell’Unione Europea per effetto della Direttiva 2011/16/UE, che ha sostituito la Direttiva 2003/48/CE, da ultimo integrata dalla Direttiva 2014/107/UE, e nei rapporti con gli Stati Uniti, a seguito della stipula dell’accordo FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act) per lo scambio di informazioni relative ai soggetti fiscalmente residenti nei rispettivi Paesi, ai fini della lotta della evasione fiscale internazionale.

D’altra parte, il sistema di scambio di informazioni tra i Paesi su base bilaterale verrà presto superato con l’entrata in funzione della Convenzione multilaterale MCAA (Multilateral Competent Authority Agreement on Automatic Exchange of Financial Account Information) elaborata dall’OCSE nell’anno 2014, definito nel documento CRS (Common Reporting Standard), secondo la quale già a partire dall’anno 2017 gli Stati firmatari (già più di 90) si scambieranno automaticamente le informazioni necessarie per contrastare l’evasione e l’elusione fiscale internazionale.

Da ultimo, sulla scia dello scandalo dei cd. Panama papers, il G5 composto da Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna ha sollecitato il G20 alla creazione di un registro dei proprietari di fatto (cd. beneficial owner) di società, trust, fondazioni e altre entità, finalizzato allo scambio automatico delle relative informazioni tra gli Stati e, quindi, alla lotta all’evasione fiscale e alla criminalità internazionale.

Voluntary disclosure come lezione per l’Agenzia delle Entrate

Oltre allo scambio di informazioni, d’ora in avanti l’Agenzia delle Entrate utilizzerà anche i dati raccolti in occasione dell’istruttoria delle domande di voluntary disclosure, per individuare gli strumenti più utilizzati per evadere il Fisco e prevenire fenomeni dello stesso tipo.

Questo è quanto sostenuto da Rossella Orlandi, Direttore dell’Agenzia dell’Entrate, con circolare 16/E del 28 aprile 2016, secondo la quale: “Le informazioni così raccolte consentiranno non solo e non tanto di monitorare le attività che hanno formato oggetto di emersione, ma soprattutto di procedere con le successive attività di analisi e rilevazione statistica delle condotte evasive più diffuse (soprattutto quelle che prevedono l’allocazione all’estero di risorse e investimenti) e di profilazione di fenomeni ad alta pericolosità fiscale”.

La voluntary disclosure cede il passo al ravvedimento operoso

Nelle attuali circostanze è difficile prospettare una voluntary disclosure bis, per cui il rientro dei capitali illecitamente detenuti all’estero sembrerebbe relegato allo strumento del ravvedimento operoso, che comunque garantisce considerevoli riduzioni delle sanzioni amministrative e, dal punto di vista penale, a seconda dei casi, costituisce causa di non punibilità o attenuante dei reati tributari eventualmente commessi.

Tuttavia non si può escludere l’ipotesi di una nuova voluntary disclosure. In tale caso, però, si ritiene che i benefici sarebbero abbastanza limitati per i nuovi contribuenti che se ne avvarrebbero per il rimpatrio dei capitali detenuti all’estero. L’esigenza del Fisco, quindi,  sarebbe soprattutto quella di battere cassa.

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Avv. Antonio Merola

Avvocato tributarista specializzatosi in Fiscalità Internazionale in Olanda presso l’International Tax Center (ITC Leiden) dell’Università di Leiden con LL.M. (Master of Laws) in International Tax Law (dopo un Master Universitario in Pianificazione Tributaria Internazionale e un Master Universitario in Diritto Tributario in Italia), Partner dello Studio ITAXA specializzato in Consulenza Fiscale Internazionale, da diversi anni si occupa di Consulenza Fiscale e Contenzioso Tributario a favore di Persone Fisiche e Società.